Il suo curriculum lo descrive male. Laureato in giurisprudenza all’Università di Parma, nel 2003 ha conseguito un Master of Laws in diritto della proprietà intellettuale, ma gli studi legali non erano proprio il luogo in cui si sentisse al proprio posto. Così, valigia in mano, nel 2008 Luca parte per Seattle e va a lavorare […]
Lavorare in un mondo senza controlli
“Il lobbismo non è né il volto nobile del malaffare né, tanto meno, è peggio della corruzione. È innegabile che alcuni fenomeni di lobbismo all’italiana siano preoccupanti perché creano una rete di relazioni e di scambi pericolosi, ma credo che si possa fare un attività di lobbing in modo professionale senza cedere all’affarismo o alle […]
“Il lobbismo non è né il volto nobile del malaffare né, tanto meno, è peggio della corruzione. È innegabile che alcuni fenomeni di lobbismo all’italiana siano preoccupanti perché creano una rete di relazioni e di scambi pericolosi, ma credo che si possa fare un attività di lobbing in modo professionale senza cedere all’affarismo o alle insidiose scorciatoie di cui si parla in questi giorni a proposito degli scandali che coinvolgono il potere pubblico”.
Auro Palomba, 51 anni, dal 1989 al 1999 giornalista economico e finanziario de Il Messaggero, è diventato negli anni successivi un uomo di comunicazione e lobbying in veste di fondatore e presidente di due società che fanno un lavoro di questo tipo nei meandri del potere: Community Group che oltre a lavorare nel lobbying in Italia si occupa di consulenza e comunicazione d’impresa e Community Public Affairs, che opera esclusivamente nel lobbying da Bruxelles.
Andiamo al punto dottor Palomba: in Italia di lobbisti ce ne sono tantissimi, come si evince dalle cronache giudiziarie, ma non esiste una legge che regoli questa attività. Dal 1948 sono stati presentati 27 disegni di legge ma per il momento il Parlamento italiano non ha mai messo all’ordine del giorno la discussione su questo tema. Lei pensa che sia auspicabile fare una legge che regoli il lobbismo? “Le rispondo così: il fatto che non ci sia una legge ha consentito la crescita di un mondo senza controlli, come dice lei, ad alto rischio etico. Dunque una legge è necessaria ma le dico subito che non è sufficiente. Il rischio etico esiste perché c’è chi pensa che si possa fare lobbismo esclusivamente sull’appartenenza a questo o a quel partito, a questa o a quella corporazione. I fatti di cronaca che abbiamo sotto gli occhi lo dimostrano. Io penso a criteri assai diversi: quando di recente ci è capitato, per conto di un’importante azienda privata, di avere a che fare con il potere pubblico abbiamo utilizzato strumenti come le indagini di mercato, l’analisi di un caso, l’informazione, per convincere i nostri interlocutori politici. E in molti casi ci siamo riusciti senza mai ricorrere a scorciatoie. Dunque si può fare lobbying senza affondare nel malaffare. Devo dire che per fortuna la nuova generazione di manager che gestisce le aziende italiane è meno attratta dalle scorciatoie. È più propensa a modelli basati sull’etica e sulla professionalità. Molti manager hanno capito che le scorciatoie portano soltanto guai, una pessima immagine e pochi risultati”.
Quali sono i vostri interlocutori privati e istituzionali. “Per una questione di riservatezza preferirei non fare nomi. Le posso dire che in Italia abbiamo a che fare con gruppi multinazionali. Quali aree industriali? Direi alimentare, hi-tech, telefonia e energia. Ma credo che il settore che più utilizza il lavoro di lobbying sia quello delle infrastrutture. La ragione è semplice: in questo settore c’è un forte legame tra pubblico e privato. In molti casi questi gruppi ci chiedono di fare lobbing verso le amministrazioni locali quando si tratta di chiudere o ristrutturare aziende. I nostri interlocutori istituzionali sono Agcom, Antitrust, Consob e Banca d’Italia. E naturalmente le commissioni parlamentari come è avvenuto nel caso Ilva”. Anche le piccole imprese si rivolgono a voi? “Direi di sì. In genere per la ragione opposta: si rivolgono a noi quando devono aprire un impianto o uno stabilimento. E lei forse saprà che in Italia non è cosa facile”
Lei mi diceva che con l’avvento di Matteo Renzi al governo molte cose sono cambiate. In che senso? “Con l’avvento di Matteo Renzi, ad esempio, al governo del Paese sono cambiati tutti gli interlocutori nel settore pubblico. Per anni i personaggi che tiravano le file erano gli stessi, anche se cambiavano i governi. Ora non è più così. Il nuovo governo non solo ha accentrato il potere nei posti chiave in poche persone molto vicine alla Presidenza del Consiglio, ma mi pare che abbia tolto potere anche ai burocrati che erano la figura di riferimento del lavoro di lobbying. Un’impostazione molto più anglosassone di prima. Io credo che sia un bene perché così si tagliano le gambe al sottobosco di governo e ai faccendieri e si consente di fare lobbying in modo più professionale”.
Cosa significa fare lobbying a Bruxelles? “È assai più complicato visto che gli interlocutori sono molteplici. Noi, tanto per farle un esempio, abbiamo curato l’ingresso di Etihad in Alitalia. Un caso di scuola per la presenza dell’Antitrust come interlocutore pubblico. Il punto di riferimento di tutti i lobbisti a Bruxelles sono le commissioni. Devo dire sinceramente che in materia di lobbying l’Italia ha perso molti treni. Tenga conto che i direttori generali delle commissioni europee, dove si prendono le decisioni più importanti, sono quasi tutti tedeschi. Questo semplice dato ci dice quanto la Germania sia dominante in Europa”.
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La bella capoccia che vi presentiamo mentre si avvicina la pausa estiva del nostro giornale è un professionista italiano che lavora all’estero, professore in Istituzioni di Diritto dell’Unione Europea e policy analyst presso la DG Ricerca del Parlamento Europeo. In passato è stato nominato Coordinatore dei rapporti con i cittadini e del sito web nell’Ufficio stampa della Presidenza […]