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La lean che va di moda non produce cambiamento
Non si sta parlando un po’ troppo di Lean ultimamente? E quanti, davvero hanno capito cosa sia la Lean? Sono le due domande con cui inizio a confrontarmi con due appassionati sostenitori del Pensiero Lean, teorizzato da Toyota ed oggi punto di riferimento per molte aziende che hanno deciso di adottare il metodo del miglioramento […]
Non si sta parlando un po’ troppo di Lean ultimamente? E quanti, davvero hanno capito cosa sia la Lean?
Sono le due domande con cui inizio a confrontarmi con due appassionati sostenitori del Pensiero Lean, teorizzato da Toyota ed oggi punto di riferimento per molte aziende che hanno deciso di adottare il metodo del miglioramento continuo di cui tantissimi parlano: Diego Caron Amministratore Delegato di Caron AD e Presidente di Confindustria a Bassano del Grappa, punto di riferimento culturale e operativo della Lean in Italia e Roberto Marengo Lean Manager di Laika Caravans, un passato in Manitowoc e docente sui temi del Lean Thinking.
Partiamo da Diego Caron, che oltre ad essere un imprenditore visionario, da dieci anni ha iniziato una profonda trasformazione delle sue aziende al punto tale da interpretare la Lean come un servizio necessario anche per i suoi clienti.
“Lean è diventata una parola di moda e purtroppo in molti non ne hanno capito la vera essenza. Ci sono troppi consulenti e formatori che hanno colto l’occasione per trasformarsi in esperti lean dopo aver letto un libro. Dunque se ne parla troppo e si fa poco senza entrare “in genba” se vogliamo usare un termine giapponese, cioè nel luogo dove si aggiunge il valore per fare dei veri cambiamenti. I grandi clienti finali cominciano a chiedere in modo importante la trasformazione delle aziende: just in time, one piece flow, la riduzione delle scorte: cose tipiche del sistema Toyota e quando si è cominciato a capire che il sistema funziona troppi hanno iniziato a riempirsi la bocca, ma poi di fatto c’è molta facciata e poca concretezza”.
Stesso avviso anche per Roberto Marengo.
“La lean è una delle poche soluzioni offerte per migliorare le proprie performance e quindi chi più chi meno ci si avvicina perdendo però la parte legata alla pratica. Raramente ci si cala nel “genba“, si perde di vista il significato di Kaizen e raramente vedi consulenti che abbiano portato a termine un progetto.
Sembra quindi che la consulenza sia, come in altri campi, il vero problema nella diffusione errata di questa cultura. Chiedo allora a Roberto: come si riconosce quando un consulente è davvero preparato sui temi della Lean?
“Un percorso corretto lo si riconosce dal coinvolgimento delle persone. Quando una squadra intera comincia a desiderare di migliorare i propri processi produttivi allora si è sulla strada giusta. Con un buon background di consapevolezza, l’applicazione dei tool è relativamente semplice. Ma l’importante è la spinta nel voler cambiare le cose e non accettare più una situazione che si può migliorare. In poche parole, la lean non è amica delle giustificazioni.”
Prosegue Caron:
“Intanto ho cominciato a convincermi che i tuttologi non esistono, ma ogni società di consulenza ha una specializzazione ben precisa. Non si prende un’aspirina per tutti i malanni. Ho iniziato a differenziare i consulenti a seconda delle loro specialità. In seconda analisi, i consulenti che uso voglio vedere cosa hanno fatto in altri posti e in altri luoghi. Ma soprattutto, ciò che mi permette di selezionarli è che per primo ho studiato io in prima persona. Un vero consulente lean si presenta in scarpe da tennis, block notes e matita, è uno che “entra” nel problema, si sporca le mani. Il consulente che viene a parlarmi di ridurre i costi per diventare snelli non ha proprio capito!”
Ci aiuta Marengo a comprendere meglio:
“Lean thinking è sostanzialmente prevenzione di errori, per dirla in maniera molto sintetica. Dunque la riduzione dei costi è la conseguenza di aver migliorato il proprio processo, non è l’obbiettivo. Personalmente diffido di coloro che propongono modelli replicabili – aggiunge – anzi, mi affascina il modo con cui un’azienda crea un proprio sistema. Pertanto un modello replicabile mi sembra un copia/incolla che difficilmente può funzionare ovunque o che quantomeno bisogna poi adattare a seconda dell’azienda in cui si interviene. Inoltre non vedo nemmeno l’esigenza di avere dei modelli standard su un percorso di questo tipo perché sono assolutamente convinto che ogni azienda faccia storia a se”.
Caron inoltre, è l’esempio vivente di come la lean abbia inciso e soprattutto trasformato l’attività di un “venditore di tubi”: un’ iniziativa, alla quale Diego tiene fortemente, è l’offerta al cliente di un servizio “sartoriale”. Cambia dunque il modello di approccio al cliente. Non ti dò più solo il vestito ma inizio a darti anche la cravatta, la spilla, il fazzoletto e ti consiglio anche il profumo da metterti in base al colore dei capelli che hai!
“Oggi siamo in grado di disegnare la produzione per i nostri clienti e addirittura creare dei modelli che esportiamo. Le medie piccole aziende sfruttano il nostro know-how quasi come se fossimo dei consulenti che in più gli offrono anche il prodotto. Questo ha spostato l’attenzione non su COSA fa la Caron, ma COME lo fa la Caron.
E’ ovvio che prima abbiamo dato per scontato alcuni aspetti legati alla qualità del nostro prodotto. Abbiamo dunque inserito nella consegna anche un servizio di consulenza che permetta al cliente, in ambiente SAP attraverso una web Kan-ban, di ordinare un pezzo a Caron sparando un codice a barre che automaticamente crea la distinta per la richiesta. Questo rappresenta uno snellimento nelle operazioni rispetto alla classica redazione di un’ordine, davvero innovativo”.
Faccio dunque una ricerca su Google con il termine “lean” e mi vengono restituiti 219 milioni di risultati. Una seconda ricerca: “lean consulenza” e sono 187 mila risultati solo per l’Italia. Indubbiamente un bacino molto interessante per chi si è inventato un nuovo lavoro.
Saranno tutti così esperti?
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