Lavorare costa e che nessuno lo neghi. Quando sento confondere le passioni col lavoro, penso a quanto sia subdola l’illusione che soffia sul collo all’onestà. Le passioni ci bruciano, fino a seccarci, se non usiamo buoni anticorrosivi: il migliore in assoluto si chiama senso di realtà. Alle passioni la colpa non ci sentiamo mai di […]
Editoriale 23. Dentro o Fuori
Se il livello di appartenenza si misurasse da una tessera, saremmo tutti fedeli. Per quanto i nostri gesti quotidiani siano spesso agganciati a una fidelity card, non è dai lati plastificati di un rettangolo che calcoliamo la vera superficie di adesione, sia che si tratti di semplici acquisti o di presunte passioni. Chi decide di […]
Se il livello di appartenenza si misurasse da una tessera, saremmo tutti fedeli.
Per quanto i nostri gesti quotidiani siano spesso agganciati a una fidelity card, non è dai lati plastificati di un rettangolo che calcoliamo la vera superficie di adesione, sia che si tratti di semplici acquisti o di presunte passioni. Chi decide di appartenere chiede oggi più che mai una sola cosa: la coerenza. Soltanto la politica e le associazioni di categoria stanno ancora chiuse nello scantinato a fare il saldo tra nuovi tesserati e vecchi delusi. I dati di Openpolis, in costante aggiornamento, dicono che in questa legislatura mediamente ogni 30 giorni 10 parlamentari cambiano la propria casacca.
Fino a non troppi anni fa, una fitta rete di contatti professionali si misurava anche dal numero di biglietti da visita raccolti e collezionati: non che la matematica garantisse la qualità ma per lo meno certificava uno sforzo. Oggi i biglietti vengono sempre più assorbiti dai contatti digitali dove il marketing relazionale purtroppo spopola e imbarazza, di pari passo con l’inerzia con cui le persone vivono e utilizzano quelle stanze invisibili. Lavorare e navigare è diventato un sinonimo, talvolta una sovrapposizione, e fin qui nulla di male. Il problema è illudersi che per far parte di un mondo sia sufficiente metterci un piede dentro. Il bello invece arriva dopo quando, messo un piede, tocca decidere se fare un passo anche con l’altro piede o ritrarre pure il primo.
È il confine, simbolico o reale, che ci restituisce un metro di misura e ci costringe ad aderire ad uno stile, chiamiamolo così. Vale nel lavoro, tra persone, negli uffici, come liberi professionisti, nella vita da blogger o se sei un imprenditore. Il caso Totti-Spalletti ci offre però l’assist per una interpretazione manageriale che apre alle eccezioni: se devi gestire un campione, in azienda o su un campo da gioco, ti conviene consentirgli qualche deroga per i pesi generali del sistema. Ne parliamo in questo numero.
Il “Dentro o Fuori” su cui si è misurato Senza Filtro è uno sguardo sulle linee di demarcazione nel lavoro e nei contesti sociali che fanno da cornice. In alcuni casi, più che linee abbiamo trovato solchi: gli ordini professionali continuano a muoversi come le corporazioni medievali da cui presero origine, i fondi per la ricerca non riescono ancora a fare il salto, a Napoli o accetti certe condizioni di lavoro o perdi il giro, nelle riforme che fingono di equiparare lavoratori autonomi e dipendenti stanno usando il confine per il tiro alla fune ma prima o poi finiranno per romperlo.
L’alternativa più attuale sembra essere il passaggio elastico, l’assenza di rigidità, l’inclusione che favorisce il dissenso. Anche il networking, diventato multiforme pur di sembrare attrattivo, vive una nuova stagione ricordandoci che il valore non deriva dalla rete che conosciamo ma da quella che ci conosce. Le relazioni interpersonali, ormai lo conferma la scienza, sono tra le poche attività in cui i robot non sapranno sostituirci quindi prima impariamo a viverle al meglio, più ci ipotechiamo un pezzetto di futuro.
Certe appartenenze professionali non garantiscono più i diritti di una volta, la bilancia si è spostata. Altre appartenenze, più profonde, godono però ancora di grandi privilegi che all’esterno arrivano già come posizioni acquisite. Come sempre, la lunghezza che scegliamo di dare al passo è il primo indicatore di quanta strada faremo.
Ciò che nemmeno il mercato mondiale però perdona più è l’accelerazione eccessiva, lo scatto troppo lungo: ogni sistema, grande o piccolo che sia, ha un equilibrio interno che chiede di essere rispettato. Nei giorni scorsi la Camera di Commercio europea a Pechino ha fermamente dichiarato la overcapacity della Cina. Dal 2009 la situazione è persino peggiorata nonostante gli avvertimenti: produce troppo, falsa la concorrenza, ostacola le riforme e in parole povere stanno per saltare i sistemi, i crediti e la finanza che di riflesso è anche la nostra.
Ciò che si vede fuori non è mai fedele a ciò che accade dentro, ciò che si vede dentro è sempre più oggettivo di come viene interpretato fuori. Ognuna delle due posizioni richiede diverse lunghezze del passo e coinvolgimenti completamente opposti. In ogni nostro lavoro c’è un confine e se non riusciamo a vederlo è solo perché ci abbiamo messo i piedi sopra, mentre cerchiamo di capire se valga più la pena entrare o uscire da quella scelta.
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