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Sanremo, protettore del business
E se noi, tanto per curiosare un po’, andassimo a spiare nelle tasche del sessantanovesimo Festival di Sanremo? Direi che non ci sarebbe niente di male. Visto che il governo Lega-M5S ha aperto le ostilità sugli alti stipendi della tv di Stato e ha deciso di prendere di mira i compensi dei grandi conduttori della […]
E se noi, tanto per curiosare un po’, andassimo a spiare nelle tasche del sessantanovesimo Festival di Sanremo? Direi che non ci sarebbe niente di male. Visto che il governo Lega-M5S ha aperto le ostilità sugli alti stipendi della tv di Stato e ha deciso di prendere di mira i compensi dei grandi conduttori della Rai, come Fabio Fazio e Bruno Vespa, che pare guadagnino uno sproposito (2.240.000 euro l’anno per quattro anni a Fazio e 1.200.000 annui per Vespa), è interessante capire se i conduttori della kermesse più nazionalpopolare della Rai, controllata dal ministero del Tesoro, rientrano o rischiano di essere presi di mira dal governo sovranista.
Sanremo e la politica
Per il momento Matteo Salvini, Alessandro di Battista e Luigi di Maio hanno soltanto annunciato ridimensionamenti ad alcuni conduttori strapagati, ma non è detto che il cerchio non si allarghi: “È finita l’epoca in cui – ha detto di Maio – in questo paese si può guadagnare in tv 3/3,5 milioni all’anno. Credo sia arrivato il momento di dare una sforbiciata”. È vero, il festival di Sanremo non è soltanto business: negli anni è sempre stato piuttosto il riflesso di ciò che accadeva nella società, un riflesso più o meno condizionato dalla congiuntura politica del momento. I conflitti sociali e politici hanno sempre ritrovato sul palco di Sanremo una risonanza. Dai metalmeccanici che negli anni Settanta irruppero tra le luci del Festival per rivendicare aumenti salariali alle parole fendenti di Roberto Benigni contro Silvio Berlusconi, fino alle invettive di Beppe Grillo.
Quest’anno poi abbiamo avuto una polemica inedita: a parte le critiche alla politica migratoria del governo fatte da Baglioni a Salvini, sul palco è salito un nuovo convitato di pietra: il presunto conflitto d’interesse di Claudio Baglioni, che è al tempo stesso direttore artistico del Festival e sotto contratto con Sony Music e F&P Group, imprese discografiche che hanno riempito la cinque giorni canora di loro concorrenti e ospiti.
Sanremo e il business
Ma, al di là della politica, c’è un altro volto su cui indagare: quello del business. Il Festival di Sanremo è una macchina da soldi che spesso, cosa rara, si autofinanzia con la pubblicità. Francesco Siliato, ricercatore, fondatore della società Frasi e partner di Tv media analyst, si occupa da più di trent’anni di misurare e interpretare i dati che gli fornisce l’Auditel. Quando lo chiamo al telefono sta per andare in onda la terza puntata della kermesse canora e lui me la commenta volentieri in diretta: “Sanremo è rimasto l’unico e l’ultimo media event della tv italiana. Soltanto Sanremo è in grado di fare ascolti sopra i dieci milioni. Una volta c’erano altri eventi importanti, come il calcio, ma ora è rimasto soltanto questo evento canoro. E questo ne fa un grande business”. Però mi dicevi che Sanremo ha registrato un’audience minore nella seconda serata. Come mai? “La risposta ce l’ho in famiglia e dimostra che molte cose sono cambiate. Un esempio? Mio figlio l’ha guardato Sanremo, ma non in tv. Ciò significa che non tutto ormai passa dalla televisione. L’auditel ancora non misura device diversi come computer, Ipad o smartphone, ma presto sarà costretta a tenerne conto perché è ormai evidente che il consumo di tv non corrisponde più al consumo di televisione”.
Dunque, mi par di capire che, a differenza di anni fa, Sanremo è in attivo e assai attraente per gli inserzionisti. “Certo, è come il superbowl negli Usa. Grazie alla sua capacità di attrarre oltre dieci milioni di telespettatori, gli inserzionisti spendono volentieri nella prima e nell’ultima serata 229.000 euro a contatto per 15 secondi”. Ora si spiega perché, malgrado gli strappi di qualche conduttore e i mal di pancia di qualche politico, la macchina di Sanremo non si tocca.
Ma torniamo agli scarni numeri. La sessantanovesima edizione, partita martedì scorso, finirà domani sera. Quanto costa questo evento? I costi ammontano a 17 milioni di euro inclusa la convenzione con il Comune di Sanremo, che costa 5 milioni. Secondo le stime previsionali fatte sulla base dei contratti pubblicitari i ricavi saranno di 28 milioni. Un confronto con lo scorso anno ci dice che i ricavi superano quelli del 2018 di 3 milioni. Si calcola che gli utili stimati siano circa dieci milioni: un bel gruzzolo per le casse della Rai, che da sempre ha bilanci in sofferenza.
Sanremo e gli stipendi
E veniamo agli stipendi dei conduttori, che a seguito della polemica aperta dal governo sono sotto i riflettori dell’opinione pubblica. Il compenso di Claudio Baglioni, conduttore e direttore artistico del festival, è di 585 mila euro lordi. La cifra è stata resa pubblica dalla Rai. A chi obietta che per 5 giorni 585 mila euro sono un compenso esagerato, la Rai risponde che Baglioni non è stato impegnato soltanto per la durata della manifestazione canora: il contratto di ingaggio gli ha chiesto di mettersi a disposizione della Rai molti mesi prima del 5 febbraio.
Per gli ospiti il cachet va dai 20.000 ai 50.000 euro. Come avranno notato gli appassionati del Festival, da qualche anno c’è l’assenza di ospiti stranieri. Anche in questo caso è il vil denaro a comandare la scelta di non invitare i grandi nomi della canzone. È lo stesso Claudio Baglioni a spiegare questa sorta di spending review: “Qualche anno fa – ha spiegato Baglioni – era diverso. I dischi si vendevano e le case discografiche interpretavano il festival come una vetrina per il mercato italiano”. Non era difficile portare un grande artista internazionale a Sanremo, visto che la visibilità aiutava la vendita di dischi. Ora che il mercato discografico è in grande crisi perché gli artisti che vendono dischi sono rarissimi, tutto è cambiato. “Oggi devi pagargli il cachet per intero”, ha aggiunto Baglioni. “E questo è un problema”. Insomma, chi tocca Sanremo prende la scossa. Perché Sanremo è sempre Sanremo, e il business è sempre il business.
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