La resistenza dei lavoratori al cambiamento sociale

La resistenza al cambiamento del mercato del lavoro è una delicata realtà sociale; richiede una specifica capacità psicologica e un coinvolgimento di tutta la popolazione. Il quotidiano viene vissuto con spirito critico per comprendere le novità della società. Se da una parte scopriamo modelli occupazionali che sanciscono le nuove frontiere, nelle quali è necessario comprendere e conoscere l’innovazione, […]

La resistenza al cambiamento del mercato del lavoro è una delicata realtà sociale; richiede una specifica capacità psicologica e un coinvolgimento di tutta la popolazione. Il quotidiano viene vissuto con spirito critico per comprendere le novità della società. Se da una parte scopriamo modelli occupazionali che sanciscono le nuove frontiere, nelle quali è necessario comprendere e conoscere l’innovazione, dall’altra troviamo persone travolte da una costante trasformazione. In questo non c’è alcuna differenza tra i diversi ambiti occupazionali, perché vengono turbati i modelli economici e sociali del XX secolo.

Questo quadro economico è confermato dall’ultimo rapporto della Confcommercio dove si evidenzia la crescita, negli ultimi sei anni, dei nuovi professionisti indipendenti: guide turistiche, amministratori di condominio, consulenti tributari, informatici, wedding planner, designer, grafici, formatori. La ricerca inquadra queste nuove figure di professionisti per la quasi totalità nei servizi di mercato (97%), svolgendo soprattutto attività professionali, scientifiche e tecniche (per il 52,1%).

Petrucciani: “Occupazione? La specializzazione requisito fondamentale”

Stefano Petrucciani, professore ordinario dell’Università “La Sapienza” di Roma, è presidente della Società Italiana di Filosofia Politica, e dal 2013 è direttore responsabile della rivista Politica e società, edita dal Mulino. I suoi studi riguardano le nuove tendenze del mondo del lavoro, delineando le sue profonde trasformazioni. Lo abbiamo raggiunto e intervistato all’Instituto Cervantes di Roma in occasione della presentazione del libro La resistenza intima, con l’autore Josep Maria Esquirol.

“Nel XXI secolo assistiamo a uno strano fenomeno: alcune persone vivono soltanto di lavoro mentre altre non hanno alcun tipo di impiego. Si registra una cattiva distribuzione dell’occupazione, troppo spesso concentrata nelle mani di pochi soggetti. C’è da osservare anche la grande opportunità di coloro i quali sono specializzati a scapito di altri soggetti non adeguatamente formati nei settori specifici della società. Questo requisito non è sufficientemente compreso dai giovani che spesso rimangono ad aspettare senza approfondire le diverse evoluzioni del mercato del lavoro.”

“I ragazzi dovrebbero sapere che le competenze generiche non possono aiutare a trovare la giusta occupazione”, prosegue Petrucciani; “soltanto la specializzazione è il requisito fondamentale per accedere a un impiego. C’è troppa frammentazione nel mondo del lavoro, conferendo all’occupazione quelle scarse sicurezze, senza tralasciare la precarietà che preoccupa il futuro dei giovani. Le soluzioni sono difficili da trovare ma è imperativo assicurare la continuità contributiva e di reddito, giacché il lavoro può subire periodi di tempo dove si registra una forte discontinuità.”

“Formazione permanente per restare nel mercato”

“Questa instabilità non era conosciuta nel passato secolo. Bisogna superare l’estrema precarietà del lavoro e cercare occupazioni stabili per evitare ai giovani un impiego insicuro che si ripercuote sulla loro vita, sulla loro progettualità, sulla loro stessa esistenza. Il dibattito quotidiano incentra tutta la sua forza sulla formazione permanente e sulla riqualificazione delle professioni. Tutto ciò può essere un vantaggio per specializzare le figure professionali e rendere meno precario il lavoro su determinati settori in crescita, specialmente quelli relativi al digitale. Questo aspetto riguarda tutti, senior e junior, perché la riqualificazione è necessaria.”

“Noto con rammarico che in Italia manca un serio e pianificato investimento per rendere più professionali i lavoratori, conferendo precise competenze. È importante realizzare un simile intervento perché i ritmi del cambiamento sono elevati, e le persone che non sono opportunamente aggiornate rischiano di restare fuori dal mercato del lavoro. Questa accelerazione del cambiamento, ormai divenuta eccessiva, genera stress al lavoratore, causando problemi al sereno sviluppo della personalità di un individuo. È una forte spinta del ritmo di vita con la quale si perde l’armoniosità della crescita e dello sviluppo culturale e sociale di una persona”.

Ed è proprio a seguito di questo impellente cambiamento che è necessario recuperare la passione per il lavoro, per frequentare con motivazione i corsi di aggiornamento e stare al passo con le sue trasformazioni. La passione deve essere costante per migliorare la resistenza alle difficoltà quotidiane imposte dal nuovo paradigma economico, dove il lavoro assume una visione completamente differente rispetto al XX secolo.

La passione e l’azienda. L’opinione di uno psicoterapeuta

Quando si sceglie una professione è fondamentale essere appassionati verso quel tipo di impiego. Questo agevola il lavoro e crea una splendida armonia produttiva a beneficio dell’identità personale. È un requisito che diventa necessario quando si svolgono professioni in cui è richiesto molto sacrificio. Solo la passione aumenta la motivazione a specializzarsi e scoprire nuove frontiere dell’impiego, in grado di diventare un valore aggiunto nella costante competizione che coinvolge società e mondo del lavoro.

“Chi ha una passione per una determinata tipologia di lavoro – commenta Marco Cannavicci, psichiatra e psicoterapeuta – difficilmente affida la propria professionalità e competenza ai consueti ambiti organizzativi strutturati come le società e le aziende. Il lavoratore è intenzionato a personalizzare il suo sogno mediante un’attività professionale indipendente e autonoma. Entrare a far parte di un’azienda non richiede un grande amore iniziale perché la scelta proviene dal bisogno di una collocazione lavorativa generica. La passione si può sviluppare successivamente attraverso la pratica e l’esercizio di una certa funzione, allorquando si riesce a collocare la persona giusta (personalità, attitudini, competenze) alla posizione adeguata (mansione, ruolo, compito).”

“All’interno di un’organizzazione aziendale, per far funzionare al meglio il ritmo e la qualità del lavoro, è importante sviluppare tra i dipendenti delle buone relazioni interpersonali, comunicative ed empatiche. Difficilmente queste competenze si sviluppano in maniera autonoma e naturale. Essere in un’azienda e in un gruppo di persone per venti anni non comporta in automatico che si formino queste competenze. Lavorare insieme non presuppone andare d’accordo ed avere sintonia. Ed è proprio per questo motivo che persone differenti per età, formazione, esperienze, psicologia, estrazione e situazione sociale, dovendo lavorare insieme e condividere spazi e attività, possono avvicinarsi e migliorare comunicazione e relazione attraverso una partecipazione collettiva al di fuori dell’orario di lavoro e degli spazi lavorativi.”

Cannavicci conclude: “Persone differenti hanno quindi bisogno di socializzare per capirsi e condividere esperienze comuni, allontanando i rischi della competizione e dell’antagonismo fra i dipendenti. Sono quelle situazioni, in un ruolo dirigenziale e manageriale, sicuramente non favorevoli alla realizzazione degli obiettivi aziendali.”

 

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