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Damilano, L’Espresso, i pesci grandi e piccoli, i falsi lettori
Le dimissioni di Marco Damilano dall’Espresso riaprono il dibattito sullo stato di salute dell’informazione italiana. Tutti parlano dei poteri industriali alle spalle, nessuno parla dei falsi lettori.
Nonostante il mare continui a inquinarsi, mentre noi facciamo finta di niente, le regole di sopravvivenza restano le stesse: il pesce grande divora il pesce piccolo, ed è un atto naturale che accettiamo con indifferenza per il mondo animale ma che ci turba quando lo riferiamo a noi umani. Ad ogni modo, almeno l’80% dell’inquinamento marino arriva dalla terra, è da lì che viene prodotto: porta il nome di concimi, pesticidi e centinaia di sostanze chimiche; per non parlare delle sostanze usate in agricoltura, sui campi, che coi deflussi arrivano diretti dai fiumi al mare. La plastica, poi, resta la regina.
Pochi giorni fa L’Espresso ha visto andarsene il suo direttore, Marco Damilano, davanti all’ormai dato per certo ennesimo passaggio di proprietà in mano BFC: io devo ringraziare la televisione, Propaganda live nello specifico, perché a forza di sentirlo leggere i suoi “spiegoni” mi sono innamorata anche del suo modo di dire come stanno le cose e la politica italiana, perché fino a quel momento di Damilano mi estasiava la scrittura – leggera, concreta, chiara, analitica, informata da dentro, tesa verso quella forma di dubbio che salva sempre il giornalismo – ma meno il sentirlo parlare. La sua lettera di addio all’Espresso firmata due giorni fa è il gesto di chi lascia la casa, chiude la porta, spegne la luce e toglie la chiave dalla toppa sapendo che non ci tornerà mai più, tra quelle mura, perché quelle mura non lo fanno sentire più al sicuro. E la casa è un po’ come il mare.
A guardarla da fuori, la fisionomia di BFC Media si traccia facilmente per capire chi c’è dietro, cosa ha in mano adesso, cosa vuole aggiungere: società quotata in Borsa all’AIM Italia nel 1995, è stata fondata da Denis Masetti, che la presiede ancora; di fatto un gruppo editoriale specializzato in periodici dedicati a finanza e personal business. Si potrebbe citare Forbes su tutti gli altri nomi delle riviste comprese sotto l’ombrello BFC per far venire la pelle d’oca all’idea che un settimanale come L’Espresso – pietra angolare del giornalismo di indagine e di inchiesta italiano – possa sedere alla stessa tavola editoriale, allo stesso banchetto di strategie editoriali, mangiare la stessa torta di indipendenza.
Gedi (proprietaria, tra le altre cose, dell’Espresso) sta svendendo a BFC il suo primo figlio, quello in difficoltà ormai da anni: editori grandi che cedono a editori più piccoli i propri problemi, le crisi che non sanno gestire, insomma editori grandi che, pur di non guardare in faccia la difficoltà dei figli, li danno via con tutta la matassa dei loro drammi interiori sperando che imparino a crescere da soli.
E ancora: dietro BFC c’è anche Daniele Iervolino, fondatore dell’Università Pegaso da poco ceduta a un fondo per oltre un miliardo di euro, ma soprattutto presidente della Salernitana. Calcio, industria del pallone, borsa, finanza: eccolo il giornalismo italiano che continua a confermare chi è realmente interessato a lui.
Ma qui nessuno rimarca mai che in mezzo a questi pesci grandi e piccoli che si stanno divorando lungo la catena ci sono anche i lettori. Mentre contro le false notizie si scatenano e si sollevano le ire generali, nessuno si ferma mai a denunciare i falsi lettori. Che sono milioni, che generano miliardi. Chiamiamoli una volta per tutte anche col loro nome, i lettori dell’informazione: non saranno tutti così ma sono una grande quota e gli editori lo sanno bene e lo hanno capito. Lettori che non hanno più interesse a farsi un’idea, lettori che confondono un post sui social con un articolo letto da cima a fondo, lettori che fino a una ventina di anni fa compravano un giornale di carta almeno per appartenenza politica per quanto iniziassero già a capire che aria tirasse (ma comunque si prendevano il tempo di farsi domande e di credere ancora a un’adesione), lettori che vanno di corsa perché informarsi non è più una priorità dato che si accontentano del preriscaldato, lettori che spammano link dentro le chat per dirti come la pensano – l’altro ieri il terrorismo, ieri i vaccini, oggi l’Ucraina – senza nemmeno sforzarsi di aggiungere un commento proprio con parole proprie, lettori che non sanno più spiegare che idea hanno in testa perché non si danno più il tempo di leggere e tanto meno di capire, lettori che una volta inseguivano i giornali mentre oggi sono i giornali che vanno a cercare i lettori dappertutto, sguinzagliando disperatamente gli algoritmi più guardoni. Anche Damilano, nella sua lettera d’addio, parla dei lettori come gli unici a cui rendere conto e spesso ripeto quanto anche l’espressione tipica di Carlo De Benedetti – suo ex editore all’Espresso e a Repubblica – che indica i lettori come gli unici padroni a cui rendere conto mi faccia venire i brividi. Capisco la metafora dei lettori-padroni per intendere che non bisogna rendere conto a nessun potere ma la trovo pericolosa lo stesso perché anche i falsi lettori sono diventati un potere, quello dell’ignoranza: il giornalismo indipendente è finito, e si andrà a logorare sempre più se crediamo che debba rispondere solo ai lettori.
Il problema dell’informazione indipendente è che sono le persone a non volerla più: poi alle spalle tramano indubbiamente gli interessi politici, industriali, finanziari, personali, con tutti quei pesci grandi che mangiano i pesci piccoli. Ma se i lettori iniziassero a mangiare meno concimi, meno chimica artefatta e meno inquinamento, magari potremmo sperare in una iniziale controtendenza. E in acque più pulite. Le società rinascono solo se vogliono davvero essere libere, ma non mi pare siano questi i tempi.
Uno dei più noti disegni di Pieter Bruegel il Vecchio si chiama I pesci grandi mangiano i pesci piccoli e oggi fa parte della Raccolta di Grafica dell’Albertina a Vienna. L’artista iniziò da lì a rappresentare alcuni antichi proverbi latini: ne seguiranno altri cento di disegni. C’è un enorme pesce, disteso e abbandonato sulla riva. Dalla bocca e dallo stomaco esce un gran numero di pesci piccoli e c’è un uomo che lo sta aprendo con l’aiuto di un coltello quasi fuori misura. La stessa scena si ripropone, in versione ridotta, in primo piano: su una barca un uomo estrae da un pesce appena pescato un altro pesce più piccolo, e lo fa sotto lo sguardo attento di un padre e di un figlio. E ci sono pesci intorno a loro, pesci dappertutto: pesci alati, appesi ai fili, persino pesci con le gambe. C’è da capire se oggi i falsi lettori sarebbero o meno quell’uomo col coltello.
Era la metà del Cinquecento: almeno a quei tempi le acque erano cristalline per davvero.
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Foto di copertina: biografieonline.it
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