In seguito a uno dei primi decreti del Governo Meloni medici, infermieri e operatori sanitari sospesi potranno tornare in corsia. Ecco perché è una buona notizia.
Questo lavoro inquina il sonno: meno power nap, più riposo
L’umanità ha perso almeno due ore di sonno a livello collettivo, e il bilancio è forse anche peggiore: colpa di un sistema lavorativo dai carichi e dagli orari vetusti. Una riflessione che parte dal libro Manifesto pisolini di Virginia Cafaro e coinvolge in intervista il neuroscienziato e professore universitario Luigi De Gennaro
La rivoluzione si fa anche dormendo: Virginia Cafaro, autrice del libro Manifesto Pisolini: Guida femminista sul diritto al riposo (Le plurali, 132 pp., 12 €), lo definisce addirittura un atto sovversivo. Il libro affronta il tema del riposo in senso sociale, come un privilegio e una questione di genere. L’autrice esplora le disparità nella distribuzione del tempo libero e del lavoro oltre il lavoro, evidenziando come le donne siano spesso svantaggiate in questo ambito, facendosi carico anche di quello domestico e di cura.
Figlia della classe operaia, Virginia Cafaro non ha mai visto i suoi genitori, né tanto meno nonni e zii, riposarsi davvero, godendo di ozio, relax e sonno. Nemmeno lei era mai riuscita a dare un nome al mostro che le impediva di schiacciare un pisolino senza sentirsi in colpa; quello che lei stessa battezza come “il capitalismo cronofago”.
Il riposo come atto sovversivo
Manifesto Pisolini affronta l’attualissimo problema della demonizzazione dell’ozio in favore del mito del lavoro, schierandosi a favore del pisolino.
I pisolini (termine toscano per sonnellino) non sono da confondere con i power nap, inventati per aumentare la produttività e spesso integrati negli uffici con postazioni dedicate. Al contrario, i pisolini sono brevi momenti di riposo sottratti a un’agenda fitta di impegni, senza alcun senso di colpa: per questo Cafaro spinge a rivendicare il diritto al riposo, intersecando analisi sociologiche e femministe alla sua esperienza quotidiana.
In particolar modo, oggi siamo sempre più soggetti al fenomeno noto come “revenge bedtime procrastination”: ritardare intenzionalmente il momento di andare a dormire come un “atto di ribellione” contro una giornata frenetica e priva di spazio per coltivare i propri interessi e prendersi cura di sé. Una reazione al crescente senso di sovraccarico e mancanza di controllo nel nostro mondo iperconnesso: in un’epoca in cui siamo bombardati da stimoli digitali, questo ritardo diventa un momento prezioso di autonomia, in cui ci permettiamo di dedicare del tempo a noi stessi.
Il sonno: eroso da lavoro, procrastinazione e iperconnessione
L’interazione tra revenge bedtime procrastination e l’invasione digitale delle nostre vite crea un ciclo insidioso.
Quante volte l’infinito scorrere delle notifiche sui social media (leggasi anche alle voci scrolling e, in alcuni casi, “doomscrolling”) ci distrae fino a tarda notte? Le piattaforme digitali sono progettate per attirare l’attenzione e mantenerci connessi il più a lungo possibile, spesso a discapito del benessere e della salute mentale; specie quando questo ci porta a rinviare il momento di andare a dormire. Un fenomeno che è importante riconoscere, visti i suoi effetti sulla mente e sul fisico nel lungo periodo.
Le complesse intersezioni tra tecnologia, capitalismo e sfruttamento del tempo sono solo alcuni dei temi affrontati da Cafaro per esplorare il lato femminista del riposo. Rivendica il sonno come un gesto di autodeterminazione e lo presenta come un atto rivoluzionario che merita di essere diffuso e protetto.
Il dibattito sul riposo è un altro modo per rivendicare il diritto a prendersi cura di sé. Il riposo non è solo un modo per ricaricare le batterie, ma è anche un atto di resistenza contro una società che ci vuole sempre attivi e produttivi.
Luigi De Gennaro, neuroscienziato: “Urge una riorganizzazione della settimana e dei carichi lavorativi”
Per approfondire l’argomento abbiamo fatto qualche domanda a Luigi De Gennaro, neuroscienziato e professore ordinario di psicobiologia, psicologia fisiologica e disturbi del sonno.
Qual è la sua opinione su quella che sembra una stanchezza endemica della nostra società? È davvero così?
Dobbiamo fare un passo indietro. La rivoluzione industriale e l’illuminazione artificiale hanno allargato la finestra di ore impiegabili sia in termini lavorativi sia in varie attività sociali. La stanchezza può essere correlata a carenze di riposo; oggi si stima che collettivamente, come popolazione umana, abbiamo perso due ore di sonno. La perdita è con ogni probabilità anche maggiore, soprattutto se segmentiamo per fasce di età e di genere. L’inadeguata soddisfazione del sonno a livello collettivo la possiamo spiegare attraverso due fatti. Per il primo, anche se può sembrare una banalità, bisogna ricordare che in media cinque giorni su sette dormiamo con una sveglia puntata; se facciamo un’equivalenza con gli altri bisogni fondamentali come l’alimentazione, la soddisfazione di un bisogno la cui regolarità è bloccata – perché questo noi facciamo alzandoci al suono della sveglia – ne pregiudica la completa soddisfazione. Il secondo, strettamente correlato, è il cosiddetto “social jet lag”, il fatto cioè che nei fine settimana dormiamo di più nel tentativo di recuperare quanto perso nei giorni feriali.
Insomma, dormiamo poco e male.
È vero, c’è un’insufficienza qualitativa e quantitativa del sonno, il che impatta sulla qualità della vita e sulla produttività, sui tassi di assenteismo, sugli incidenti stradali, dato che molti sono ascrivibili ai deficit di sonno. Il colpo di sonno di cui si sente tanto parlare è anche una conseguenza di uno stile di vita non adeguato che impatta sulla durata del sonno notturno.
Cosa si può fare per migliorare la qualità del sonno a livello individuale e sociale?
Urge una riorganizzazione del lavoro, sia della settimana lavorativa intesa come ore/giorni lavorati, sia dei carichi di lavoro. Sarebbe opportuno anche un posticipo dell’orario scolastico per consentire ai ragazzi di dormire di più, migliorando la qualità della vita e anche il loro rendimento scolastico. Ciò aiuterebbe anche i genitori lavoratori.
Ricerchiamo sempre il riposo; ma alla fine recuperiamo davvero?
Il social jet lag non consente un recupero completo, serve un modello alternativo a quello di spremitura dei cinque giorni lavorativi e tentativo di recupero in due giornate. Le conseguenze fisiche, emotive e psichiche del carico settimanale (e più) non si recuperano in così poco tempo.
I power nap funzionano davvero?
Non per chi ha problemi di sonno, e un italiano su otto ne soffre. Il sonnellino è fortemente sconsigliato: la soddisfazione parziale del sonno diventa cattiva igiene del sonno. Chi non soffre di insonnia deve considerarne i benefici con cautela, perlopiù in base alla durata. I sonnellini sono potenzialmente recuperativi per riacquistare energie e favorire la memoria, ma solo se non durano più di venti minuti.
Il riposino può essere un atto politico, o quanto meno terapeutico?
I disturbi del sonno e l’insonnia riguardano soprattutto le donne, ce lo rivelano i rapporti relativi alle persone che soffrono di insonnia: il numero dei casi femminili è 1,5 volte superiore a quello maschile, quanto meno nell’espressione cronica (con durata maggiore di tre mesi). Ciò ci permette di fare una riflessione sulle possibili cause, tra cui di certo occorre considerare il carico di lavoro soprattutto domestico mal distribuito.
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Photo credits: Jay Wennington via unsplash.com
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