A Scanzano Jonico gli antesignani del No-Tav

Chi se lo ricorda? Dipenderà dal fatto che nel resto d’Italia della Basilicata si parla (e si sa) poco, ma non sono in molti ad avere ancora in mente quello che successe a partire dal 13 novembre 2003. Eppure a Scanzano Jonico – paesino del Metapontino in provincia di Matera con meno di 8000 abitanti, […]

Chi se lo ricorda? Dipenderà dal fatto che nel resto d’Italia della Basilicata si parla (e si sa) poco, ma non sono in molti ad avere ancora in mente quello che successe a partire dal 13 novembre 2003. Eppure a Scanzano Jonico – paesino del Metapontino in provincia di Matera con meno di 8000 abitanti, lungo il litorale ionico, a pochi chilometri dal confine con la Puglia – cominciò spontaneamente una protesta destinata a lasciare il segno; quella che fin dall’inizio un giovane Nichi Vendola, leader della sinistra radicale e futuro governatore pugliese, definì “la più intensa stagione di disobbedienza civile che si sia mai conosciuta”.

 

La protesta pacifica di Scanzano Jonico contro il deposito di scorie nucleari

Successe questo. Quasi inaspettatamente, il governo Berlusconi fece sapere di aver deciso: il primo deposito nazionale di scorie nucleari (quelle delle vecchie ex centrali atomiche, più i residui industriali e ospedalieri) sarebbe nato lì, nelle viscere del giacimento di salgemma sottostante rigogliosi frutteti, serre traboccanti di fragole, fichi d’india, agrumeti e uliveti. Nessuno nella zona era mai stato ufficialmente consultato, né la popolazione né le istituzioni. Cosicché da un giorno all’altro – anzi, da un’ora all’altra – scoppiò l’antesignana delle tante rivolte No-Tav e simili degli ultimi anni. Con la differenza che all’epoca nessuno usò mai la violenza, e nonostante la grande, appassionata mobilitazione, decine di migliaia di persone manifestarono ininterrottamente per oltre due settimane senza mai cercare lo scontro con le forze dell’ordine.

Pareva difficile che l’iniziativa nata dalla protesta della popolazione di Scanzano, e soprattutto dei suoi giovani, potesse diventare un fenomeno di massa. A Palazzo Chigi e dintorni si pensava di poter zittire tutti velocemente, a colpi di promesse; in fondo, era un minuscolo e sconosciuto paese della poco nota Lucania. Invece la protesta fece subito proseliti in tutta la regione e nella vicina Puglia; poi – come un piccolo incendio ingigantito dal vento della protesta – coinvolse ragazzi e non-ragazzi di tutta Italia; poi rimbalzò sui mass media internazionali. La mobilitazione colse di sorpresa e fece arretrare il governo Berlusconi, costretto nel giro di 15 giorni a ritirare il decreto dedicato alla creazione del sito nazionale. E a Bombay, in India, si svolse una consacrazione planetaria: nel documento costitutivo della Rete Mondiale Antinucleare, Scanzano fu eletta modello di conflitto non violento”.

La decisione governativa era stata presa in modo un po’ subdolo, per giunta resa operativa proprio nel giorno del lutto per i militari italiani massacrati a Nassiriya, in Iraq. Si cercò di nascondere sotto il tappeto del lutto nazionale l’imposizione di una scelta che, per le persone coinvolte, l’ambiente, il tessuto sociale e l’economia agricola, era terrificante. Non ce la fecero. E la grande manifestazione del 23 novembre 2003, che mobilitò più di centomila persone, segnò la fine (o meglio, il congelamento, visto che l’idea fa ancora capolino in documenti più o meno ufficiali) del progetto.

 

La Basilicata, le fragole e l’uranio: le voci della protesta

Quella pacifica rivolta popolare però è diventata, e resta nella memoria, come una vittoria della gente di Scanzano per la tutela del territorio e delle sue risorse, della dignità e della volontà popolare; contro ogni speculazione politica e finanziaria, contro l’imposizione di modelli che col territorio e la sua cultura contadina non c’entrano nulla. Senza dimenticare l’orgoglio per l’alta qualità dell’agricoltura locale: il Metapontino era ed è tuttora il maggior produttore di fragole in Italia; quella discarica avrebbe sconvolto la catena economica legata a queste e ad altre produzioni agricole. Si può dire che i contadini e i loro figli (anche quelli laureati e finiti altrove) passarono dalla memoria di non lontane lotte agrarie novecentesche alla protesta contro il nucleare: per proteggere il diritto di non essere considerati una discarica umana.

 

A quei giorni che portarono la Basilicata alla ribalta è dedicato un libro uscito nel 2008, Fragole e uranio (Palomar, Bari), ormai introvabile. Il titolo fu ispirato da Fragole e Sangue (The Strawberry Statement), film del 1970 diretto Stuart Hagmann, dedicato alla protesta degli studenti universitari americani di Berkeley nel 1964. La prefazione venne scritta da Beppe Grillo, agli esordi sul fronte politico. Vi si legge: “Il cittadino si sta svegliando. Si sta accorgendo che la cosa pubblica gli appartiene. Soprattutto quando in gioco è il suo destino e quello dei propri figli”. Perché il governo decise di realizzare il primo deposito di scorie nucleari? Quali criteri ispirarono la scelta della Basilicata? Scientifici? Strategici? Grillo: “Niente di tutto questo: si è deciso di mandare tutte quelle scorie in Basilicata perché nessuno sapeva dove si trovasse! Non ho mai sentito dire: ‘Domani devo andare in Basilicata’. Terra sconosciuta. Terra di pochi”.

Il libro ripercorre la storia delle proteste, le sue premesse e le sue prospettive. Era stato scritto da Pasquale Stigliani e Francesco Buccolo, allora giovani protagonisti e leader del movimento. “Avevamo bisogno di un nome. ScanZiamo le Scorie: accettammo la proposta di Pasquale, ci sembrava incisiva e allo stesso tempo facile da ricordare. In più si addiceva a Scanzano e richiamava il pericolo delle scorie nucleari”.

Che cosa resta di quei giorni? Pasquale Stigliani, laureato in Scienze politiche a Bari con una tesi su La Basilicata e il petrolio. Interessi locali e interessi industriali, allora aveva 28 anni; ora ne ha 43 ed è capo della segreteria particolare di Gianni Pietro Girotto (M5S), presidente della Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato. Fa il pendolare tra Roma e Scanzano, dove gestisce ancora l’attività agricola di famiglia. Racconta a Senza Filtro: “I problemi ci sono ancora. Basti pensare che sempre in Basilicata e non lontano da Scanzano, a Trisaia di Rotondella, c’è l’impianto ITREC (Impianto di Trattamento e Rifabbricazione Elementi di Combustibile, N.d.R.) di Sogin (società di Stato responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della gestione dei rifiuti radioattivi; ha anche il compito di localizzare, realizzare e gestire il deposito nazionale, N.d.R.), all’interno del Centro di ricerca Enea (agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, N.d.R.)”.

 

Che cosa succede lì?

A distanza di anni dalla scoperta della contaminazione della falda acquifera, sulla quale la magistratura sta indagando, non sono ancora iniziati gli interventi di bonifica. Gli esempi potrebbero essere tantissimi. È necessario completare il programma italiano della gestione dei rifiuti radioattivi, nel quale devono essere chiariti molti aspetti su gestione, messa in sicurezza e smaltimento.

E il deposito nazionale previsto dalle vostre parti? Non se ne parla più?

Ogni tanto Scanzano salta ancora fuori. Noi vigiliamo. Però, a distanza di 15 anni, riteniamo che non sia cambiato molto. Ovunque il deposito sarà fatto in Italia, non è ancora chiaro di che cosa si tratti.

Che cosa non è chiaro?

Restano senza risposta molte domande. Ospiterà anche i rifiuti radioattivi industriali, oltre quelli ospedalieri? Quelli militari andranno in un altro deposito o rimarranno lì dove sono? Si avvieranno trattative per allontanarli dal nostro Paese? Le domande aperte sono ancora troppe. Se il governo non avrà la capacità di rispondere in trasparenza, sarà difficile andare sui territori a spiegare alla gente che a pochi chilometri da casa potrebbero avere un’area potenzialmente idonea per ospitare un deposito del genere.

 

Di certo, i lucani non hanno mai scordato quell’ennesima scelta calata dall’alto. Per ora Scanzano è tornata nel dimenticatoio, per lo meno sul fronte nucleare. Pochi giorni fa, il 29 aprile, sui giornali locali si poteva leggere: “Da oggi Scanzano Jonico è nel Guinness dei Primati per la torta di fragole più lunga del mondo”. Lunga 60,48 metri, alta 11,5 cm e larga 40 cm. Sono serviti 60 quintali di frutta. Il record era detenuto in precedenza dalla Francia, con un dolce di 32,24 metri. Poi: “La Basilicata è la prima regione produttrice di fragole in Italia, con quasi 1.000 ettari e un aumento del 13% circa delle superfici coltivate rispetto allo scorso anno (24% della produzione nazionale)”. Nel 2003, già pochi giorni dopo l’annuncio del varo del deposito nucleare, molti grossisti italiani ed esteri avevano disdetto l’acquisto dell’oro rosso lucano. Temevano di ricevere fragole radioattive. E da quelle parti non se lo sono mica dimenticato.

 

 

Foto di copertina by http://www.lecronachelucane.it/2018/11/13/nucleare-a-15-anni-da-scanzano-jonico/

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