Piccoli bulli crescono

Chi è convinto che l’attuale dilagare di varie forme di bullismo anche tra i giovanissimi sia conseguenza dell’eccessivo permissivismo di genitori e insegnanti forse non ha mai letto (o ha solo dimenticato) quella pagina del libro Cuore che descrive le angherie che gli scolari delle scuole elementari di fine Ottocento – secolo del perbenismo per […]

Chi è convinto che l’attuale dilagare di varie forme di bullismo anche tra i giovanissimi sia conseguenza dell’eccessivo permissivismo di genitori e insegnanti forse non ha mai letto (o ha solo dimenticato) quella pagina del libro Cuore che descrive le angherie che gli scolari delle scuole elementari di fine Ottocento – secolo del perbenismo per antonomasia – riservavano al compagno che teneva legato al collo un braccio inerte.

La differenza più evidente rispetto ai giorni nostri è la reazione del maestro e le sue parole che forse oggi suonano un po’ retoriche ma che erano decisamente appropriate.

Voi avete insultato un compagno che non vi provocava, un disgraziato, avete percosso un debole che non si può difendere. Avete commesso una delle azioni più basse, più vergognose di cui si possa macchiare una creatura umana. Vigliacchi!”.

C’è allora da chiedersi perché oggi non si sentano più parole simili da maestri e professori.

Non mi risulta infatti che la caccia al primino alle superiori sia considerato una vigliaccata da professori e genitori i quali spesso lo accettano quasi come fosse un passaggio “formativo” obbligato per i giovanissimi e lo tollerano anche quando assume aspetti molto vicini al ricatto.

Certo allora il fenomeno non era ancora così esteso e preoccupante come lo è ai nostri giorni e soprattutto la definizione di bulli che usiamo oggi non ha quella carica di disprezzo che possiede invece quella di “vigliacchi”, termine di sicuro più calzante per definire chi prova piacere nel tormentare i più deboli.

Ma i piccoli bulli crescono e li ritroviamo all‘Università a tormentare le matricole con quelli che una volta erano scherzi, magari pesanti ma solo scherzi; li ritroviamo poi in caserma dove la tollerata consuetudine di maltrattare le reclute in alcuni casi si è trasformata in qualcosa di più grave e più simile ad azioni da codice penale.

E oggi che l’evoluzione della tecnologia ha moltiplicato le forme di comunicazione e la loro potenza, il bullismo si è evoluto diventando un cyberbullismo, una forma molto più subdola e pericolosa, applicabile in ogni ambiente e contesto, una forma che non espone l’autore perché l’anonimato garantito (o quasi) dalla rete permette a chiunque di celarsi dietro e-mail fantasma per screditare le vittime prescelte con incredibile facilità ma con conseguenze spesso drammatiche quando le vittime giungono a compiere gesti estremi.

In Italia la definizione di mobbing e la sua inclusione nelle tipologie di azioni penalmente perseguibili è avvenuta all’inizio degli anni Duemila e, come spesso accade quando il fenomeno riceve un nome e viene pubblicizzato dai media, il proliferare di accuse e di denunce da parte delle vittime di questa nuova modalità di perseguitare le persone ci ha permesso di scoprire la vastità di un fenomeno rimasto troppo a lungo sconosciuto nelle sue nuove modalità. Se vi fossero così tanti casi o se la moda abbia contribuito ad aumentarne il numero è un dubbio che lasceremo ai posteri pur convinti che come sempre la verità stia nel mezzo.

Ma di mobbing si è scritto tanto e quasi tutto e sarebbe difficile quanto poco interessante aggiungere nuovi commenti a questo dilagante fenomeno; ben più interessante sarebbe spostare l’attenzione su una particolare tipologia di “vessazione” che non è mai stata oggetto di dibattiti mediatici, pur esistendo in quasi tutti i luoghi di lavoro.

Un problema che vede come protagonisti attivi quei personaggi che trovano la loro ragione di vita in quel micro potere derivante dal posto (magari anche il penultimo) occupato nella gerarchia aziendale e come vittime i loro sottoposti o finanche colleghi.

Come molti miei coetanei, ho sempre riso molto con i film di Fracchia e Fantozzi ma ho iniziato a guardarli con occhio diverso da quando sono entrato in azienda (ottima scusa per rivederli più e più volte).

Tutti i personaggi, sia pur caratterizzati in forma estrema, sono molto reali e descrivono figure che esistono in ogni azienda: tra tutti il mio preferito è sempre stato il Geometra Calboni.

Pur tratteggiato negli anni ’70, il personaggio di Calboni è ancora attualissimo ed incarna perfettamente il piccolo aguzzino dell’ufficio, uno sbruffone ancor più pericoloso in quanto inconsapevole dei danni derivanti dalle sue azioni guascone.

Sempre elegante con il suo baffetto alla Clark Gable, si atteggia a uomo di mondo, a professionista capace ed apprezzato dai superiori, millanta conquiste da vero tombeur de femmes e gira con decappottabile ultimo modello.

In realtà è un vero cialtrone che Fantozzi nella sua triste lucidità definisce forte con i deboli e servile con i potenti, dai quali è peraltro appena tollerato.

Calboni riconosce la debolezza di Fantozzi e ne fa la sua forza: lo irride, lo chiama “puccettone” in pubblico mentre gli elargisce un odioso pizzicotto sulla guancia.

Nella speciale classifica della perniciosità aziendale questi personaggi contendono le posizione di vertice ai pessimisti per antonomasia, che solitamente alla macchinetta del caffè rivaleggiano tra loro cercando di riportare la più ferale delle notizie, o peggio per diffondere pettegolezzi spesso infondati e difficili da verificare ma sempre dannosi, costituendo uno dei maggiori pericoli di avvelenamento del clima aziendale.

Purtroppo in azienda ci sarà sempre un Ragionier Fantozzi votato al ruolo di vittima predestinata o una Signorina Silvani pronta a farsi ammaliare.

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