La cultura senza gerarchie del MUMAC

La cultura più alta è da sempre quella che si abbassa, senza graffiarsi minimamente lo smalto. Nella visione ancora troppo geometrica di molte aziende italiane – dove nel periodo 2000-2015 la produttività registra un ritardo di 16 punti rispetto all’Europa, essendo cresciuta di un misero 1% rispetto al 17% del dato medio continentale (Fonte: Il […]

La cultura più alta è da sempre quella che si abbassa, senza graffiarsi minimamente lo smalto. Nella visione ancora troppo geometrica di molte aziende italiane – dove nel periodo 2000-2015 la produttività registra un ritardo di 16 punti rispetto all’Europa, essendo cresciuta di un misero 1% rispetto al 17% del dato medio continentale (Fonte: Il Sole 24 Ore) – è doveroso non perdere di vista la spinta di chi sta generando un valore culturale collettivo. Poche o tante che siano, grandi o piccole che appaiano, meritano di essere conosciute quelle realtà che non hanno esitato ad investire in nome di un intero territorio o di un comparto. Una valida mappatura è quella offerta dall’Associazione Museimpresa che promuove, anche online, la messa a sistema dei principali siti museali e archivi industriali italiani offrendo tracciati regionali e di prodotto.

Il valore aggiunto di un’impresa, che spesso si perde di vista dietro i fatturati, è la capacità di tradurre prodotto e tecnicismi in un vissuto semplice, accessibile, memorabile per tutti. Proprio come accade a Binasco, alle porte di Milano, al Museo per la Macchina da caffè targato Gruppo Cimbali: chiamarlo MUMAC è più facile. Più che uno spazio museale vero e proprio, un luogo di dialogo costante tra persone e cultura, aperto gratuitamente al pubblico di tutto il mondo ogni giorno della settimana comprese 2 domeniche al mese. Una collezione di 250 pezzi unici di cui 200 di proprietà del collezionista Enrico Maltoni e gli altri 50 dal patrimonio della famiglia Cimbali che continua a guidare con la sua quarta generazione. La vera forza del Mumac però sta ancora più in profondità ed è il voler rendere costantemente complici, affascinandoli, i dipendenti ad ogni livello. Ne parliamo con Simona Colombo, Group Marketing and Communication Director.

Da dove si parte per poter generare tanta apertura?
Per spiegare il senso di cultura che anima i nostri progetti, devo partire proprio dalla creazione del MUMAC che viene concepito in azienda nel 2009, in un momento storico ed economico indubbiamente difficile per lo stato delle aziende italiane. Il Gruppo Cimbali si avviava invece verso il centenario del 2012 e ragionava su come condividere quei 100 anni di storia e di successi. L’idea di partenza fu senza dubbio quella di condividere non soltanto la propria storia ma la storia di tutto il comparto: scegliemmo quindi di creare un centro di condivisione e di ricerca sul design, sull’estrazione del caffè, sul marketing e su tutto ciò che ruota attorno al prodotto, dedicandogli il museo. E fu inaugurato rigorosamente con una giornata di preapertura per i nostri dipendenti. Per noi non poteva essere che così, lo facciamo ad ogni inaugurazione di mostra o altro: di norma questo accade il venerdì pomeriggio, dalle 16.30 in poi. La preapertura è sempre per noi.

Arriviamo al punto: progetti culturali di altissimo valore che includono sempre le persone che lavorano per voi, dai dipendenti interni a tutta la rete di collaborazione esterna, fornitori e clienti inclusi.
MUMAC ha segnato il passo in questa direzione. All’open day furono invitati tutti i nostri collaboratori coinvolgendo le nostre 9 filiali (7 all’estero e 2 in Italia), senza escludere le famiglie. Ma invitammo anche tutti i nostri clienti che vuol dire catene Horeca, torrefattori, la rete di oltre 700 partner di assistenza (concessionari, distributori, centri servizi assistenza) e anche alcuni clienti finali come tantissimi bar storici a cui siamo più legati. Volevamo che il MUMAC nascesse sia come luogo di cultura intorno alla macchina per caffè facendolo rappresentare e vivere, sia come simbolo sociale e di costume. Oltre a questo volevamo che diventasse un centro di comunicazione con i clienti, con il territorio, con i consumatori, con la stampa.
Cultura e design: è possibile renderli affascinanti per tutti?
Semplificando i concetti e mettendo in relazione le persone, tutto accade. Si vede anche passeggiando per il Mumac l’importanza dell’oggetto macchina per il caffè inserita dentro passaggi storici continui in cui la macchina si è evoluta insieme agli usi e ai costumi. Basta pensare anche a come, negli ultimi 150 anni, sono cambiati i materiali, le luci, la disposizione delle forme. E poi noi collochiamo la macchina per caffè in un luogo dove le persone si incontrano e parlano, un luogo che alla fine vive e riflette i gusti e i materiali, le ergonomie. Il senso è anche far capire che il design degli oggetti cambia grazie all’interazione uomo-macchina e questo passaggio riguarda ognuno di noi, nessuno escluso. La cultura in azienda deve passare anche attraverso valori nuovi che per noi in Gruppo Cimbali sono la digitalizzazione, la localizzazione e non da ultimo l’energy saving insieme ovviamente alla qualità in tazza del caffè. Oggi le macchine sono il 30-40% in più eco rispetto al passato o a quella di riferimento della concorrenza sul mercato. Il design deve tornare ad essere ciò che è davvero ed è per questo che noi puntiamo al disegno, al lavoro su un progetto che parte dal consumatore, dal mercato, dall’uso, dall’interazione con il cliente.

Cosa si restituisce ad un territorio attraverso la cultura?
Il nostro legame coi luoghi è fortissimo perché il Museo nasce per essere un centro di attività rivolto al futuro. La cultura si genera in tante forme e con tanti stili. Noi abbiamo interlocutori molto eterogenei e sta alla nostra professionalità riconoscere uno stile corretto per ognuno di loro. Per il pubblico comune apriamo le porte anche di domenica, per i coffee lovers creiamo appuntamenti culturali, per i tecnici offriamo formazione.

Tutte le aziende dovrebbero accettare che la formazione è anche relazione.
In Mumac Academy i primi ad essere formati sono sempre i dipendenti, diversamente il progetto non avrebbe senso perché l’impronta culturale di un’azienda deve innanzitutto essere coerente dall’interno. Siamo poi anche Ente certificato e certificante per baristi ed operatori, erogando corsi sia tecnici che sensoriali. Chi entra in Gruppo Cimbali passa per la formazione della Academy se ricopre posizioni di marketing, vendita, comunicazione di prodotto e non solo. Lo stesso trattamento è riservato anche ai nostri clienti, ad esempio grandi catene che hanno decine e decine di operatori a cui forniamo le macchine: in quei casi o andiamo noi da loro o vengono loro da noi e lo scopo della formazione è ottimizzare l’uso della macchina perché quell’oggetto che sta sul bancone è uno dei principali ritorni di investimento. Un buon uso della macchina ha sempre un ritorno sul locale.

E’ possibile parlare del valore contemporaneo del digitale senza ridurlo solo a numeri e fatturati?
I direttori marketing si sono ritrovati a lavorare moltissimo nei contesti digitali e questo salto ci ha offerto una flessibilità di contenuti, di comunicazione e di incontro con il mondo esterno come niente prima d’ora. Se dovessimo chiederci cosa può mancare a chi oggi è un senior director che deve portare l’azienda verso l’applicazione della strategia, senza dubbio direi la cosiddetta “physical evidence”, la prova fisica dell’esistenza dei marchi (per noi, La Cimbali e Faema). Quando sono arrivata in Gruppo Cimbali io ho trovato il MUMAC che è diventato parte della strategia di marketing e di comunicazione proprio perché testimonia la prova fisica di ciò che ruota intorno al marchio.

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