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Su queste pagine si è molto parlato di professioni digitali e di come la digital transformation ha modificato il lavoro, cambiando le imprese e le relative professioni richieste, ma anche le modalità della sua fruizione, dalla ricerca di una nuova occupazione al suo svolgimento (mobile working). Esempi ne sono alcuni articoli di Chiara Del Priore, […]
Su queste pagine si è molto parlato di professioni digitali e di come la digital transformation ha modificato il lavoro, cambiando le imprese e le relative professioni richieste, ma anche le modalità della sua fruizione, dalla ricerca di una nuova occupazione al suo svolgimento (mobile working). Esempi ne sono alcuni articoli di Chiara Del Priore, di Cristiano Carriero, e di molti altri.
Si moltiplicano peraltro articoli e blog che vaticinano quali saranno le professioni del futuro o quelle “più richieste”. Dati alla mano, quelli del World Economic Forum (2018), il 65% dei bambini che oggi vanno a scuola svolgeranno una professione che ancora non esiste. Questo slancio proiettivo è sicuramente utile e catalizza l’attenzione di media e operatori della formazione, ma rischia di distogliere l’interesse dalle professioni altrettanto rilevanti che si sono modificate nei contenuti, nelle attività e nelle competenze, soprattutto quelle tradizionali.
Una di queste professioni – per cui in pochi hanno studiato – e che molte imprese richiedono e sono disposte a retribuire, è quella dell’account manager, area manager, Key account manager, commerciale, ma anche export manager. Si fa di tutto per non utilizzare la parola “venditore”.
Il professional selling racchiude profili molto eterogenei: si pensi al contesti B2B rispetto a quelli B2C, a chi presidia un territorio, a chi segue un cliente chiave, a chi si occupa di commerciale nei servizi. Questa eterogeneità è ben rappresentata dall’ultimo report SEF (Sales Education Foundation, 2018) nel quale sono individuate dodici macrocategorie eterogenee ma accomunate da due elementi: il consistente investimento richiesto alle imprese per formare questi profili (gli autori del report stimano fino a 180.000 dollari per i profili più alti) e la persistenza dello stereotipo negativo nei confronti di questo profilo professionale.
La persistenza di una valutazione sociale non è un fatto nuovo, e in molti casi ci permette di accorciare e semplificare i processi decisionali attaccando etichette difficili da eliminare. E qui sta il punto: quella parola, vendita, non è socialmente gradita ai più, e in molti casi spaventa. Ecco alcuni punti di vista:
Il tema tuttavia è proprio questo: la professione di chi si occupa di gestire i rapporti con i clienti (per non imbarazzare troppo il lettore) è rimasta con lo stereotipo di oltre quarant’anni fa, ma il mondo esterno è cambiato. Analizzando infatti gli studi condotti (prevalentemente in USA e UK) proprio sul tema dell’atteggiamento degli studenti nei confronti della vendita ci si accorge che questo sentiment è rimasto sostanzialmente invariato (Karakaya, Quigley, & Bingham, 2011; Manning, Reece, & Ahearne, 2010). Va inoltre evidenziato che questo atteggiamento risulta simile per alcuni aspetti anche dai pochi studi internazionali di confronto fra nazioni e culture diverse.
Quello che invece è cambiato (soprattutto nei contesti B2B) è proprio questa professione; perché di professione si parla, non di “arte della vendita” come è stata disegnata per anni, e che lascia l’alibi di pensare che venditori “si nasca”. Lo stereotipo rischia di offuscare le reali esigenze delle imprese e non chiarire le competenze di chi oggi è professionista nelle vendite, che dovrebbero essere sia funzionali (marketing, negoziazione, economico finanziarie), che relazionali, manageriali (people management, etica e integrità, time management) e cognitive (resilienza, pensiero laterale, problem solving). Si parla sempre più di Sales Ambidexterity pensando a un professionista delle vendite come a un manager un po’ visionario, un po’ stratega, con competenze interculturali e digitali, ma sempre molto concreto.
Si pone pertanto l’esigenza di una revisione in vari contesti culturali, non solo in quello universitario, ma anche nell’ambito della formazione, dove spesso l’arte prevale sulla scienza, oltre che in quello delle imprese, dove i professionisti delle vendite sono considerati come “esterni” al business e poco coinvolti nelle scelte strategiche. Va rivisto anche nei rapporti interfunzionali; si pensi in tal senso al frequente, conflittuale rapporto fra marketing e vendite e alla scarsa presenza di HR nei processi di vendita. Nella funzione sales il cambiamento è evidente ma ancora poco visibile, forse anche per paura di uno stereotipo troppo ingombrante.
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