La necessità di risorse per il settore sanitario in Giappone ha spinto il paese a cercare persone all’estero ma la selezione per ottenere le qualifiche lavorative è una barriera per l’ingresso.
Come Cambia la Professione Giornalistica
Già a fine 2013, all’interno dell’inserto dedicato alle evoluzioni nel mondo del lavoro di «la Repubblica», furono pubblicate due interviste, realizzate dal sottoscritto, a Marco Bardazzi, Caporedattore Digitale del quotidiano «La Stampa», e a Ciro Pellegrino, Capocronista del quotidiano all digital Fanpage e responsabile del coordinamento Giornalisti Precari Campani. Le interviste offrono uno spaccato tanto qualificato quanto interessante, […]
Già a fine 2013, all’interno dell’inserto dedicato alle evoluzioni nel mondo del lavoro di «la Repubblica», furono pubblicate due interviste, realizzate dal sottoscritto, a Marco Bardazzi, Caporedattore Digitale del quotidiano «La Stampa», e a Ciro Pellegrino, Capocronista del quotidiano all digital Fanpage e responsabile del coordinamento Giornalisti Precari Campani. Le interviste offrono uno spaccato tanto qualificato quanto interessante, in entrambi i casi, sul futuro prossimo venturo dell’informazione e della professione giornalistica nel nostro Paese, restando di assoluta attualità.
In particolare Bardazzi dichiarava che “Farsi assumere è diventato complesso, per una serie di motivi molti dei quali si spera siano congiunturali. Un consiglio di fondo: rendersi indispensabili. I giornali devono innovare, ma non hanno tutte le risorse professionali al loro interno per farlo. Nella caccia al posto di lavoro, è avvantaggiato chi sa offrire risposte alle nuove domande di contenuti di qualità digitali che stanno emergendo: video, data journalism, visualizzazioni, infografiche. I giornali, che hanno difficoltà ad assumere, possono però trovare forme creative per trasformarsi anche in incubatori di start-up. L’innovazione, nel nostro mondo, passerà da qui”.
Sempre in tema, da un’analisi effettuata sui bilanci, dal 2009 al 2013, di sei dei principali gruppi editoriali italiani emerge una riduzione media degli organici di quasi un quarto con punte che arrivano in alcuni casi, quale quello relativo a RCS, al 33% di tagli del personale. Una falcidia.
A fine 2014, il “Rapporto sulla Professione Giornalistica in Italia”, realizzato sulla base dei dati forniti a Lsdi dagli enti professionali: Casagit, Fnsi, Inpgi ed Ordine, nella sua quinta edizione fotografa puntualmente le principali linee di fondo dell’ evoluzione del sistema dell’ informazione giornalistica nel nostro Paese. Dalla desk research emergono cambiamenti strutturali che è opportuno approfondire poiché consentono di comprendere in profondità le trasformazioni avvenute, le prospettive occupazionali ed i cambiamenti in atto nella professione.
In un quadro di forte contrazione, paradossalmente continua a crescere il numero dei giornalisti iscritti all’ Ordine dei Giornalisti. Seppure i tassi di crescita siano nettamente rallentati rispetto agli anni 2000 il tesserino, sia esso da giornalista o da pubblicista, continua a mantenere un suo appeal e sono ancora in molti a credere di poter essere con successo dei professionisti dell’informazione. Sette giornalisti su 10 iscritti all’ordine [il 71,3%] sono pubblicisti; percentuale che è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi due decenni. In realtà gli attivi costituiscono solo il 47,1% degli iscritti all’ albo. Una percentuale che tra l’altro è ‘’gonfiata’’ dal fatto che tra gli attivi figurano posizioni in atto in passato ma che successivamente si sono ‘’estinte’’. Un dato che la dice lunga sul divario tra percezione e realtà dei fatti.
Anche tra coloro che sono attivi la forbice fra lavoro dipendente e lavoro autonomo si divarica sempre di più. Alla fine del 2013 la percentuale degli ‘’autonomi’’ sulla popolazione giornalistica attiva continua la sua crescita, passando dal 59,5% del 2012 al 62,6%. Dall’altro lato i subordinati, i dipendenti, calano dal 40,5 al 37,4%.
È sul fronte dei redditi che aumentano profondamente le differenze. Infatti, i redditi medi del lavoro autonomo sono solamente il 17,9% di quelli del lavoro dipendente, di ben 5,6 volte inferiori. In particolare la retribuzione media lorda annua del co.co.co – 8.832 euro – resta di 6,9 volte inferiore, mentre quella del ‘’libero professionista’’ è 4,7 volte inferiore, seppur lievemente migliorata rispetto al 2012 quando era inferiore 5,5 volte. Crescono i dipendenti che fanno anche lavoro autonomo, ma il 31,6% di loro non supera complessivamente i 30.000 euro lordi all’ anno.
I rapporti di lavoro in quotidiani, periodici, TV ed agenzie di stampa, che nel 2000 rappresentavano l’ 83,2% del lavoro giornalistico dipendente sono calati alla fine del 2013 al 64,9%. Il taglio dei rapporti di lavoro si è fatto sentire in maniera molto forte nel settore dell’ emittenza nazionale – Mediaset, ecc. – con un calo del 14%. Tagli pesanti anche nelle agenzie di stampa, con un -11,8%, e nell’ emittenza locale, -9,6%. Colpiti anche il settore dei quotidiani [-6,3%] e quello dei periodici [-5,8%].
Sono due le aree d’intervento, di evoluzione, che emergono dall’analisi dei dati del rapporto e dalle altre informazioni disponibili.
In primis, il problema di fondo non è tanto quello, seppur dolorosamente necessario, del taglio dei costi quanto quello della crescita dei ricavi. Infatti il taglio di personale non è di per se stesso sufficiente a garantire la sostenibilità economica delle imprese del settore, delle testate giornalistiche. Ne deriva la necessità di identificare migliori e maggiori fonti di ricavo che suppliscano al calo di vendita di copie e raccolta pubblicitaria.
Per quando strettamente correlato al personale, l’aspetto da risolvere è fondamentalmente relazionato all’organizzazione del lavoro e alla sua strutturazione; alla revisione di come è concepita una redazione, la sua organizzazione, i criteri di ripartizione dei carichi di lavoro e le nuove professionalità richieste per far fronte alle sfide del digitale. Una riorganizzazione che, osservando altri comparti, altri mercati, nei quali questi interventi di lean organization sono stati effettuati almeno un decennio fa, non si può non rilevare quanto siano necessari in quest’ambito.
Dall’altro lato è proprio su nuove professionalità, nuovi skill, che può fondarsi una sostenibile, anche in termini economici e di remunerazione, evoluzione del ruolo del giornalista. In termini di ruolo il giornalista, qualunque sia la sua area di specializzazione, dovrà essere sempre più catalizzatore, aggregatore e selezionatore dei contenuti e delle informazioni disponibili in Rete, anche sempre più spesso fornite da parte di “normali cittadini”, dando poi armonia e senso compiuto alle stesse. Per quanto riguarda gli skill vi sono enormi opportunità sia dall’apprendimento di aspetti tecnici ancora non molto diffusi, si pensi al data journalism per citare uno tra i più noti, che dall’emergere di nuovi ruoli professionali quali, ad esempio, il Social Media Editor o il Managing Director for Membership Strategies. Complessivamente nelle redazioni c’è sicuramente più bisogno di professionisti flessibili che siano a loro agio con i video, le immagini, la multimedialità. Non vi è dubbio che già attualmente le maggiori opportunità siano in quest’ambito.
Pensate, pensiamo, al tapis roulant sul quale, per non scivolare, per non andare all’indietro, è necessario mantenere la velocità, la corsa. Credo sia una metafora, un’immagine mentale che ben si adatta al mondo dell’informazione, a giornalismo e giornalisti: o saremo in grado di mantenere il ritmo dell’evoluzione, del cambiamento da parte delle tecnologie e delle persone o inevitabilmente ne saremo estromessi. Evolversi o perire, in fondo, è una teoria nota, e dimostrata, già dai tempi di Darwin, meglio non dimenticarsela mai.
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