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Assunti, ma dai magistrati: vittoria per i rider, sconfitta per una politica in ritardo
Obbligo di assunzione per 60.000 rider e ammende per 733 milioni di euro. Il procuratore Francesco Greco: “Si tratta di un rapporto di lavoro subordinato. Sono cittadini, non schiavi”.
Una volta tanto la bilancia della giustizia pende dalla parte degli ultimi: i rider, i proletari del ventunesimo secolo, vittime di uno sfruttamento settecentesco basato sul cottimo, sul lavoro senza tutele e in più sui bassi salari, trovano una cintura di sicurezza nella giustizia italiana.
È una svolta senza precedenti, ci spiega un pretore del lavoro, veterano del palazzo di giustizia di Milano: per prima volta dagli anni Settanta la magistratura milanese scende in campo per fermare il circolo vizioso dello sfruttamento illegale e accende un faro sulle società che hanno schiavizzato i proletari dell’epoca digitale.
“È vero”, sussurra a SenzaFiltro un magistrato del lavoro che chiede di non essere citato, “quando un dramma come quello dello sfruttamento sistematico finisce nelle aule di giustizia è sempre una sconfitta per la società civile e per le relazioni sociali e sindacali, perché significa che quella piaga non era mai stata risolta e che ancora una volta la magistratura ha dovuto sostituire le mancanze della politica e l’assenza dei sindacati. Ma è bene che tutto ciò sia emerso alla luce del sole”.
Il procuratore Francesco Greco: “Tutela giuridica per i rider. Non sono schiavi, ma cittadini”
La magistratura del lavoro di Milano è da sempre stata all’avanguardia nella tutela del lavoro: negli anni Settanta e Ottanta ha emesso sentenze sul lavoro, sulla cassa integrazione e sui licenziamenti che hanno fatto giurisprudenza. E non si tratta di una procura marginale, ma della Procura della Repubblica di Milano, nota negli annali della storia d’Italia per aver celebrato Tangentopoli, l’inchiesta giudiziaria più importante del dopoguerra.
Oggi quella procura è guidata dal procuratore capo Francesco Greco, da sempre sensibile ai temi sociali. Il magistrato milanese, che ai tempi di Tangentopoli si occupava dei reati economici e negli anni successivi ha messo mano ai crack aziendali più clamorosi, è sceso in campo con la forza della procura più importante d’Italia per sanzionare e denunciare il drammatico fenomeno dei rider.
La sostanza dell’inchiesta, assai clamorosa, è nelle sue parole: “Al tema non è necessario un approccio morale, ma giuridico. Non è più il tempo di dire ‘sono schiavi’, è il tempo di dire che sono cittadini che hanno bisogno di una tutela giuridica”.
Come si è mossa la Procura di Milano sui rider e i loro sfruttatori
È un terremoto che scuote dalle fondamenta il mondo del lavoro, perché fa emergere con forza l’illegalità di alcuni “moderni” imprenditori che utilizzavano il cottimo come arma di ricatto. Qualcosa che ricorda le lotte sindacali prima del ‘68, quando gli operai di fabbrica venivano strozzati dal cottimo e chiedevano la sua abolizione. Allora come oggi gli incidenti sul lavoro erano spesso causati dallo stress, causato a sua volta dal lavoro a cottimo.
Francesco Greco ha affidato le indagini, partite nel maggio del 2019 dopo numerosi incidenti sul lavoro di rider assunti senza nessuna tutela, al pm Maura Ripamonti, al procuratore aggiunto Tiziana Siciliano e all’investigatore Antonino Bolognani, abile segugio durante l’inchiesta Mani pulite, che confessa a un cronista giudiziario: “Abbiamo scoperto numeri incredibili”.
Dopo una lunga indagine sul campo e il coinvolgimento assai discreto di centinaia di testimoni chiamati in procura per testimoniare le condizioni di lavoro, la procura prima ha aperto un fascicolo ipotizzando la violazione delle norme sulla sicurezza, poi ha messo in campo i suoi investigatori, e infine ha bussato alla porta delle principali società che monopolizzano il mercato dei rider. I nomi sono noti: Glovo, Uber Eats, Deliveroo, Just Eat.
Ora queste società sono nell’occhio del ciclone sia per le normative relative alla sicurezza sia per ragioni fiscali. C’è il sospetto che alcuni imprenditori del Food abbiano esportato profitti derivanti da lavoro illegale.
Come ha sottolineato Greco, nello svolgere una funzione essenziale per la società costretta al lockdown, questi lavoratori hanno avuto un ruolo determinante sia nel portare da mangiare a molte persone, sia nel permettere a molte imprese di sopravvivere. E alla fine alcuni di loro si sono ritrovati in ospedale, a volte con una gamba rotta che impediva loro di continuare a lavorare se non pagando di tasca propria una cura. Insomma, schiavi del ventunesimo secolo. Ora finalmente il bubbone è esploso anche nelle aule di giustizia.
Multe milionarie e obbligo di assunzione: la palla alle aziende condannate
La procura non si è limitata ad aprire un’inchiesta e a mettere sotto torchio le società in questione, ma ha chiesto loro – altro aspetto inedito che ricorda gli anni Settanta, quando la Procura di Milano impose all’Alfa Romeo di Arese di riassumere operai licenziati – di assumere i 60.000 precari entro novanta giorni, pena provvedimenti ingiuntivi, e di pagare multe per 733 milioni per aver violato le regole minime della sicurezza sul luogo di lavoro.
Francesco Greco in una dichiarazione alle agenzie di stampa è stato molto chiaro: “Sono emersi pagamenti fatti online e non sappiamo dove vengono recepiti, ma il rapporto di lavoro e l’organizzazione dei rider è guidata sul territorio italiano. Sono stati sentiti moltissimi rider, sono state verificate le modalità di lavoro, sono state analizzate le conseguenze di eventuali comportamenti in caso di caduta del ranking di un rider, e quindi la possibilità di non dare lavoro a chi si era fermato per bisogni fisici. Le conclusioni a cui siamo arrivati è che si tratta di un rapporto di lavoro subordinato”.
La questione posta dal procuratore della Repubblica è assai delicata, perché se davvero fosse così l’assunzione dei lavoratori sarebbe la via obbligata. A meno che, come è avvenuto in altri casi, le aziende incriminate decidano darsi alla fuga.
Accanto all’inchiesta sulla sicurezza, inoltre, si potrebbe aprire un capitolo sul caporalato: molte delle aziende finite sotto inchiesta utilizzavano i cosiddetti caporali digitali per assoldare i rider.
Photo credits: www.openmag.it
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