A testimoniare con sincerità la sua esperienza è Barbara Llamos, ideatrice e autrice del seguitissimo blog Autismocomehofatto, diventato un punto di riferimento a livello internazionale su vari temi correlati, tra cui il sostegno scolastico. Lei stessa, che vive nel Lazio, si è scontrata con aspre contraddizioni al riguardo.
“Nel lungo percorso didattico di mio figlio Ares, che ha un disturbo dello spettro autistico, ho avuto docenti che avevano paura di lui, altri che lo segregavano in un’aula piccola e non si presentavano in classe, manco per un saluto. Per fortuna ho anche avuto insegnanti meravigliosi che si sono distinti per professionalità e dedizione”. E aggiunge: “A distanza di anni posso dire che non esiste danno peggiore, per un allievo, di un cattivo insegnante. Nel caso di uno studente autistico i danni di una scarsa o assente preparazione del docente sono terribili: regressioni, aumento dell’aggressività e delle manie, oltre che stereotipie, nervosismo, ansia, nullo o scarso rendimento in ambito didattico, e potrei continuare. Credo vada rivista la formazione dei docenti di sostegno: una preparazione adatta, infatti, permetterebbe una vera inclusione e sancirebbe il ruolo del docente di sostegno, che è quello di appoggiare l’intera classe”.
Barbara Llamos mette in evidenza una delle contraddizioni più forti del sistema. “Si chiama docente di sostegno alla classe; in realtà è raro che il sostegno lavori davvero con l’intera classe. È più facile trovarlo in un’aula di sostegno oppure in biblioteca, isolato con il ‘proprio’ studente”.
Le problematiche sono spesso ammesse anche dagli stessi insegnanti di sostegno. “Sono tante le difficoltà che intercetto tramite la mia pagina Facebook e il mio blog: si evince scarsissima preparazione, tant’è vero che la maggior parte dei messaggi che ricevo sono di docenti alla ricerca di strumenti per affrontare crisi, per introdurre argomenti con bambini che non stanno mai seduti oppure che sono aggressivi, autolesionisti. Noto spesso un serio problema di comunicazione fra docenti e famiglia, non sempre per colpa dei docenti, va detto. Si crea un cortocircuito dove il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo, N.d.R.) non basta per appianare le problematiche, e tutto ciò influenza negativamente lo sviluppo didattico e comportamentale del bambino con disabilità”.
Una facciata di finta inclusione fa perdere credibilità allo stesso sistema scolastico attuale: “Sul mio blog lancio spesso una provocazione scrivendo che a questo punto sarebbe meglio tornare alle scuole speciali, dedicate soltanto ai bambini autistici e dove esiste del personale altamente formato in grado di fronteggiare qualunque situazione. Faccio un confronto con Cuba, dove ci sono questo tipo di scuole che hanno laboratori dedicati alle autonomie, e gli alunni che ne escono hanno imparato un mestiere e tante cose utili. Vantarci di avere un sistema scolastico che integra gli allievi con disabilità, ma che poi manca di preparazione dei docenti di sostegno, di ore di sostegno, di continuità didattica e di materiale adatto non ha alcun senso”.
Infine Barbara evidenzia: “Si pensa sempre che basti avere un bambino con disabilità seduto in classe perché si possa parlare di inclusione. Non è così: dietro una vera inclusione ci sono conoscenza dei pari, accettazione, lavoro concreto in piccoli gruppi, collaborazione tra docenti e tra bambini. La strada da fare è lunga e un livello più alto di integrazione si può raggiungere solo con volontà e passione”.