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Gruppo Benetton, dai maglioni ai milioni (di multe)
Torniamo a occuparci delle gravi crisi aziendali che stanno mutando la geografia industriale del nostro Paese. Per i lavoratori dell’Ilva e dell’Alitalia, così come per la Popolare di Bari, non sono state vacanze natalizie serene; il rischio del default e della disoccupazione massiva resta incombente e all’orizzonte non ci sono buone notizie. La decisione della […]
Torniamo a occuparci delle gravi crisi aziendali che stanno mutando la geografia industriale del nostro Paese. Per i lavoratori dell’Ilva e dell’Alitalia, così come per la Popolare di Bari, non sono state vacanze natalizie serene; il rischio del default e della disoccupazione massiva resta incombente e all’orizzonte non ci sono buone notizie.
La decisione della magistratura di non chiudere l’altoforno dell’Ilva ha evitato che 3.500 lavoratori venissero messi in cassa integrazione con il nuovo anno e ha consentito la riapertura della trattativa, ma il caso Ilva è tutt’altro che risolto. Lo spettro del fallimento è alle porte e non si vedono strategie alternative alla gestione Arcelor-Mittal. Così come la farsa Alitalia, che dopo vent’anni di cambi di proprietà, fallimenti, rilanci e nuovi fallimenti di gruppi pubblici e privati è ancora una volta a un passo dalla bancarotta, e incredibilmente non si vedono all’orizzonte “cavalieri bianchi” capaci di evitare il disastro.
Ma oggi la cronaca ci impone di occuparci di un’altra potenziale crisi che potrebbe colpire uno dei più importanti gruppi industriali italiani: il gruppo Benetton.
Il Gruppo Benetton verso la revoca delle concessioni sulle autostrade
La spada di Damocle della revoca delle concessioni delle principali autostrade italiane è sempre più in bilico e non è affatto escluso che il governo nei prossimi giorni arrivi a decretare nelle prossime ore l’inedita “sentenza”. In quel caso, la famiglia di Ponzano Veneto ha fatto capire che ci sarebbero gravissime conseguenze sugli equilibri economici e finanziari del gruppo, e dunque sull’occupazione, essendo l’attività nelle infrastrutture italiane una parte preponderante del bilancio del gruppo Benetton.
Nelle ultime ore l’ipotesi della revoca totale sembrava attutita. Negli ambienti politici romani si parlava di una super multa al posto della revoca, o di una richiesta ad Atlantia di mettere in atto un rilevante sconto sulle tariffe autostradali. Ma il partito di maggioranza relativa del governo Conte, ovvero il Movimento Cinque Stelle, almeno per il momento non ne vuole sapere di trattative al ribasso.
Il ministro Patuanelli ha detto chiaramente che la revoca delle concessioni è ormai imminente e la ministra delle infrastrutture Paola De Micheli ha definito “irricevibili” le proposte di Atlantia, che si è limitata a un’offerta di 600 milioni per la ricostruzione del ponte Morandi. “Sono emerse carenze nella manutenzione e nei controlli che non sono stati fatti a regola d’arte. E non riguardano solo il Morandi”, ha affermato la ministra. Il riferimento è ai tanti siti senza controlli e al crollo dei calcinacci nella galleria Bertè A26 (Autostrada Milano-Ventimiglia) avvenuto il 31 dicembre; un evento che ha peggiorato la situazione della martoriata Liguria, e che certamente non aiuta i Benetton nella trattativa con il governo perché mostra che la politica dei controlli fa acqua da tutte le parti.
D’altronde le parole del primo ministro Giuseppe Conte (“Imperdonabili negligenze”) danno la misura dello stato delle trattative tra governo e gruppo Benetton per evitare la revoca, un provvedimento che sarebbe comunque clamoroso e senza precedenti. Nei giorni scorsi la Borsa aveva creduto in una trattativa che evitasse la revoca. I titoli del gruppo Benetton avevano infatti ripreso fiato dopo la débâcle, ma la presa di posizione ufficiale del M5S farà probabilmente precipitare di nuovo la situazione: “Maxi multa? Non scherziamo. Lo Stato non accetta carità, solo giustizia per le vittime. Per chi ha causato il crollo del ponte Morandi non ci saranno sconti”. Anzi: il M5S alza la posta in gioco e chiede al governo di revocare la concessione e abbassare comunque le tariffe autostradali.
La scomunica della Corte dei conti
A mettere sotto accusa il gruppo Benetton non c’è soltanto il governo. L’accusa più pesante arriva da un organo istituzionale neutro rispetto al governo: la Corte dei conti, che in una relazione resa nota alla Vigilia di Natale sul sistema delle concessioni delle autostrade ha puntato il dito su uno dei temi più delicati: il rapporto tra capitale pubblico e privato.
In particolare i giudici della Corte dei conti sostengono che in questo sistema ci sarebbe un forte squilibrio a favore dei privati. La Sezione centrale di controllo sostiene che è necessario: “Individuare il punto di equilibrio tra remunerazione del capitale e tutela degli interessi pubblici e dei consumatori, in un contesto di effettiva attuazione dei principi di concorrenza e di efficienza gestionale”. In questo settore ci dovrebbe essere collaborazione tra pubblico e privato, e invece prevale il contenzioso: “La conflittualità, dal 2012, si è inasprita, arrivandosi a 401 contenziosi pendenti”. Il Ministero delle Infrastrutture, spiega il dossier, “segnala la rilevante litigiosità con le concessionarie avente a oggetto, soprattutto, l’adeguamento delle tariffe, le approvazioni dei progetti, i provvedimenti sanzionatori, l’attuazione dei lavori, le sub concessioni”.
La Corte dei conti tocca poi il tema dei controlli e della verifica degli investimenti, sostenendo che su questi due punti ci sono state carenze evidenti e molte clausole contrattuali sono state e sono tuttora particolarmente vantaggiose per le parti private, che secondo la Corte avrebbero ottenuto extraprofitti in cambio di poca e scarsa manutenzione. Tutto ciò dopo la privatizzazione da parte di Atlantia-Benetton. I giudici della Corte dei conti ricordano di aver definito “illegittima” nel 1997, all’epoca del governo Prodi, la scelta di non ricorrere al mercato per le concessioni autostradali. Sotto accusa, dunque, anche i governi che affidarono le concessioni per decreto; e quando nel 2018 arrivò a scadenza la concessione di Atlantia, il governo in carica decise per il prolungamento fino al 2038 malgrado il parere contrario della Corte.
La tegola di Fitch sulle società dei Benetton
Dunque il gruppo Benetton è sotto schiaffo come mai lo è stato nella sua lunga storia. Ad aggravare la sua posizione non è soltanto la Borsa, che dopo un sussulto di ripresa è tornata a punire Atlantia, ma un evento che mercoledì scorso ha appesantito in modo grave la reputation finanziaria dell’impero dei Benetton.
L’8 gennaio l’agenzia di rating Fitch ha rivisto al ribasso il rating di Autostrade per l’Italia e quello della holding Atlantia, dato che il decreto Milleproroghe prevede di passare ad Anas la gestione della rete autostradale. Non appena l’agenzia di rating ha emesso il suo verdetto, da Ponzano Veneto è partito il grido di allarme: “La decisione di Fitch, unitamente ad analoga azione recentemente presa da un’altra agenzia di rating, potrebbe determinare, come potenziale effetto, la richiesta da parte della Banca europea per gli investimenti e della Cassa Depositi e Prestiti del ripagamento anticipato – sulla base dei contratti di finanziamento in essere – di prestiti erogati ad Autostrade per l’Italia per un importo di circa euro 2,1 miliardi di cui circa 1,8 miliardi garantiti da Atlantia, con conseguente assorbimento di linee di credito di Atlantia e di Autostrade per l’Italia”. Cifre da brivido che preconizzano guai seri per la tenuta finanziaria del gruppo, e quindi per l’occupazione.
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