La voce è uno strumento di lavoro come potrebbe essere oggi un software, richiede aggiornamenti costanti perché i costumi cambiano e pretende manutenzione perché l’usura è un rischio. Christian Iansante presta la voce al cinema da oltre vent’anni: non la vende, la presta e come tutti i prestiti gli torna indietro con gli interessi che […]
I Big data e le decisioni: una leva di sviluppo per le imprese italiane
Il “Made in Italy” nel mondo è sinonimo di Food e Fashion. Banalità. Non è vero. Quella che raccontiamo oggi è una storia diversa. Parte da Taranto e arriva in California, passando per Latina. È la storia di Cosimo Palmisano, ingegnere delle telecomunicazioni ed esperto di Data Mining. E se non abbiamo detto “giovane italiano” […]
Il “Made in Italy” nel mondo è sinonimo di Food e Fashion. Banalità. Non è vero. Quella che raccontiamo oggi è una storia diversa. Parte da Taranto e arriva in California, passando per Latina. È la storia di Cosimo Palmisano, ingegnere delle telecomunicazioni ed esperto di Data Mining. E se non abbiamo detto “giovane italiano” è perché solo in Italia i nati prima degli anni ’80 vengono definiti tali. Né io, né Cosimo siamo più giovani, ma non per questo ci manca l’entusiasmo e la voglia di confrontarci. Anche a due giorni da capodanno. Ci incontriamo in un bar di Polignano a mare, con una vista spettacolare e iniziamo a chiacchierare.
Cosimo è sicuro di poter trasformare il modo di prendere decisioni nelle aziende e far diventare la creazione di software uno dei tasselli più importanti del Made in Italy nel mondo.
A partire dal 2009, attraverso incontri, conoscenze e collaborazioni sulla direttrice Latina-Silicon Valley, ha ripensato i Big Data, dando vita ad una piattaforma di business intelligence in grado di coniugare social collaboration, analytics, pianificazione ed esecuzione tra i reparti aziendali e tra i diversi sistemi gestionali. Nel novembre 2012 il suo progetto ha ottenuto uno dei più grandi finanziamenti mai ricevuto da un’azienda italiana dagli USA negli ultimi 10 anni, ben 15 milioni di dollari. E se se n’è parlato poco, è solo perché Decisyon non vende scarpe, o spaghetti. Luoghi comuni, l’italia non è tutta qui. Cosimo è quella che noi chiamiamo “Una Bella Capoccia”. Ecco la sua intervista in esclusiva a SenzaFiltro.
Ciao Cosimo, ci spieghi bene di cosa ti occupi? Come se fossi un bambino di due anni…
La nostra azienda si chiama Decisyon e ci occupiamo di Big Data e Collaboration. Aiutiamo le aziende a recuperare dati che si trovano in diverse forme ed in diversi settori, per poi metterli “in comune” in un sistema di business intelligence collaborativo, affinché più persone possano lavorare sul dato. In poche parole: Collaborative Decision Making, ovvero, prendere decisioni in maniera collaborativa.
Qual è stato il tuo percorso per arrivare a questa consapevolezza, ovvero che “prendere decisioni in maniera collaborativa” è un vantaggio per le imprese?
Nasco come ingegnere delle telecomunicazioni. Dopo un dottorato a New York sono tornato in Italia e ho lavorato in Fiat. Mi occupavo di Statistica Industriale, elaboravo algoritmi predittivi. Nel 2009 ho notato che ai miei algoritmi mancava un pezzo fondamentale: quello dei Social. Le persone ci cercavano direttamente su Facebook e Twitter, ci scrivevano i loro problemi…. e lo facevano nonostante su Facebook non esistessero ancora le Pagine ufficiali ma soltanto i semplici gruppi creati dai Fan. Pensai che, se fossi riuscito a recuperare informazioni Social sul prodotto che analizzavo, informazioni Real Time fornite proattivamente dalla gente, avrei potuto inserirle sia all’interno dei miei algoritmi che dentro il firewall aziendale. In questo modo sarebbe stato possibile gestire in maniera più efficiente le relazioni con i clienti.
Da qui ad ottenere un finanziamento di 15 milioni di dollari…
Di fatto ho inventato io il Social CRM. A quel punto, ti dicevo, ho lasciato Fiat e sono andato in California, tra Santa Clara University, Stanford e Berkeley, dove avevo vinto una borsa di studio in Entrepreneurship. Qui ho conosciuto il mio mentore Franco Petrucci, lavorando nella sua azienda, la Decysion. Gli ho raccontato il mio progetto e lui ha messo a mia disposizione due sviluppatori per portare nella sua piattaforma la mia idea sui Social. Al termine della borsa sono tornato a Latina, dove ha sede la Decysion, e con i due sviluppatori abbiamo creato il prototipo in 4 mesi. Nel 2011 abbiamo preso i primi 3 clienti, tra i quali Telecom e Alpitour. Dal 2011 al 2012 è iniziata la ricerca degli investitori: abbiamo immediatamente pensato ad investitori americani perché erano gli unici che potevano assecondare le nostre mire espansionistiche. Siamo stai incubati per tre anni al Plug&Play nella Silicon Valley. Abbiamo chiuso il primo round, da 15 milioni di Dollari, a novembre del 2012.
Facciamo un passo avanti, qual è attualmente il tuo ruolo in Decisyon e di cosa ti occupi?
Attualmente sono vice presidente del prodotto social. Sviluppo il prodotto e curo il posizionamento ed il pricing. Franco invece è il CTO, il deus ex machina di tutta l’azienda. Di fatto Franco è stato il mio business angel. Non si è limitato a finanziarmi, ha fatto la cosa migliore che potesse fare: mi ha dato un terreno su cui lavorare, due compagni di lavoro ( gli sviluppatori) ed ha provato a farmi costruire la casa per poi vedere il risultato finito.
Qual è stato il vostro punto di unione?
La mia intuizione rappresentava il tassello mancante della sua costruzione: social interno e social esterno si sono collegati. Da questo punto di vista i nostri due apporti hanno prodotto un risultato superiore: 1 + 1 ha fatto molto più di 2.
A questo punto dovresti spiegarmi cosa ha colpito gli investitori americani.
Gli investitori sono stati conquistati dalla parte più innovativa del progetto, ovvero quella della collaborazione tra i vari settori aziendali, dal Social CRM e dalla nostra attenzione per il dato. La nostra piattaforma, infatti, non è pensata per il marketing ma si fonda sulla raccolta di dati e sul CRM. Prendiamo il dato non strutturato Real time del social network (classico esempio di Big Data) e lo razionalizziamo. Tramite accordi con Facebook e Twitter catturiamo una quantità enorme di dati e attraverso la nostra piattaforma li strutturiamo, li presentiamo sotto forma di dashboard e li rendiamo collaborativi.
Mi fai un esempio? Scusa ma ho studiato lettere.
(Ride) Telecom attualmente ha 100 operatori che fanno customer service sui social attraverso la nostra piattaforma. In questo modo Telecom riesce a soddisfare 60000 richieste di customer care sui social in tempo reale. Al giorno d’oggi la soddisfazione di un cliente gioca un ruolo fondamentale perché solo attraverso la soddisfazione il cliente può diventare un ottimo recommender del brand. Tuttavia bisogna sottolineare come il nostro grosso vantaggio competitivo si trovi proprio nel non occuparsi esclusivamente di engagement: il nostro obiettivo è raccogliere dati in maniera strutturata per aiutare le aziende a prendere decisioni per il futuro nel modo più rapido e sicuro possibile.
Scusa, ma sono un curioso per natura. In cosa vengono investiti i fondi?
Ci sono moltissime voci di spesa. Negli USA, il mercato più grande del mondo, occorrono moltissimi soldi sia per pagare le persone, sia per creare la rete commerciale e per fornire tutta la parte dei servizi: è un meccanismo parecchio complesso. Sicuramente le spese maggiori sono state quelle per il posizionamento, per il marketing, per l’avvio della rete commerciale sui vari canali e per l’assunzione di nuovo personale per lo sviluppo.
Mi viene in mente il film “The Social Network” dove viene fuori che molti aspetti, soprattutto a livello di rapporti, cambino nelle aziende quando il volume di affari aumenta. È davvero cosi?
Sì, le dinamiche interne cambiano necessariamente perché da essere imprenditore di te stesso ad un certo punto ti ritrovi a dare conto ad altre persone. Bisogna dire che gli investitori non sono tutti uguali: alcuni ti lasciano molta libertà d’azione nello sviluppo del prodotto, altri sono più presenti e pressanti, altri ancora ti aiutano nella parte commerciale. Quando si passa da un gioco con 4 lire ad un gioco in cui si ha a che fare con milioni di dollari gli interessi cambiano inevitabilmente. Dal nostro punto di vista è cambiato sicuramente l’approccio al lavoro, perché in passato decidevamo tutto noi in completa autonomia e senza esitazioni. Oggi dobbiamo pensare agli interessi e alle esigenze degli investitori che, in quanto clienti, possono tranquillamente abbandonarti se non sono soddisfatti. Noi puntiamo a tenere il loro interesse sempre vivo ed acceso, sia portando risultati positivi di fatturato, sia creando nuovi scenari.
Sinceramente. Come reagiscono i potenziali clienti quando gli dite che siete un’azienda italiana?
Non si percepisce sempre un buon appeal; ma siamo un’azienda italiana e non è possibile non apprezzare la preparazione dei nostri laureati, la loro creatività, la loro velocità, la loro voglia di emergere. In fin dei conti dinanzi alla possibile diffidenza parla sempre il prodotto. Se la piattaforma e la soluzione che proponi funzionano, la diffidenza svanisce.
Cosimo pensa che i Social avranno ancora vita lunga, quindi?
Dureranno a lungo, ma cambierà il modo di utilizzarli. Si passerà dall’attuale dinamica del rapporto tra persone a meccanismi automatici tra device. Ad esempio la tua automobile potrà mandarti un messaggio su Facebook o su Twitter, così come i tuoi elettrodomestici. Ci sarà un’evoluzione: il social perderà, o quantomeno attenuerà, l’aspetto del “farsi i fatti altrui”. Ad ogni modo sono certo che dureranno: oramai i social sono troppo importanti per esaurirsi e scomparire.
Ti faccio un’altra domanda: perché le aziende in Italia non si affidano al dato e non prendono decisioni? Parlo a titolo personale ma…
(mi ferma e interviene) È una problema culturale. In America il dato è importante: tutti ragionano per percentili. Basta guardare una partita di basket in tv: lo spettatore è sommerso di grafiche e statistiche sul match e sui giocatori in campo. In Italia nessuno sa cosa siano i percentili: le decisioni vengono prese di pancia. In America anche le aziende più piccole mettono il dato al centro della loro attività. Solo il dato, infatti, può aiutare a ridurre i rischi quando arriva il momento di prendere una decisione. Tuttavia sono ottimista per quanto riguarda la tendenza in Italia. È vero, siamo stati più lenti di altri a capirne l’importanza, ma stiamo arrivando anche noi a decidere sulla base del dato e a redigere business plan più precisi.
Dopo il dato, e la decisone, un’altra nota dolente nostrana… la condivisione. Non mi dirai che nelle aziende italiane le informazioni vengono condivise?
Bisogna condividere le informazioni perché ormai in un’azienda non è più concepibile prendere decisioni in un solo dipartimento. Bisogna smistare il dato in tutti i settori, coinvolgendo tutte le persone che hanno il compito di decidere. Il risultato è duplice: da una parte il cliente ottiene più rapidamente la risposta che cercava (e in questo caso aumenta anche la sua soddisfazione nei confronti del prodotto o del brand), dall’altra l’azienda guadagna in coesione e coerenza, perché ogni settore risponderà ad una medesima domanda in maniera chiara e univoca.
Non mi hai risposto alla domanda però. In Italia le informazioni vengono condivise?
In teoria le PMI dovrebbero riuscire a collaborare meglio perché il grado di separazione fra il management e le singole persone è minore. Per quanto riguarda il Social CRM le PMI agiscono da sé attraverso la propria pagina Facebook e il profilo Twitter, senza grossi investimenti. C’è da dire che non sono rari i casi di grosse aziende che sui social si comportano ancora da PMI. E che non condividono. La verità è che nel nostro lavoro è compreso anche quello di fare cultura e formare il cliente.
Cosa pensi del Made in Italy? Quale futuro vedi?
Credo che il Made in Italy sia in una situazione stagnante. Ci si occupa solo di Food & Fashion: sempre le stesse cose, sempre tutto uguale. Bisogna puntare su settori nuovi e facilmente scalabili, settori in cui o fallisci o diventi grande. Bisogna avere il coraggio di uscire dal proprio orticello. Un ottimo settore è quello del software. Progettare un buon software significa essere buoni architetti, avere capacità di strutturare le cose, essere flessibili. Ma non solo. Significa anche avere capacità di narrazione: avere dati preziosi, senza la capacità di raccontarli e di spiegarli, è del tutto inutile.
Leggi anche
Il suo curriculum lo descrive male. Laureato in giurisprudenza all’Università di Parma, nel 2003 ha conseguito un Master of Laws in diritto della proprietà intellettuale, ma gli studi legali non erano proprio il luogo in cui si sentisse al proprio posto. Così, valigia in mano, nel 2008 Luca parte per Seattle e va a lavorare […]
La bella capoccia che vi presentiamo mentre si avvicina la pausa estiva del nostro giornale è un professionista italiano che lavora all’estero, professore in Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea e policy analyst presso la DG Ricerca del Parlamento Europeo. In passato è stato nominato Coordinatore dei rapporti con i cittadini e del sito web nell’Ufficio stampa della Presidenza […]