Sullo spostare il contratto dei farmacisti collaboratori nel comparto della sanità privata concorda anche Francesco Imperadrice, presidente del SINASFA, il Sindacato Nazionale Farmacisti Non Titolari.
“Quello del contratto del commercio è davvero un paradosso”, dice, “e si pensi che per avere il rinnovo abbiamo dovuto aspettare nove anni. Il contratto scadeva nel 2013, e nonostante debba essere rinnovato ogni quattro anni il nuovo accordo è stato sottoscritto solo nel 2019. Quindi per dieci anni i farmacisti collaboratori sono rimasti ancorati a una normativa economica risalente al 2009, con stipendi il cui potere d’acquisto era tangibilmente diminuito. E nel nuovo contratto non c’è stato riconosciuto un solo euro di una tantum, come era invece accaduto con i precedenti”.
Qualcosa di simile è successo per i farmacisti collaboratori anche negli anni del COVID-19: “Siamo stati in prima linea, osannati come eroi dai giornali, ma non abbiamo avuto alcuna premialità sotto il profilo economico: anche solo per una questione di dignità professionale un riconoscimento sarebbe stato il minimo”, dice il presidente SINASFA, che poi specifica: “I colleghi si sono ritrovati in busta paga un riconoscimento economico a dir poco ridicolo: ottanta euro lordi, in pratica due euro al giorno, 25 centesimi all’ora”.
“Eppure”, riflette Imperadrice, “il farmacista è una persona importantissima, è il professionista di riferimento per molti soggetti deboli: sapeste quanti di questi entrano in farmacia per chiedere l’indicazione di uno specialista o se determinati tipi di prodotti prescritti dal medico sono proprio indispensabili perché devono fare i conti con la pensione sociale che non basta mai”.
“Una volta mi chiamò il papà di una collega”, racconta. “Presidente, mi scusi, ma com’è che da quando mia figlia si è laureata, io non ho più il piacere di averla una domenica a pranzo?”. Era stata l’ultima arrivata in una farmacia aperta 365 giorni all’anno ed era stata contrattualizzata proprio perché facesse tutti i festivi”.
“E non dimentichiamo”, puntualizza la dottoressa Oriana C., “che se io sbaglio a leggere una prescrizione e fornisco un farmaco sbagliato, sono responsabile sia sotto il profilo civile, sia eventualmente sotto quello penale. Il lavoro di farmacista in sé mi piace, potrebbe essere anche un lavoro appagante e stimolante, se non fosse per come la nostra figura è percepita”.