L’Italia dei trapianti continua a crescere. Lo segnala il report analitico 2022 del Centro nazionale trapianti (CNT) pubblicato a inizio novembre. Le donazioni di organi hanno, infatti, superato quota 1.800 e, in termini di tasso per milione di popolazione, collocano il nostro Paese ai primi posti a livello europeo, dietro la Spagna, leader mondiale, e insieme alla Francia.
“In Italia aumentano donazioni e trapianti, ma crescono anche le indicazioni oncologiche che richiedono questo intervento. Il nostro centro effettua ogni anno 130 trapianti di fegato, di cui il 60% dovuti non alla cirrosi, come molti pensano, ma all’epatocarcinoma (tumore primitivo del fegato, N.d.R.)”, spiega Umberto Cillo, direttore della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti epatici dell’Azienda Ospedale Università di Padova. Anche il colangiocarcinoma, altro tumore primitivo del fegato, sta aumentando la propria incidenza nella popolazione.
“Ogni anno almeno 25.000 malati di tumore al colon sviluppano metastasi al fegato, ma solo una piccola parte – il 10-20% – può essere efficacemente operata tramite l’asportazione delle metastasi. Ed è così che per pochi casi selezionati, dotati di biologia favorevole e allo stadio iniziale, il trapianto del fegato sembra essere la migliore soluzione possibile”. La lista di attesa è però lunga, la richiesta è superiore all’effettiva disponibilità di organi. Diventa allora essenziale il contributo del trapianto da vivente, che però “nel nostro Paese non è mai decollato (1,8% di tutti i trapianti), soprattutto per quanto riguarda il fegato”, precisa Cillo.
“Il trapianto di rene – continua il professore – da donatore vivente funziona di più anche per la conformazione, già divisa, dei reni. Invece le donazioni tradizionali di fegato da viventi prevedono l’asportazione del 60-65% dell’organo (lobo destro) del singolo donatore, con un intervento impegnativo per entrambi: donatore e ricevente”.
Ciò limita, in primis per ragioni psicologiche, il ricorso a questo tipo di trapianto. “Quando spieghi alla famiglia del paziente che c’è la necessità di un donatore disposto a cedere una frazione così consistente del proprio fegato, è raro che qualcuno si offra. Non dimentichiamoci che il fegato si rigenera in un mese, ma in questo lasso di tempo possono subentrare complicazioni e si registra una mortalità del donatore dello 0,5-1%”, aggiunge il direttore della Chirurgia epatobiliare e dei trapianti epatici. “È il paziente stesso che di solito rifiuta il trapianto, perché non vuole far correre rischi ad altri membri della sua famiglia”.