Enrica Gnoni

L’Accessibility Act è il nuovo GDPR? Il rischio è confondere con la burocrazia le buone occasioni per rinnovare una cultura digitale d’impresa. Sull’accessibilità dei siti web che offrono prodotti o servizi digitali, a fine giugno 2025 è arrivato in Italia un Decreto che recepisce la Direttiva UE (European Accessibility Act). Pro e contro.

Ancora una misura dall’Europa che grava sulle aziende: è la volta dell’accessibilità ai siti web.

Il 28 giugno è infatti entrato in vigore in Italia il Decreto Legislativo 82/2022, che recepisce la Direttiva UE 2019/882 (European Accessibility Act). Estende quanto già previsto dalla Legge Stanca del 2004 in termini di accessibilità dei siti web e si applica anche ai privati: devono adeguarsi tutte le aziende con almeno 10 dipendenti, e fatturato annuo oltre i 2 milioni di euro, che offrono prodotti o servizi digitali ai consumatori.

Chi non rispetta la normativa può incorrere in sanzioni da 5.000 a 40.000 euro, fino al 5% del fatturato nei casi più gravi.

La prima domanda è: siamo certi che le aziende siano debitamente informate sulla normativa?

La seconda è: con quanto livore sarà stata accolta l’ennesima richiesta di adempimento da parte dell’UE a totale spesa delle aziende?

È come per l’ormai famigerato GDPR: queste norme vengono percepite come un fastidio nella migliore delle ipotesi, come una iattura nella peggiore. E se invece le trasformassimo nell’opportunità di rivedere la nostra cultura aziendale? Nell’occasione buona per parlare ai clienti (di qualsiasi genere, non importa di cosa ci occupiamo nelle nostre aziende, ciascuno di noi ha dei clienti) di valori e rispetto?

L’accessibilità digitale è l’insieme di pratiche che rendono siti e app fruibili da tutte le persone, comprese quelle con disabilità sensoriali, motorie o cognitive. A me pare una buona cosa rendere i nostri siti/portali/servizi digitali più chiari anche per queste persone (si stima siano il 10% della popolazione), no?

Tornando al sopra citato e ormai noto GDPR (acronimo inglese per General Data Protection Regulation), si tratta in fondo di un regolamento dell’Unione Europea che disciplina il modo in cui le aziende e le altre organizzazioni trattano i nostri dati personali. 

Entrambe queste normative, e ve ne verranno in mente altre di sicuro mentre leggete, sono nate per tutelare cittadini, lavoratori e individui, non per ostacolarli o render loro la vita difficile. Quella è la burocrazia, non confondiamo le due cose.

Anche io guido un’azienda, so che dietro questi obblighi normativi ci sono costi e procedure, spesso complesse, ma per me si tratta di rispetto, di cultura del lavoro, che deve passare anche per buone pratiche di sopravvivenza digitale.

Proviamo a vederla in questo modo, e forse (dico forse) tutto sembrerà avere un senso.

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