La pandemia ha ridotto ancora i diritti delle persone con disabilità ospitate da alcune strutture residenziali: uscite e visite con i famigliari stretti negate anche con tamponi negativi. L’esperienza della madre di un figlio con autismo: “Rinchiuso per due mesi, anche durante il Natale. Mi hanno imposto di vederlo attraverso un vetro, abbiamo dovuto ammalarci per stare insieme”.
Infermieri italiani: pochi e i meno pagati d’Europa. Altro che eroi
In Italia c’è una grave carenza di infermieri, da ben prima della pandemia: 5,4 ogni 1.000 abitanti, quando in Europa sono il doppio. Scopriamone i motivi.
Cercansi infermieri disperatamente? Certo. Anzi, molto disperatamente. Se il film interpretato nel 1985 da una giovane Madonna – Desperately Seeking Susan – ha ispirato migliaia di titoli sui media, in questo caso l’appello è proprio azzeccato; tanto più durante l’emergenza sanitaria.
L’esodo degli infermieri dalle RSA
Franco Massi, presidente di Uneba (Unione Nazionale Istituzioni e Iniziative di Assistenza Sociale), ha sottolineato, dialogando con SenzaFiltro, che molte residenze sanitarie assistenziali (RSA), destinate a decine di migliaia di anziani non autosufficienti e accreditate dal Servizio sanitario nazionale, rischiano di chiudere per le difficoltà economiche e anche perché gli infermieri se ne vanno, allettati dalle proposte delle strutture pubbliche. Tanto che, assieme ad altre associazioni non-profit, il 3 marzo Uneba ha lanciato un appello al governo affinché si fermi l’esodo.
Intanto, l’Agenzia Giornalistica Italia (AGI) valuta, in base a dati di gennaio 2021, che un terzo degli infermieri che lavorano nelle RSA avrebbe scelto di abbandonarle, preferendo altre strutture sanitarie: 9.900 persone su 29.700 registrate dall’Istituto Superiore di Sanità.
Perché se ne vanno? Perché “gli infermieri guardano giustamente anche alla qualità e alle prospettive del loro percorso professionale, alla formazione, alla qualità dei loro contratti, che nelle RSA mancano da otto anni, alla loro sicurezza sul posto di lavoro e alla qualità dell’assistenza realmente garantita ai pazienti”, ha spiegato all’AGI Barbara Mangiacavalli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI).
Gli infermieri richiesti ovunque, “ma su dieci contratti solo uno è a tempo indeterminato”
Il fatto è che gli infermieri sono pochi ovunque, non solo nelle RSA. Basta cercare sul web per trovare notizie come queste: Allarme del 118: “Sulle ambulanze della Croce Rossa a Napoli non ci sono più infermieri” (Fanpage.it, 08/02/2021), All’ospedale di Verduno utilizzate solo cinque sale operatorie su undici: “Mancano infermieri” (La Stampa, 16/02/2021) oppure Covid, in campo 2.400 vaccinatori ma mancano infermieri (SkyTg24, 12/02/2021). Insomma, non ci sono a sufficienza neppure per le esigenze dei servizi territoriali (ambulatori, ambulanze, interventi in famiglia e comunità).
Il decreto Rilancio, varato nel maggio 2020 in piena crisi pandemica, aveva previsto l’assunzione di 9.600 infermieri proprio per rispondere alle esigenze legate all’emergenza sanitaria, però finora ne è entrato in servizio il 10%. Gli infermieri hanno disertato anche il bando del dicembre scorso che cercava “vaccinatori”.
“Non è che gli infermieri disertano il bando: semplicemente non ci sono, anche a causa dell’imbuto formativo (in altre parole, ne vengono formati meno di quelli necessari, N.d.R.)”, ha sostenuto a gennaio Giuseppe Carbone, segretario generale della FIALS (Federazione Italiana Autonomie Locali e Sanità).
“Quelli che ci sono sono stanchi di essere trattati come professionisti di serie B. Ferma restando la reale necessità di reclutare infermieri e di assumerli con contratti non precari, vista la pregressa carenza di decine di migliaia di infermieri nel SSN, servono proposte reali”, ha aggiunto Carbone. “Solo un nuovo contratto su dieci è a tempo indeterminato. Non possiamo considerare come risorse aggiuntive e stabili infermieri che hanno contratti a scadenza”, ha rilanciato la FNOPI.
Carenza di infermieri, più grave di quella dei medici: “Quelli italiani i meno pagati d’Europa”
Il problema esiste anche per quel che riguarda i medici specializzati, ma sul fronte degli infermieri è maggiore. Secondo FNOPI, prima dell’emergenza sanitaria ne servivano oltre 53.000, quindi più del 10% dei 454.438 iscritti all’Ordine a fine 2020 (267.523 nel Servizio sanitario nazionale, 124.536 liberi professionisti, dipendenti da strutture private o dipendenti da altri enti, con un’età media di 53 anni). Ne mancano all’appello circa 21.000 negli ospedali e gli altri sul territorio.
Basti pensare, per esempio, che gli standard indicano 12 infermieri per un posto-letto di terapia intensiva e 8 per uno di terapia subintensiva: a conti fatti, 17.000. Per giunta, in questo periodo gli infermieri positivi al virus non possono lavorare per alcune settimane e, in base ai dati Inail, fino al 30 settembre 2020 oltre 50.000 sono stati contagiati (con 74 deceduti).
Le associazioni di categoria sollevano anche il problema delle retribuzioni: gli infermieri del Servizio sanitario nazionale guadagnano in media 1.500 euro netti al mese, meno che in Francia (1.600) e in Spagna (1.700); ma il grande divario c’è con i salari tedeschi (1.900), belgi (2.000), britannici (2.300), svedesi (2.500), fino a quelli svizzeri (3.300, sempre netti). È vero che all’estero occorre fare i conti con il diverso costo della vita e con le differenze di trattamento socioassistenziale garantito dagli Stati, però la tentazione di andarsene c’è.
Che fare? Secondo la FNOPI, occorre ridefinire “la condizione lavorativa degli infermieri, che oggi sono i meno pagati d’Europa, in modo da incentivare il rientro in Italia” di chi è andato a lavorare fuori. Inoltre occorre “prevedere più posti nei corsi di laurea” e rivedere “la politica dei assegnazione” di quei posti.
“Nella professione scarsa propensione all’imprenditorialità. L’assistenza domiciliare è il futuro”
Di fronte a questa situazione, viene spontaneo chiedersi se ci sarà – entro tempi ragionevoli – una via d’uscita e se gli infermieri, in attività e futuri, sono pronti ad accettare la sfida.
SenzaFiltro ne parla con Luigi Pais Dei Mori, presidente dell’Ordine delle Professioni Infermieristiche (OPI) della Provincia di Belluno e uno dei pochi infermieri liberi professionisti: è titolare di un ancora più raro studio di Infermieristica legale. “Noi diciamo da almeno dieci anni che il rapporto numerico tra infermieri e cittadini in Italia è squilibratissimo. L’emergenza sanitaria ha messo la situazione ancor più in evidenza”, afferma. “Oggi ci mancano quasi 60.000 infermieri; di questo passo saranno 70.000 in meno nel 2028 e quasi 90.000 in meno nel 2033”.
Perché siamo arrivati a questo punto?
C’è stata una serie di problemi legati alla politica sanitaria, incluso – tra i principali intoppi – un sistema universitario che non è stato in grado di consentire l’accesso alla formazione a un numero adeguato di studenti. Non è un problema che si risolve da un giorno all’altro. Per formare gli studenti servono strutture, docenti disponibili, luoghi in cui svolgere la pratica. Nel Veneto ultimamente, in seguito all’emergenza sanitaria, l’accesso al corso di laurea è stato triplicato, ma occorreranno almeno tre anni perché i primi si laureino, con effetti reali sull’assistenza.
Oggi qual è il rapporto numerico tra infermieri e popolazione?
In Italia ci sono 5,4 infermieri ogni mille abitanti, contro la media di 9 nell’OCSE (l’organizzazione che raccoglie i Paesi più sviluppati, N.d.R.). Secondo Eurostat nel 2016 avevamo solo 557 infermieri ogni 100.000 abitanti (negli anni successivi sono diminuiti), mentre negli altri Paesi dell’UE paragonabili al nostro superano i mille.
Come mai tanti vanno via dalle RSA?
Non solo perché lì vigono contratti non paragonabili a quelli offerti dal settore pubblico: ci sono anche scarsissime possibilità di fare carriera o di arrivare a una specializzazione clinica.
Quanto pesa il fascino di stipendi più alti all’estero? Basta andare sul web per trovare offerte allettanti…
Conta ma non tantissimo, perché in Italia non c’è disoccupazione tra gli infermieri. A un anno dalla laurea, il 97% ha un lavoro. Inoltre chi va all’estero deve fare i conti con il costo della vita. E con le possibilità di fare carriera: in Germania ce ne sono poche; nel Regno Unito, che è la meta preferita dagli infermieri italiani, di più. Diciamo che tanti fanno un’esperienza in altri Paesi, poi ritornano.
Qualche responsabilità, per quel che riguarda le scarse soddisfazioni economiche in Italia, ce l’hanno anche gli infermieri?
Diciamo che nella categoria c’è scarsa propensione all’imprenditorialità, mentre il posto fisso seduce ancora moltissimo. Sono uno dei pochi passati alla libera professione: sono soddisfattissimo e non tornerei mai indietro. Mi sono specializzato in Infermieristica legale: fornisco servizi di consulenza specifica nella valutazione dei profili di responsabilità professionale degli infermieri e consulenza tecnica di parte in ambito giudiziario. C’è un mercato potenziale che vale più di 800 milioni di euro per i liberi professionisti; eppure in Italia siamo solo 60.000 con la partita Iva, su più di 450.000 infermieri.
Il futuro qual è?
L’assistenza domiciliare, perché la cronicità – visto l’aumento costante della popolazione anziana – è la prospettiva della nostra società. Purtroppo abbiamo già perso molto tempo. Meglio non perderne altro.
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