La scuola va in sciopero: che cosa se ne fanno i precari del PNRR?

In occasione della manifestazione indetta da USB Scuola, abbiamo sentito le testimonianze vive di chi ha vissuto di precariato per anni, oltre ai rappresentanti delle altre sigle sindacali: “Diagnosi grave, scelte scellerate della politica”

Scuola in sciopero contro i precari: un messaggio sul cancello d'ingresso avvisa della chiusura

“Siamo stanchi di questo caos e di una scuola sempre in sofferenza. I fondi del PNRR non possono essere usati per acquistare mega televisori, strumentazioni digitali e allestire aule supertecnologiche in edifici spesso fatiscenti. Quei fondi servono per aumentare gli organici, garantire scuole sicure e consentire finalmente una scuola normale”.

Lo sciopero di oggi, indetto da USB (Unione Sindacale di Base) parte da questi presupposti. USB Scuola scende in piazza per chiedere quello che alla scuola manca da troppo tempo: 150.000 docenti e 50.000 unità di personale ATA.

“I docenti precari sono stati travolti dalle scelte scellerate della politica che li ha precipitati in un marasma di concorsi, ordinari e straordinari, con regole cervellotiche che non rispettano il principio basilare del completo esaurimento delle graduatorie prima di bandire altri concorsi”. Richieste sacrosante, soprattutto se si considera che i problemi della scuola sono gli stessi da molto tempo – da troppo tempo.

L’unico dubbio è sull’utilizzo dei fondi del PNRR. Secondo USB occorre recuperare le risorse dal PNRR, modificandone la destinazione; ma c’è davvero qualche possibilità che avvenga? E soprattutto, può davvero il PNRR essere una soluzione per un problema che il Paese si porta dietro da così tanti anni?

Così ho chiesto l’opinione di altri sindacati, ponendogli una domanda basilare: la scuola come sta?

La scuola scende in piazza contro il precariato: la questione delle graduatorie

La scuola è un paziente con diagnosi grave. Su questi sono tutti d’accordo, a partire dal fatto che oggi si stimano quasi 200.000 supplenti precari che non rappresentano una situazione di emergenza, ma un elemento cronico della scuola italiana.”

Patrizia Giovannini, oggi responsabile del dipartimento nazionale precari della Gilda degli insegnanti di Latina, è la prima che raggiungo al telefono. Non soltanto per via del suo ruolo attuale, ma anche e soprattutto perché lei, di anni di precariato, ne ha fatti 22.

“Tutti i vari ministeri che si sonno succeduti negli ultimi vent’anni – spiega Patrizia – hanno dichiarato di voler risolvere il precariato, ma la realtà è che il fenomeno è aumentato in questo ventennio e le graduatorie non si sono mai liberate del tutto. E graduatorie in piedi significa precari non stabilizzati. Poi, negli anni, le graduatorie permanenti sono diventate a esaurimento, ma di fatto non è cambiato nulla.”

Patrizia fa anche una distinzione geografica, perché la situazione al Sud è sicuramente peggiore. “Il Nord offre molte alternative, e quella del docente non era neanche in passato una professione così allettante. Del resto, vivere a Milano con uno stipendio da insegnante non è facile. Invece al Sud le persone che ambiscono all’insegnamento, e quindi i precari, sono molti di più”.

In pensione da precari: “Con 22 anni di precariato, ne perdo cinque di contributi”. E lo Stato risparmia

Il problema è che il precario è fonte di grande risparmio per lo Stato. Innanzitutto perché non ha progressione economica di carriera (rimane sempre al livello base) e ha diritti contrattuali minori; se poi va in pensione da precario (perché succede anche questo) avrà la pensione minima. E nel caso dei precari è anche più difficile raggiungere la pensione minima, cioè vent’anni di contributi, visto che nei mesi estivi non gli vengono versati e visto che le supplenze non sono sempre continuative. E se non si raggiunge la pensione minima, il precario può al massimo ambire alla pensione sociale (500 euro).

“Ho fatto 22 anni da precaria – mi spiega Patrizia – e non mi saranno riconosciuti tutti, perché alcune erano supplenze brevi e quindi a conti fatti perdo quasi cinque anni di contributi. Dopo 22 anni, sono entrata di ruolo. Era il 2005, e mi sono laureata nel 1983”.

Mi sembravano tempistiche assurde e quindi le ho chiesto le ragioni di questa instabilità permanente. “Insegno lettere e a quei tempi il sistema era saturo, erano entrati in ruolo molti docenti giovani e c’erano pochissimi pensionamenti. E comunque non tutti i pensionamenti venivano coperti”.

Ma questo succede anche oggi. Quest’anno i precari sono 200.000 e le domande di pensionamento per il 2023 sono solo 30.000.

Il PNRR inutile per i docenti precari: “Quei fondi inutilizzabili per la stabilizzazione del personale”

Ma coi fondi del PNRR non si può fare nulla per sboccare questa situazione? L’ho chiesto a Massimiliano De Conca, segretario generale FLC CGIL Lombardia (la Federazione Lavoratori della Conoscenza che associa i lavoratori nei settori della scuola e dell’università).

“Il PNRR è un finanziamento estemporaneo e questi fondi non possono essere utilizzati per la stabilizzazione del personale, perché il personale ha dei costi fissi nel tempo. Questi fondi nascono per progetti precisi, ad esempio contro la dispersione scolastica e per le strutture, e non permettono investimenti di ampio respiro. Purtroppo un investimento serio non viene mai fatto, perché si ragiona pensando che il trend negativo di natalità permetta di tagliare e risparmiare sui docenti, quando invece c’è la necessità di aumentare il tempo a scuola”.

In effetti conosco tanti genitori che sono in difficoltà perché le loro scuole non offrono il tempo pieno, ma dei moduli che prevedono solo due rientri pomeridiani. Sono quindi costretti a parcheggiare i figli nei vari doposcuola. Oppure coi nonni, se li hanno a disposizione.

“In Emilia – mi spiega De Conca – alla primaria c’è un sistema integrato con un tempo pieno diffuso e c’è quasi sempre la possibilità di fare le 40 ore. In Lombardia questa possibilità c’è a Milano, ma non nel resto della Regione, dove il tempo a scuola è ridotto. Il tempo pieno al Sud poi è limitatissimo e qui mancano anche le strutture necessarie, perché, ad esempio, se fai il tempo pieno serve la mensa. Il PNRR lavorerà per aumentare le strutture idonee per il tempo pieno, non l’organico per il tempo pieno”.

Massimiliano De Conca e Rino Di Meglio: “Le riforme costano, ma la scuola richiede investimenti stabili”

In sostanza Il PNRR fornisce risorse utili, ma deve essere affiancato da un investimento strutturale e soprattutto non a scadenza. E Massimiliano De Conca ha le idee ben chiare su come dovrebbe essere fatto questo investimento. Lo spiega partendo da un esempio pratico.

“In Lombardia, alle scuole medie, abbiamo 3.000 cattedre di matematica scoperte. Per risolvere il problema è stato indetto un concorso straordinario, in teoria veloce perché prevedeva solo una prova orale. Ma ad oggi le cattedre sono ancora scoperte. Perché? Perché il concorso non è mai veloce, le commissioni sono composte da docenti che devono stare a scuola e non possono presiederle tutti giorni. Inoltre, anche se gli orali di matematica si sono conclusi al 19 dicembre, solo ieri l’altro (8 febbraio) sono uscite le graduatorie. Questi sono concorsi che nascono già con ritardi (la fine del concorso era prevista per il 15 giugno 2022), senza contare il fatto che cambiano continuamente anche le modalità d’esame (prova a quiz, prova scritta e orale, prova solo orale). I concorsi sono una giungla e la realtà ci dice che dobbiamo scavalcarli. Serve una stagione straordinaria per stabilizzare subito i docenti con più anni di precariato alle spalle, formarli e valutarli alla fine dell’anno. Così si possono coprire tutti i posti vacanti e dare ai precari una prospettiva. Invece ogni ministro accampa una riforma differente”.

In effetti la scuola è sempre oggetto di campagne elettorali propagandistiche, ma la realtà e ormai siamo il fanalino di coda dell’Europa.

“Questo perché – continua De Conca – le riforme non possono essere a costo zero. Tutti raccontano che investiranno sulla scuola, ma in realtà quell’investimento deriva sempre da variazioni del bilancio. Soldi nuovi sulla scuola non ce ne sono, la formazione, ad esempio, si ricava sempre da un taglio di docenti. L’Italia investe nella scuola meno del 3,5 % del PIL; il resto d’Europa investe in media il 6/7%. E sul reclutamento bisognerebbe avere l’umiltà di ammettere che oggi il sistema non funziona e che c’è bisogno di una stagione straordinaria di stabilizzazione”.

Le posizioni dei sindacalisti sono molto simili: anche Rino di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti, pensa che il problema degli organici insufficienti non si possa risolvere con i fondi del PNRR, che sono limitati nel tempo. “Quando finiscono i fondi come li paghi i docenti? Il Paese deve decidere di fare un investimento stabile, perché il personale non va gestito con fondi a scadenza”. E anche lui fa un paragone con l’estero. “Nel resto d’Europa non c’è tutto questo precariato nella scuola. Al di là degli stipendi più alti, l’organico è stabile. Anche perché a nessuno piace vedere il figlio che cambia insegnante ogni anno”.

 

 

 

Photo credits: schoolvisor.it

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