Working Title Film Festival: al cinema Satana lotta con gli operai

Dalle lotte operaie del passato al lato oscuro del capitalismo odierno, con il lavoro che si fa gamification attraverso lo sfruttamento dei rider: a Vicenza si tiene la settima edizione del Working Title Film Festival, che premia le opere filmiche dedicate al mondo delle professioni

17.11.2024
Un fotogramma da un film in concorso nella settima edizione del Working Title Film Festival: "Working Class Goes To Hell"

Questa settimana SenzaFiltro vi porta virtualmente al Working Title Film Festivalfestival del cinema del lavoro di Vicenza arrivato alla sua settima edizione, che si è svolta dall’11 al 16 novembre. Originalità, attualità, freschezza di sguardo e sperimentazione sui linguaggi dell’audiovisivo sono le direttrici delle opere presentate alla manifestazione, promossa dall’associazione Lies – Laboratorio dell’inchiesta economica e sociale APS, in partnership con Cinema Odeon, Caracol Olol Jackson, DocServizi e Zerogloss, e con il patrocinio e il contributo di Regione Veneto e Comune di Vicenza.

Dal 2016, Working Title Film Festival si occupa di raccontare il lavoro in un’ottica contemporanea, concentrandosi su conflitti e opportunità, sulle trasformazioni in atto, sull’impatto delle innovazioni tecnologiche e sulla pluralità delle condizioni di lavoro in tutto il mondo.

“Working Title Film Festival è da sempre attento a valorizzare le produzioni indipendenti, i generi, i formati e i temi che fanno più fatica a emergere nei circuiti mainstream,” spiega la direttrice artistica Marina Resta. “In questa edizione le provenienze sono particolarmente varie: il Centro e Sud America con Cile, Colombia, Costa Rica, Perù e Venezuela, l’Europa con Belgio, Estonia, Francia, Germania, Italia, Svizzera, Repubblica Ceca e Serbia, e poi l’Armenia, l’Egitto e gli Stati Uniti”.

Il festival vicentino sostiene, inoltre, i professionisti dell’audiovisivo, promuovendo il dialogo con il mondo dell’impresa. Per questo, oltre alla competizione internazionale, il programma si è arricchito di due panel Industry: “Video storytelling tra arte e impresa” e “Fare cinema indipendente: modelli e opportunità”.

Novità di questa settima edizione è stata, infine, la partnership con il Premio Bookciak, Azione!, dedicata al rapporto tra cinema e letteratura.

Working Title Film Festival: le categorie di concorso premiano il cinema del lavoro

Sono 27 i film in concorso, distribuiti nelle tre sezioni principali: Lungometraggi & Mediometraggi, con film documentari, di finzione e di animazione sul tema del lavoro di una durata minima di 31 minuti; Cortometraggi, dalla durata massima di 30 minuti; ExtraWorks, con film ibridi, sperimentali, video arte, videoclip senza limiti di durata.

Proprio nella sezione ExtraWorks (il cui Premio Extraworks è stato dedicato a Chiara Rigione, regista e operatrice culturale prematuramente scomparsa nel 2023) c’è Trust Exercises (25’) di Sarah Friedland, regista rivelazione della sezione Orizzonti dell’ultima Mostra del Cinema di Venezia con il lungometraggio Familiar Touch, che ha ottenuto i premi di miglior regia, miglior attrice e Leone del futuro per il miglior esordio.

Un fotogramma dal cortometraggio "Trust Exercises", di Sarah Friedland
Un fotogramma dal cortometraggio "Trust Exercises", di Sarah Friedland

 

Muovendoci insieme, ripetutamente, creiamo e ricreiamo il corpo sociale: è questo il principio che emerge dal titolo finale della trilogia di cortometraggi Movement Exercises della regista, che in Trust Exercises intreccia il movimento di tre spazi lavorativi: un ritiro fittizio di una startup, una sessione di lavoro corporeo come intervista e una prova di danza.

Le anteprime del Working Title Film Festival: il lavoro dal mondo, su pellicola

L’edizione 2024 conta 11 film in anteprima italiana, uno in anteprima europea e ben 14 firmati da registe (due a regia mista). Il film di apertura, in anteprima europea, è stato Altamar (83’) del regista costaricense Ernesto Jara Vargas; un documentario di osservazione che, nel rendere visibile la precaria condizione sociale dei pescatori semi-industriali del Costa Rica, si concentra sulla vita di un pescatore, tra le settimane trascorse in alto mare e gli sporadici ritorni nel suo villaggio in terraferma.

Tra le anteprime italiane c’è anche Andy et Charlie (21’), che segna il debutto di Livia Lattanzio, regista e scenografa francese. Il corto, scritto con Bérénice Barbillat, mette a confronto le confidenze delle due giovani francesi del titolo, che si esibiscono in spettacoli erotici. Insieme discutono su questioni inerenti al lavoro dell’erotismo e del sesso, che toccano le loro corde più intime: il desiderio e la paura; il potere del corpo e dei soldi; la definizione dei propri limiti.

Altra anteprima italiana è stata When We Fight (34’), che racconta in cinque atti e in tempo reale il grande sciopero che nel 2019 coinvolse oltre 30.000 insegnanti della California, uno dei più grandi distretti scolastici degli Stati Uniti. I registi Yael Bridge e Yoni Golijov restituiscono la veemenza e la determinazione delle donne promotrici dello sciopero, votato dal 98% degli educatori, che ha come obiettivo il potenziamento delle scuole pubbliche. Molte e importanti le loro richieste: classi meno affollate, aumento salariale, ma anche più risorse per le librerie scolastiche e per il personale necessario agli studenti, come infermieri e psicologi. Il messaggio è semplice, ma efficace: la compattezza e l’unità di intenti può ancora avere ragione della mancanza di visione della politica.

Un fotogramma dal mediometraggio "When We Fight", di Yael Bridge e Yoni Golijov.
Un fotogramma dal mediometraggio "When We Fight", di Yael Bridge e Yoni Golijov.

 

 

Rider, dalla realtà al film d’animazione: il lavoro “gamificato”

Il lavoro del rider ispira sempre più il cinema e il documentario, come abbiamo visto anche nel precedente articolo sul cinema in sala.

Life is a game del 2023, firmato dal fotografo e filmmaker Luca Quagliato e dalla ricercatrice e giornalista Laura Carrer, dà la parola a 13 rider di diverse nazionalità – migranti ma non solo – che lavorano in città europee come Milano, Bruxelles, Berlino, Atene e Barcellona. Colti in primissimo piano, si interrogano sulla loro occupazione, sui veri e presunti punti di forza e sui molti lati oscuri che la condizionano, come la loro invisibilità agli occhi della comunità e la spersonalizzazione dell’attività, gestita dalle piattaforme del food delivery con un algoritmo che assegna le consegne senza criteri trasparenti, che prestano il fianco a ipotesi discriminanti.

La locandina di "Life is a game", di Luca Quagliato e Laura Carrer.
La locandina di "Life is a game", di Luca Quagliato e Laura Carrer.

 

C’è da sopportare il rapporto con gli utenti, magari maleducati e prepotenti, ma a pesare è soprattutto il nodo sicurezza, con le regole del codice della strada che vengono infrante anche a rischio di incidenti e infortuni.

Alle interviste, che lasciano emergere storie personali e, al contempo, un complesso discorso corale sul ruolo del fattorino nelle città e nella società contemporanee, si alterna una fiction di animazione che ha come protagonista una giovane rider di nome Emma. Attraverso il suo sguardo prendiamo consapevolezza della gamification del mondo del lavoro e del potere della tecnologia, che può premiare o punire, influenzando in modo più o meno consapevole le scelte che si compiono.

Un fotogramma dalla fiction di animazione nel film "Life is a game".
Un fotogramma dalla fiction di animazione nel film "Life is a game".

 

 

Con Satana per sindacalista

Presentato nel 2023 al Toronto International Film Festival, Working Class Goes To Hell (127’) è un’altra anteprima italiana del festival vicentino, diretta dal serbo Mladen Djordjevic, che offre un’inedita rappresentazione della lotta di classe mischiando più generi, dalla satira all’horror, impregnandola di una drammatica corrosività e di un’amara fotografia della società serba.

Cinque anni dopo che l’incendio della fabbrica ha causato la morte di nove lavoratori in un paese innominato della Serbia, i proprietari della fabbrica – che probabilmente hanno provocato l’incendio per privatizzare la struttura – riescono a sfuggire alle conseguenze legali e progettano di aprire un inceneritore e un albergo. Gli ormai ex lavoratori e parenti delle vittime, sempre più poveri e disperati, capitanati da Ceca (Tamara Krcunović) finiscono per riporre la loro fiducia in Mija (Leon Lucev), che li trascina in rituali occulti e satanici.

In paese arriva poi un altro uomo misterioso (Momo Pićurić), che pare avere doti soprannaturali. In questo contesto di profondo malessere, dove la corruzione domina ovunque, la vendetta sembra una strada obbligata, ma la catarsi è un orizzonte lontano.

Working Class Goes To Hell è un film che, riflettendo sulla circolarità della violenza, propone per i suoi scalcagnati protagonisti un tortuoso percorso di consapevolezza interiore – e un’originalissima forma di protesta.

 

 

 

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In copertina un fotogramma di Working Class Goes To Hell, di Mladen Djordjevic.

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