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B Corp Summit di Amsterdam: l’Italia sostenibile ha detto la sua
I soldi non fanno l’azienda; lo spirito sembra essere un po’ questo. O meglio: non ai soli azionisti bisogna render conto. L’impresa è, codice civile alla mano, “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Il fine è stato, a lungo, (solo) fare profitto per gli azionisti. Ma il […]
I soldi non fanno l’azienda; lo spirito sembra essere un po’ questo. O meglio: non ai soli azionisti bisogna render conto. L’impresa è, codice civile alla mano, “un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Il fine è stato, a lungo, (solo) fare profitto per gli azionisti. Ma il sistema capitalistico, dicono, è fallito. È in corso, dicono, un processo irreversibile e sistemico: o ci si adegua o non si potrà più stare sul mercato. Ci stiamo tutti allarmando per la crisi ambientale in atto, e anche le imprese si sono rese conto che è il momento di cambiare. L’obiettivo non è più solo, o soprattutto, produrre guadagno. Sul tavolo di quelli che contano si è iniziato a parlare di responsabilità: nei confronti dei lavoratori, dell’ambiente, della comunità, dei fornitori, e così via. Al fine economico si affianca quello sociale, la nuova chiave per il successo e la competitività nel futuro.
Da qualche anno questa tipologia di azienda, per cui il benessere economico si accompagna al consenso sociale, ha trovato un nome e una forma. Si parla di B Corp, soggetti che mirano a conseguire il massimo profitto possibile ma con un nuovo schema: da estrattivo (prendo tutto quello che la comunità attorno può darmi) a rigenerativo (prendo tutto quello che posso ma restituisco qualcosa indietro). Le B Corp sono una realtà giovane, in aumento continuo e rapido; trasversali a tutti i settori, dall’alimentare all’abbigliamento, dalla farmaceutica ai servizi finanziari; diffuse in tutti i continenti. Tratto comune: creare valore non solo per gli azionisti ma anche per gli altri portatori di interesse. Avere, cioè, un impatto positivo sulle comunità circostanti e sulla società tutta.
Società Benefit e B Corp, le aziende che restituiscono valore alla società
“Ottenere la certificazione di B Corp ci fa andare tutti allo stesso ritmo, cioè a prova di futuro (all’ultimo B Corp Summit, il 23 e 24 settembre ad Amsterdam, lo slogan è stato “Lead the Beat”, N.d.R.)”, racconta con entusiasmo Valentina Ciurlante, Evolution Guide di Nativa, la prima B Corp in Italia e in Europa. “La certificazione aiuta le aziende ad avere un impatto positivo su ambiente e comunità al di là del profitto, e rappresenta una marcia in più. Si tratta di inserire la sostenibilità all’interno del proprio modello di business e trovare la direzione giusta. Con risvolti positivi anche sui conti, perché queste aziende sono in grado di attrarre più investimenti e i talenti migliori.” Un esempio è quello di Patagonia: dal 2011 al 2016 il B Impact Score è aumentato da 107 a 152. Nello stesso periodo il fatturato è passato dai 500 milioni di dollari del 2012 agli oltre 700 milioni del 2016.
Quando si parla di B Corp si parla spesso anche di Società Benefit, simili ma diverse: la prima identifica quante fanno volontariamente misurare l’impatto ambientale e sociale da B Lab, ente non-profit americano, esterno e indipendente; le seconde modificano il proprio oggetto sociale e prevedono nello statuto di perseguire non solo utili ma anche finalità di beneficio comune. Non tutte le società benefit sono B Corp, quindi. Per ottenere la certificazione infatti bisogna sottoporsi a un rigoroso protocollo di analisi (B Impact Assessment) e raggiungere la soglia minima di 80 punti, su una scala da 0 a 200: in questo caso si verifica una situazione di equilibrio per cui un’azienda toglie alla società esattamente quanto restituisce. Al di sotto produce un impatto negativo; al di sopra restituisce alla società più di quanto sottrae.
L’Italia sostenibile: pioniera della responsabilità sociale d’impresa e leader nella crescita delle B Corp
La responsabilità sociale d’impresa non è una scoperta recente. Nel 1967 un imprenditore illuminato, Aristide Merloni, affermava che “in ogni iniziativa industriale non c’è valore del successo economico se non c’è anche l’impegno nel progresso sociale”. Anni prima Adriano Olivetti si faceva promotore di un nuovo modo di concepire la fabbrica e il lavoro al suo interno, attento alla qualità della vita, col sogno di creare una “fabbrica a misura d’uomo”. Sono solo alcuni esempi di uomini lungimiranti, creatori di realtà industriali che, nel corso degli anni, hanno fatto grande il Made in Italy nel mondo.
Venti anni fa nelle aziende italiane si parlava di responsabilità sociale d’impresa. Erano gli anni dei primi bilanci socio ambientali (o bilanci di responsabilità sociale, o solo sociali, o solo ambientali: hanno cambiato nome mille volte) e ci si muoveva nel mondo della volontarietà, animati da passione e cercando di coinvolgere tutti i colleghi per fare qualcosa che non fosse solo uno strumento di comunicazione (solitamente inteso nell’accezione negativa). È soltanto una bolla destinata a sgonfiarsi, dicevano; vedrete che tra qualche anno nessuno se ne ricorderà più. Invece questo fenomeno non solo non si è sgonfiato, ma il mondo tutto ha iniziato ad andare, deciso, verso una direzione green.
Si è cominciato a parlare di B Corp negli ultimi dieci anni nel Maryland, dove nel 2010 la definizione è entrata nel corpo delle leggi dello Stato. In Italia sono state disciplinate da una legge del dicembre 2015, entrata in vigore il 1° gennaio del 2016: il nostro è stato il primo Paese non americano a recepirle. A tutt’oggi siamo l’unico Stato in Europa: Francia, Spagna e Scozia si stanno adeguando. Non finisce qui: l’Italia registra il trend di crescita più alto al mondo. A distanza di tre anni le B Corp sono oltre 90. “Impossibile indicare il numero esatto”, osserva Valentina: “Crescono di continuo e ci sono nuove certificazioni in corso”. Le Società Benefit sono più di 400. Nel mondo su 120.000 se ne certificano 5.000 con un punteggio medio di 55; le B Corp italiane sono tutte sopra gli 80 punti. Insomma, una vera e propria leadership tricolore nel mondo.
“Per il summit di Amsterdam abbiamo organizzato un workshop per capire come gli strumenti di B Lab possono aiutare le imprese a evolversi e stilare una road map di innovazione”, continua Valentina Ciurlante. “C’è un forte commitment per gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs) dell’Agenda 2030: avvertiamo ovunque un grande interesse, molta curiosità, tantissima energia da parte di tutti. Ad Amsterdam, per la prima volta, erano ammesse a partecipare anche aziende non certificate, ed erano tantissime. Un segnale importante. Si respirava un forte senso di appartenenza e una grande voglia di fare, di agire insieme, un forte senso di urgenza”. Non senza un però: “È mancato intraprendere un’azione concreta: è stata una grande call to action e un’occasione molto importante per farci conoscere. Va bene. Adesso però facciamo qualcosa di concreto”.
Nel frattempo, anche i singoli possono fare qualcosa per contribuire a questa rivoluzione. Sono sufficienti piccoli gesti. Soprattutto è importante chiedersi, ognuno di noi, come è possibile rendere più sostenibile il proprio comportamento. La certificazione è un riconoscimento, quello che sta dietro è un cambio culturale.
Foto di copertina: l’intero team di Nativa al B Corp Summit 2019 di Amsterdam (Credits: Nativa).
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