Autismo nelle aziende italiane: meglio pagare multe che assumere disabili

Iniziare un nuovo percorso lavorativo non è mai semplice. Non lo è ancora di più quando alle difficoltà più frequenti se ne aggiungono altre, legate più che a una «Patologia, a un assetto cerebrale diverso da quello tipico». Così Laura Imbimbo, Presidente del Gruppo Asperger Onlus, associazione italiana dedicata a studi e ricerche sulla sindrome […]

Iniziare un nuovo percorso lavorativo non è mai semplice. Non lo è ancora di più quando alle difficoltà più frequenti se ne aggiungono altre, legate più che a una «Patologia, a un assetto cerebrale diverso da quello tipico». Così Laura Imbimbo, Presidente del Gruppo Asperger Onlus, associazione italiana dedicata a studi e ricerche sulla sindrome di Asperger, disturbo dello sviluppo con legami con l’autismo, definisce l’autismo.

Negli ultimi anni si è riscontrata una crescente sensibilità nel nostro Paese per l’inserimento lavorativo di queste persone, portatrici di storie caratterizzate da grosse difficoltà legate a una sindrome con cui convivere purtroppo a vita e accentuate da ostacoli relazionali e burocratici.

Attualmente «Sono circa 750mila le persone con disabilità iscritte alle liste speciali di collocamento obbligatorio che non hanno un lavoro, cioè oltre l’80% delle persone diversamente abili, un mancato impiego di forza lavoro che costa al nostro Paese l’1% del Pil», spiega Simona Datti, presidente di Giuliaparla Onlus, cooperativa che si occupa di bambini e adulti con autismo e sindrome di Asperger. Nello specifico, «L’inserimento lavorativo di una persona con autismo è ritenuto così complesso che, secondo una recente indagine del Censis, solo una persona su 10 trova lavoro attualmente, perché le aziende preferiscono pagare le multe per la loro mancata assunzione». Un “particolare”, quest’ultimo, non certo di poco conto.

La normativa più recente sul tema, contenuta nel Jobs Act, prevede infatti l’obbligo per le aziende a partire dai 15 dipendenti di assumere lavoratori disabili, non solo in caso di nuove assunzioni come avveniva in passato e anche attraverso chiamata nominativa, cioè scegliendo autonomamente il soggetto da inserire. Parallelamente la legge fissa delle sanzioni per le imprese che non rispettano l’obbligo, equivalenti a 62,77 euro al giorno, e rafforza gli incentivi per determinate assunzioni, come nel caso di assunzioni fino a 5 anni di disabili intellettivi o psichici.

Ma, come spesso accade, tra il dire e il fare c’è di mezzo una lunga serie di casi concreti di inadempienze.
Innanzitutto perché «Le aziende, quelle private in particolare, sanno che una volta pagata una sanzione passerà del tempo prima di un nuovo controllo e quindi di una nuova multa che oltretutto non è retroattiva. Si aggiunge a questi motivi il fatto che gli incentivi statali non sono così sostanziosi da poter motivare e sollecitare un vero e proprio cambiamento», spiega Datti. Inoltre «La condizione degli “Aspie”, come amano definirsi le persone Asperger, rende loro quasi impossibile accedere alle liste del collocamento previste dalla legge 68/99, che impone ai datori di lavoro pubblici e privati l’obbligo di assumere portatori di handicap secondo modalità legate alle dimensioni dell’impresa. Gli Asperger escono dai parametri della legge, ma non possono accedere ai posti di lavoro normali perché per loro è molto difficile la socializzazione, non riescono cioè ad interagire con i colleghi di lavoro. Proprio per questo avrebbero bisogno di grande aiuto da parte della collettività, anche perché sono persone che entrano facilmente in depressione».

Le ragioni però non vanno ricercate solo nella burocrazia. Come racconta Laura Imbimbo i soggetti in questione sono «Difficilmente governabili e impossibilitati ad apprendere spontaneamente». Anche per questo molte aziende temono di non essere adeguatamente preparare ad accoglierli: «Le aziende temono di non avere gli strumenti adatti per gestire ed esaltare la loro produttività. Infine l’Italia è tra le “maglie nere” europee per pregiudizi culturali e stigma sociale nei confronti delle minoranze, tra cui anche e soprattutto le persone con disabilità. Nel nostro Paese tali soggetti non vengono considerati produttivi e l’interfaccia con loro è spesso solo a livello assistenziale, raramente educativo, tanto che chiedere ad una persona con disabilità di lavorare appare più simile allo sfruttamento e al maltrattamento piuttosto che la vera e propria attuazione di diritto», continua Simona Datti.

Insomma, più che alla legge forse il problema è più legato allo sviluppo di una coscienza sociale sul tema. E, come ipotizza Laura Imbimbo, alla realizzazione di maggiori “progetti da parte delle aziende”.
A questo proposito, Simona Datti ha curato l’inserimento lavorativo di un soggetto autistico e ci ha raccontato i passaggi fondamentali e le difficoltà di questa esperienza: «L’inserimento di L. ha richiesto molto tempo e attenzione. La presenza di un job coach è fondamentale e mai si potranno ottenere risultati efficaci e duraturi senza questa figura. Gli step sono numerosi e sono molto tecnici, i fondamentali sono: creazione di una rete con le scuole, ove possibile; valutazione delle caratteristiche e dello stile di apprendimento; valutazione delle abilità; formazione professionale specifica, ove necessario; presenza di un tutor; intervento sul campo attraverso la formazione dei colleghi e monitoraggio costante».

Al momento qualche progresso c’è, anche se si tratta perlopiù di casi singoli. All’estero i casi sono più numerosi: numerose aziende stanno sfruttando capacità dei soggetti con autismo, come l’estrema precisione e la propensione al rispetto delle regole.
«Gli esempi europei e nordamericani sono infiniti. Negli Stati Uniti e nel contesto Nord-Europeo aumentano le aziende del settore high-tech che assumono persone con autismo perché possiedono, nella maggior parte dei casi, caratteristiche cognitive e stili comportamentali ottimali per occupazioni in ambito informatico. Dirk Müller-Remus, Ceo della Auticon, azienda tedesca, prima e unica in Europa, ad impiegare solo dipendenti nello Spettro Autistico SL, elenca tra le principali abilità l’ottima memoria visiva e numerica, l’attenzione per i dettagli, gli altissimi livelli di concentrazione, la disponibilità a svolgere lavori ripetitivi e l’ottima organizzazione. Dal canto suo anche la Danimarca da ben 15 anni fornisce un modello di inserimento lavorativo di persone con autismo nel settore informatico ormai conosciuto e riconosciuto in tutto il mondo. Si tratta di Specialisterne, azienda danese di Information Technology, creata nel 2004 dal padre di un giovane autistico, che opera sulla base del principio che le specificità delle persone con autismo possano essere viste non come una barriera ma come un vantaggio competitivo. C’è poi la società di telecomunicazioni americana Verizon e c’è Microsoft che ha in corso un programma pilota per assumere a tempo pieno nel suo quartier generale di Redmond, e si avvarrà proprio dell’ausilio di Specialisterne», conclude Datti.

La speranza è che anche in Italia aumentino questi casi positivi, passando da esperienze sporadiche a pratiche comuni in ogni realtà aziendale. Anche se, come si dice spesso, a cambiare più che la legge deve essere la “testa”.

 

(Photo credits: sportelloautismo.it)

CONDIVIDI

Leggi anche

Arcevia, una Riace tra gli Appennini

Un castello è sempre un elemento di ricchezza per un territorio, perché racconta una storia antica e regala molte suggestioni. Ad Arcevia, un piccolo comune di poco più di 4400 anime nella provincia anconetana, di castelli ce ne sono ben nove, a testimonianza di una cultura e di una vivacità creativa davvero uniche. Tra colli […]

Cinesi made in Prato

Il nostro meridiano 0, a Prato, si chiama via Pistoiese. Una via lunga, anzi lunghissima, che da bambino a percorrerla tutta in motorino ti faceva pensare all’infinito: un’immensa linea dell’orizzonte che era come un continuo invito ad andare. Questa via, di cui in realtà era facile intuire quale potesse essere la destinazione finale, ti costringeva […]

L’Italia è la giostra più verde del mondo

Senza politiche industriali non si va lontano, tanto più nel seguire una via della sostenibilità che in Italia non è stata ancora tracciata con convinzione. ll sesto rapporto di Fondazione Symbola e Unioncamere, promosso in collaborazione con il  Conai, restituisce però un’immagine che si discosta da questa percezione di arretratezza culturale italiana. Davanti a passaggi […]