Chiusi in casa, fuori casa: come cambia la vita degli expat

Una ricerca del Centro Altreitalie esamina l’influenza del coronavirus sulle nuove migrazioni italiane. Quali differenze per chi emigra?

La pandemia innescata dal COVID-19 cambia il funzionamento dell’economia mondiale e sembra ridisegnare le geografie del lavoro, disancorandole dai modelli finora conosciuti.

Il Centro Altreitalie, specializzato in studi e ricerche sulle migrazioni, pubblica un nuovo volume (l’e-book sarà disponibile dal 23 ottobre, la versione cartacea dal 28), Il mondo si allontana? Il COVID-19 e le nuove migrazioni italiane di Maddalena Tirabassi e Alvise Del Pra’ (con la prefazione di Piero Bassetti). Il testo racconta il lockdown vissuto allestero dagli espatriati italiani e si interroga sulle traiettorie che prenderà la mobilità nel prossimo futuro.

Se la prima parte del volume, edito da Accademia University Press, raccoglie testimonianze e interviste degli expat durante i primi mesi dell’emergenza sanitaria (hanno risposto al questionario ben 1.200 italiani, residenti da non più di 15 anni in 57 Paesi: Germania, Francia, ma anche Emirati Arabi Uniti, Cina, Filippine), la seconda commenta quanto è successo attraverso le considerazioni di addetti ai lavori, politici, funzionari ed esponenti di associazioni.

Migranti integrati e migranti invisibili: il lockdown evidenzia le condizioni degli espatriati

Il mondo si allontana? Il COVID-19 e le nuove migrazioni italiane ricostruisce innanzitutto le reazioni e le paure che hanno attraversato gli italiani all’estero nei primi momenti drammatici della crisi: il timore di perdere il lavoro; la preoccupazione per i cari rimasti a casa; l’incertezza derivante da una gestione della pandemia che variava da Stato a Stato; la decisione di rientrare in Italia; l’esperienza della quarantena in una minuscola stanza d’affitto.

In Italia, così come all’estero, non tutti hanno vissuto la chiusura generale allo stesso modo. Come fa emergere l’inchiesta, i nuovi migranti economicamente più integrati hanno mostrato di affrontare bene il lockdown. La grande maggioranza ha continuato a lavorare, chi in presenza (15%), chi in modalità telelavoro o smart working (52%). L’11% ha usufruito di ammortizzatori sociali come la cassa integrazione o l’aspettativa retribuita.

In base alle testimonianze, i più colpiti sono stati i lavoratori del settore della ristorazione, a cui probabilmente appartiene quel 6% degli intervistati che ha perso il lavoro, e molti degli “invisibili” arrivati negli anni più recenti e di solito non iscritti all’Anagrafe Italiani Residenti all’Estero (AIRE).

“Gli invisibili – spiega a SenzaFiltro la co-autrice Maddalena Tirabassi – sono una categoria molto ampia presente in grandi numeri ovunque, dall’Australia agli Stati Uniti, ma anche nei primi Paesi di immigrazione in Europa, come Germania e Regno Unito. Tra di essi, lavoratori in nero impiegati nei settori legati all’agroalimentare e alla ristorazione. Molti i giovani senza un lavoro stabile a Londra e a Dublino, sprovvisti di assistenza sanitaria e di una residenza ufficiale. Con il coronavirus gli invisibili sono stati costretti a uscire allo scoperto, come mostrano le centinaia di richieste di aiuto pervenute al Consiglio Generale degli Italiani all’Estero (CGIE). Uno degli aspetti delle nuove migrazioni più difficili da approfondire è, quindi, proprio quello degli invisibili, affrontato in più interventi del libro”.

Coronavirus e migrazioni, tra i criteri di scelta compare anche la sanità

Nella ricerca contenuta nel volume si chiedeva poi agli expat se la pandemia avesse messo in discussione la loro scelta migratoria.

La maggioranza ha risposto di no – continua Maddalena Tirabassi – ma occorre tenere presente che il questionario è stato auto-compilato e diffuso tramite passaparola. Con la nostra inchiesta siamo quindi riusciti a intercettare prevalentemente i più istruiti e strutturati, appartenenti alla fascia di età più matura: dai 30 ai 39 anni”.

Un dato è però certo. Con il coronavirus, come chiarisce un giovane italiano a Oslo, “si è aggiunto un criterio fondamentale per la selezione di un Paese nel quale trasferirsi: la sanità!”. La situazione non è stata omogenea. Gli italiani in Francia e in Germania si sono detti soddisfatti delle decisioni prese dalle istituzioni; più scettici i residenti in Usa, Regno Unito e Svezia, sia sul fronte sanitario che del lavoro.

“La crisi, almeno all’inizio, ha fatto prevalere nel Vecchio Continente sentimenti di appartenenza nazionale che hanno offuscato l’identità europea, in passato molto forte tra le giovani generazioni. Le interviste e gli interventi degli addetti ai lavori hanno registrato un cambiamento di atteggiamento nei confronti dellUe, inizialmente segnato da unostilità attenuatasi man mano che il dibattito sulle misure da prendere si concretizzava nel dibattito della Commissione europea”, spiega la co-autrice.

Generazioni future, chi va e chi resta?

La pandemia purtroppo non si è esaurita, ed è perciò prematuro avanzare ipotesi sul futuro delle mobilità. Molti elementi emersi nel volume inducono Maddalena Tirabassi a prevedere un proseguimento, seppur diversamente articolato, delle migrazioni italiane, con un numero contenuto di rientri.

“Restano le tradizionali motivazioni economiche, come ha sottolineato l’onorevole Fabio Porta. Esiste poi una fascia di nuovi emigrati italiani oramai strutturata, che ha alle spalle diversi anni di permanenza all’estero, una carriera avviata, conoscenze linguistiche consolidate e, spesso, anche una famiglia”.

C’è poi un altro aspetto da considerare. “Il mondo si è allontanato fisicamente, ma si è anche avvicinato grazie all’ICT e allo sviluppo delle varie forme di lavoro a distanza: smart working e telelavoro potranno consentire di scegliere dove risiedere a un numero sempre maggiore di persone, senza varcare alcun confine. In questo caso, se la scelta di vivere all’estero dipendeva da motivi lavorativi, potrebbe venire meno la ragione originaria”. Resta da vedere se i profili meno qualificati o i lavoratori di settori che non potranno usufruire della flessibilità da remoto continueranno a emigrare per la mancanza di opportunità in Italia.

“Il grande interrogativo – conclude Maddalena Tirabassi – sulle cifre delle migrazioni riguarda non tanto questa generazione ‘Erasmus’, cresciuta all’insegna delle libertà di movimento, ma le prossime, o quantomeno proprio la Next Generation, che non sappiamo per quanto tempo sarà costretta a studiare e lavorare in remoto. Così come restano le incertezze sul futuro delle famiglie transnazionali come le abbiamo viste affermarsi negli ultimi decenni”.

Photo credits: www.medium.com

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