Il sistema di etichettatura di origine francese ha diviso l’Europa, con l’Italia che rischia di vedere danneggiati alcuni prodotti di punta. Vediamo come funziona l’etichetta della discordia e quali sono le opinioni a favore e contro il suo impiego.
Il cibo pugliese giù al Nord
Puglia: terra di emigranti, di mare azzurro e di ottima cucina. Una regione che è diventata a tutti gli effetti un brand forte, vincente, e che molto deve proprio a questi tre fattori. In fondo, volendo risolvere la questione in maniera semplicistica, tra i promotori del suo cibo, delle sue bellezze paesaggistiche e della sua […]
Puglia: terra di emigranti, di mare azzurro e di ottima cucina. Una regione che è diventata a tutti gli effetti un brand forte, vincente, e che molto deve proprio a questi tre fattori. In fondo, volendo risolvere la questione in maniera semplicistica, tra i promotori del suo cibo, delle sue bellezze paesaggistiche e della sua accoglienza possiamo senza dubbio annoverare proprio i pugliesi trapiantati altrove, in Italia e all’estero.
Se un panzerotto o un piatto di orecchiette alle cime di rapa hanno ormai il valore di simboli universali, riconosciuti e riconoscibili, della regione più orientale d’Italia, la tradizione culinaria pugliese manifesta anche il bisogno di rivisitarsi e reinventarsi, aggrappandosi saldamente alle sue radici ma aprendosi a una declinazione mediata, che aggiunga valore senza snaturarne le fiere origini. C’è chi punta su un unico prodotto, riletto secondo i canoni più attuali, e chi si affida al meglio della cucina regionale, in un compendio mangereccio che segue anche le regole del cuore e porta i sapori di casa nelle città settentrionali.
Il marketing applicato al cibo pugliese: Pescaria e lo street food di mare
Pescaria è nata “quasi per caso” nel 2015, a Polignano a Mare, in provincia di Bari. Partita due anni fa alla conquista delle nebbie milanesi, oggi è presente nella città meneghina con due punti vendita e ha chiuso il 2018 con sette milioni di ricavi. Numeri non da poco, ottenuti grazie a un attento ascolto del mercato che ha permesso di trovare una nicchia libera, non ancora sfruttata.
A questo, però, vanno sommati due fattori rilevanti: Pescaria ha saputo svilupparsi grazie alle armi potenti del marketing e dei social network, come racconta Domingo Iudice, direttore marketing dell’agenzia Brainpull, uno dei tre soci. L’idea di un ristorante-pescheria, spiega, l’ha avuta “Bartolomeo L’Abbate, proprietario della pescheria Lo Scoglio. Me ne parlò e io, che ho all’attivo una laurea in Marketing con tesi sul panzerotto (sic!) e ho sempre avuto un pallino, fare fast food con un prodotto pugliese, ho capito che dovevo metterla in pratica. Abbiamo unito i puntini ed è nata l’idea di un fish bar, aperto in un locale di 40 mq nel cuore di Polignano a Mare”.
Pescaria punta su un grande classico della tradizione pugliese della costa: il panino di pesce, rivisitato dallo chef Lucio Mele, terzo socio dell’attività. “È un modo nuovo di mangiare buon pesce”, afferma Iudice, “crudo e cotto. E la nostra missione è portare la cultura del buon pesce dalla Puglia al mondo. Un panino alla volta”.
Esportare il concept a Milano
Per Iudice e soci giocare in casa non era la massima aspirazione, o comunque non l’unica. Dopo aver conquistato Polignano, infatti, il passo successivo è stato esportare Pescaria a Milano, una città densamente popolata di pugliesi, ma caratterizzata dalle proprie regole di mercato. Come sottolinea Iudice, infatti, “il brand Puglia è molto forte e nella mente dei consumatori, soprattutto nel capoluogo lombardo. C’è un’idea ben precisa di cosa sia cibo pugliese: la burrata, i panzerotti, la focaccia pugliese, le orecchiette, la braciola; ecco i piatti che si associano alla regione. Molto spesso, però, questi prodotti sono inclusi nei menù di pizzerie napoletane o format ristorativi non tipici, non regionali. Posso dire, sulla base della mia esperienza personale, che i prodotti pugliesi sono entrati nei consumi abitudinari della ristorazione e della clientela pugliese. Ma il brand Puglia, come ogni altro brand regionale, tende a diluirsi ad appannaggio di format retail basati sull’esperienza e la verticalità di prodotto. Mi spiego: se da un lato ci sono abbondanti trattorie e ristoranti pugliesi (ma questo è vero anche per tutte le altre realtà regionali), nei format retail l’identità di brand e la sua comunicazione giocano sui prodotti senza dover per forza di cose farvi perno. Infatti tutti sanno che Pescaria è pugliese grazie alla sua storia, nonostante nella quotidianità, come nel menù, la Puglia e la provenienza dei suoi prodotti non siano per nulla menzionate. Questo è normale, e soprattutto rende i nostri prodotti e le nostre imprese davvero globali”.
Al di là delle differenze nelle abitudini dei consumatori, Pescaria ha visto un’accoglienza calorosa, con ben sei ore di fila quando è stato aperto il primo locale. “Diciamocela tutta: abbiamo sempre pensato che se Pescaria avesse funzionato in Puglia, dove siamo abituati a una forma di consumo del tutto differente in fatto di pesce crudo, avrebbe potuto funzionare ovunque. I numeri effettivamente ci danno ragione. La domanda necessitava di un’offerta di prodotto ittico di qualità che potesse essere destrutturato, senza fronzoli e casual. Ovviamente, tra le due città ci sono differenze sostanziali nelle modalità di consumo: diciamo, in sintesi, che il milanese mangia mediamente meno, senza l’abitudine dello stuzzichino prima del piatto principale o senza un crudo o un fritto, che invece in Puglia molti avventori amano condividere”.
PugliaLab, una fucina culinaria che racconta una regione
Da Ginosa, in provincia di Taranto, arrivano invece i tre fratelli Di Tinco, che hanno all’attivo due aperture a Torino e una a Milano con PugliaLab. Pensato come franchising, il format includerà a breve anche un food truck. L’idea è di svilupparsi al nord, ma Nicola Di Tinco non esclude un’apertura nella terra d’origine, “magari sfruttando il fatto che conoscono già il nostro nome, anche se chiaramente la piazza è molto diversa, la competizione molto più alta”.
Emigrato a Torino dopo aver lavorato in Puglia nella ristorazione, prima di dar vita a PugliaLab Di Tinco si è occupato di distribuzione dei prodotti tipici regionali e ne ha colto il potenziale. Proprio come Iudice, raccontando l’idea che sta dietro il suo format sottolinea che “nella ristorazione qualcuno sporadicamente propone dei prodotti pugliesi, ma si tratta di iniziative singole o comunque non contestualizzate. Al contrario, ci siamo accorti che la domanda era consistente; per questo abbiamo pensato di proporre il meglio della Puglia a livello culinario, dalla focaccia barese alle pucce salentine. La nostra clientela è di tutte le età, dal pensionato emigrato ormai da anni che ritrova i sapori della sua terra, per il quale il cibo ha valore affettivo ed emotivo, allo studente, che può mangiare da noi senza spendere troppo, sentendosi un po’ più a casa”.
Cucina tipica: come sfruttare un’arma a doppio taglio
Proporre ricette tipiche significa anche esporsi a critiche: quando si toccano le tradizioni, e in particolare quelle culinarie, c’è il rischio di scontentare qualcuno. Ed è proprio questo argomento che affronto con Nicola, trovando delle conferme: “Molte ricette tipiche cambiano da un paese all’altro”, afferma. “In tutta sincerità, c’è chi storce il naso se trova un prodotto leggermente differente da quello che si aspetta. Magari dice che ‘non è l’originale’, ma la verità è che l’originale non esiste. Cucinare tutti i prodotti della tradizione è un’arma a doppio taglio, e noi cerchiamo di farlo nella maniera più rispettosa possibile”.
Un’altra conferma che ho dalla chiacchierata con Nicola è quanto il brand Puglia abbia beneficiato di tutti i pugliesi emigrati, che sono i migliori promotori del loro territorio e delle eccellenze. Le città di tutta Italia, ma soprattutto quelle del nord, pullulano di lavoratori e studenti fuori sede entusiasti delle proprie origini e impazienti di raccontarle e diffonderle. “Le persone tendono a essere abitudinarie, a frequentare gli stessi posti, ma dopo aver scoperto un locale, se sono soddisfatte, ci tornano”, racconta Di Tinco. “Molti pugliesi che vivono a Torino portano i loro amici a mangiare da noi, e a volte queste persone diventano nostri clienti, ma non solo. Questa estate, per esempio, abbiamo avuto anche diversi feedback da persone che sono state in vacanza in Puglia e che poi, venendo a mangiare da noi, hanno fatto un confronto tra quello che hanno provato giù e quello che prepariamo”.
Espressione di un popolo e di una cultura, elemento fondamentale per conoscere davvero un luogo, il cibo travalica i confini geografici, ma resta sempre un punto di riferimento che assume mille sfaccettature diverse, senza tradirsi. Vale in generale e vale per quello pugliese, che si reinventa e cambia pelle, anche a livello di strategia promozionale. Ma a ben guardare, forse, si tratta soltanto di un’evoluzione fisiologica.
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