Ero pronto a scrivere un necrologio. Eppure non è da funerale il clima che si respira lungo la strada che costeggia le Terme Bonifacio VIII, nonostante il numero bassissimo di turisti che tra giugno e luglio di quest’anno ne hanno varcato gli archi di ingresso e gli hotel non ancora completamente aperti.
Patrizia Hrelia: le bugie che ci mangiamo
Oggi noi italiani sembriamo molto preoccupati di quello che mettiamo nel piatto. L’attenzione che dedichiamo all’alimentazione è molto più alta rispetto a qualche anno fa, ma questo non ha sempre risvolti positivi. Infatti prima di tutto c’è da chiedersi dove ci informiamo e a chi diamo credito quando si parla di cibo: purtroppo anche in […]
Oggi noi italiani sembriamo molto preoccupati di quello che mettiamo nel piatto. L’attenzione che dedichiamo all’alimentazione è molto più alta rispetto a qualche anno fa, ma questo non ha sempre risvolti positivi. Infatti prima di tutto c’è da chiedersi dove ci informiamo e a chi diamo credito quando si parla di cibo: purtroppo anche in campo alimentare le fake news hanno spadroneggiato, influenzato l’opinione pubblica, e in certi casi anche la produzione e il marketing delle aziende. Con Patrizia Hrelia, professoressa di tossicologia presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, abbiamo ripercorso le peggiori “bufale” di questi ultimi anni, fatto il punto su quello che c’è di vero e su quello che invece è stato stravolto e, soprattutto, abbiamo cercato di capire se in seguito alla diffusione delle fake news sono cambiati stili di vita, consumi e produzione industriale. “Abbiamo assistito alla demonizzazione di alcuni alimenti, su tutti l’olio di palma e la carne rossa, e alla beata santificazione di altri, come la curcuma e lo zenzero. Ma con quali conseguenze?” Ecco l’analisi della professoressa Hrelia.
Chi determina la santificazione o la demonizzazione di alcuni alimenti?
La responsabilità non è tanto dei giornali, quanto più delle trasmissioni televisive, che cercano di indirizzare la popolazione verso una sana alimentazione, ma a volte esagerano definendo alcuni alimenti come strumenti magici capaci di creare un ombrello difensivo contro alcune malattie o come veleni che possono aumentare il rischio di contrarre le peggiori patologie.
E le aziende del settore alimentare come si inseriscono in questo contesto?
Oggi le aziende sono molto attente e non sgarrano, perché l’Agenzia per la sicurezza alimentare le controlla attraverso un giurì molto severo che autorizza o nega la comparsa delle scritte o di messaggi sulle confezioni. I più pericolosi oggi sono i fake experts, che si arrogano il diritto di dare informazioni spesso false o fuorvianti.
Ricordo che quando è uscita la notizia che la carne rossa poteva aumentare il rischio di cancro, si è registrato un reale calo dei consumi. Tanto che Assomacellai ha dovuto fare un appello ai consumatori chiedendo di non farsi coinvolgere troppo da facili allarmismi.
Le macellerie hanno effettivamente sofferto, i ristoranti meno. Comunque la storia insegna che appena c’è una notizia allarmistica sui giornali la popolazione ha sempre un attimo di disorientamento e un blocco dei consumi. Poi la notizia viene a essere largamente dimenticata, tanto che ora di carne rossa non si parla più.
Allora che cosa ha creato tutta questa confusione?
Gli studi epidemiologici hanno definito che il consumo di carne rossa e carni lavorate aumenta di circa il 20% il rischio di tumore al colon. Quello che non è stato valutato nella diffusione della notizia è che il 20% è un rischio relativo, che va rapportato al rischio del singolo individuo. In pratica, se un soggetto non ha familiarità con il cancro e ha uno stile di vita sano, anche se è un consumatore seriale di salumi, rimane con un rischio individuale basso. Diverso è per chi ha familiarità o una malattia infiammatoria intestinale. Se questo individuo, che già di suo può avere una predisposizione, mangia una quantità eccessiva si salumi, quel 20% di incremento del rischio può fare la differenza. Comunque sia l’Oms che la Iarc (International Agency for Research on Cancer) hanno concluso che un consumo moderato di carne rossa non è un pericolo per la salute. Anzi, oggi si sa che per alcune fasce di età il consumo di carne rossa è molto importante.
Ci sono nuovi studi?
C’è uno studio del 2018 della Seniors ENRICA cohort che ha definito importante il consumo di carne rossa in età avanzata, perché incrementa la forza muscolare e ostacola la fragilità ossea. Si è dimostrato che una maggiore assunzione di carne è associata a un miglior funzionamento muscolo-scheletrico. Lo stesso studio ha anche confermato che le carni lavorate (salumi) invece agiscono in maniera negativa. Un altro studio consiglia di mangiare carne poco cotta, evitando necessariamente l’esposizione oltre i 150 gradi. Del resto la temperatura è un fortissimo catalizzatore di reazione e cambia la struttura della materia prima.
Anche con l’acrilammide il problema era generato dalla temperatura, giusto?
L’acrilammide contenuta in prodotti amilacei, quindi sostanzialmente patate e carboidrati (biscotti, cracker, pane) e caffè cotti ad alta temperatura, è un contaminante e probabilmente cancerogeno. Era il 2002 quando è stata fatta questa scoperta, che comprometteva il lavoro di molte aziende – basti pensare a McDonald’s e alle sue patate fritte. Ma in quegli anni si è fatta una seria campagna a livello aziendale per ridurre il livello di acrilammide negli alimenti.
Quindi questo problema (lo ricordiamo, non generato da una fake news, ma individuato dalle autorità in materia) è stato risolto a livello industriale.
Esattamente, e anche per merito dell’EFSA (European Food Safety Authority), che è stata molto chiara nel definire le raccomandazioni da seguire nel processo di cottura e nel ciclo produttivo.
Perché con l’olio di palma demonizzato ingiustamente non si è potuto fare lo stesso?
L’olio di palma si poteva sostituire; patate, cereali e carboidrati no. Si sarebbe demolito un mercato alimentare enorme. Comunque ricordiamo che l’EFSA non ha mai chiesto la messa al bando dell’olio di palma perché in realtà è difficile che concentrazioni pericolose vengano raggiunte con la normale alimentazione.
Però le aziende continuano a fare campagne pubblicitarie basate sul “senza olio di palma”.
Intanto per un po’ hanno deviato l’attenzione dagli Ogm, di cui oggi non si parla più. Ma la cosa ai miei occhi ancora più grave è che in molti prodotti la sostituzione dell’olio di palma non ha portato un miglioramento del prodotto dal punto di vista nutrizionale: l’olio è stato semplicemente sostituito con un altro grasso. Comunque ci sono anche aziende come la Ferrero, che non hanno avuto paura di difendere il loro olio di palma.
Perché la Ferrero è stata l’unica che si è presa la briga di difenderlo?
Perché l’olio di palma è una colonna portante della ricetta della Nutella. Se si toglie quell’ingrediente sparisce la sua cremosità e il suo sapore unico. Inoltre le sue coltivazioni sono sostenibili e tracciabili, e a sostegno delle coltivazioni etiche dell’olio di palma si è espresso anche il WWF, che ha dimostrato che un ettaro di terreno adibito alla coltivazione di olio di palma richiede un quantitativo di pesticidi nettamente inferiore a quello di tutte le altre coltivazioni, e ha una resa molto superiore.
Nonostante i difensori illustri l’olio di palma è stato un vero e proprio capro espiatorio. Secondo lei troveremo il modo di riabilitare la sua produzione?
Secondo me no. Ormai è talmente radicato il concetto di negatività associato a quest’olio che i consumatori non sono pronti a riacquistarlo. Tranne ovviamente per quel che riguarda “l’intoccabile Nutella”.
Finora abbiamo parlato dei dannati. Passiamo ai santi.
In cinque/sei anni i consumi dei super food sono aumentati del 1000%. Quelli attualmente di moda sono quinoa, curcuma e zenzero. La quinoa va benissimo, perché è un cereale alternativo e proteico; però che si dica che lo zenzero e la curcuma vantino proprietà terapeutiche incredibili è davvero un’esagerazione. La curcuma per esempio andrebbe consumata più volte al giorno per produrre realmente effetti benefici. Questa spezia ha un potenziale effetto terapeutico innegabile, ma non possiamo sperare che l’aggiunta di un cucchiaino in un piatto due volte alla settimana tenga lontano il cancro. Se, come succede per le popolazioni indiane, questa spezia diventa parte della filosofia di vita e del profilo alimentare, allora possiamo valutarne gli effetti positivi. Altrimenti non serve a nulla. Comunque in generale è bene diffidare degli esperti di cui internet straripa, e soprattutto non dobbiamo farci prendere da facili entusiasmi e altrettanto facili paure. E ricordiamoci che, quando si parla di cibo, è sempre tutta una questione di dosi.
Photo Credits: https://www.ilmiogiornale.org/olio-palma-lo-scandalo-dei-conservanti/
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