L’istruzione e formazione professionale prepara studenti per il mondo del lavoro, ma è abbandonata a se stessa: i formatori (a partita IVA) lavorano trentasei ore contro le diciotto degli insegnanti di ruolo, con limiti retributivi ancora più bassi. E i lati negativi non finiscono qui.
Una persona transgender su due lascia la scuola. O è la scuola che le abbandona?
L’abbandono scolastico è una realtà che coinvolge il 43% delle persone transgender: è dovuto a microaggressioni, stereotipi e pregiudizi tra i banchi di scuola, e dalla mancata applicazione delle carriere alias in quattro casi su cinque. Ne parliamo con Areta Sobieraj di Oxfam Italia ONLUS
È un dato disarmante e allo stesso tempo allarmante quello che riguarda l’abbandono scolastico da parte degli studenti e delle studentesse transgender in Italia. Parliamo infatti di una percentuale che tocca il 43% (Fisher et al., 2014). A fianco un dato ancora più preoccupante, relativo ai tentati suicidi, che arriva al 40%.
Numeri collegati a storie in carne e ossa di adolescenti che subiscono situazioni di bullismo, discriminazione, pressioni psicologiche e disagio profondo, tanto da arrivare a interrompere gli studi pur di uscire da un contesto che non accetta né rispetta la loro identità. Consideriamo inoltre che in Italia solamente 317 scuole (dato Agedo) hanno introdotto la cosiddetta carriera alias, ossia un accordo di riservatezza attivato tra la persona transgender e la scuola che frequenta; all’accordo partecipa anche la famiglia nel caso in cui la persona non sia maggiorenne. In pratica nel registro elettronico viene inserito il nome scelto dalla persona che sta effettuando la transizione al posto di quello anagrafico nel quale non si riconosce più. Un modo per prevenire nella persona in questione sia disagi che invasione nella privacy, e non da ultimo quello che di fatto si configura come un continuo stillicidio.
Rispetto agli anni precedenti – pensiamo alla scuola degli anni Novanta, ma basterebbe anche solo andare indietro di una decina di anni – il lavoro di diverse organizzazioni e realtà impegnate sul tema ha permesso di incrementare la consapevolezza sulla questione. Riflettere su stereotipi, pregiudizi e stigmi coinvolgendo studenti, insegnanti e famiglie ha permesso così di raggiungere traguardi fondamentali senza scordare che la strada da fare è ancora tanta. A questo proposito ne parliamo con Areta Sobieraj, responsabile dell’ ufficio educazione alla cittadinanza globale di Oxfam Italia ONLUS, associazione attiva da tempo sulla tutela dei diritti.
Per le persone trans il disagio si apprende anche a scuola: abbandono scolastico e carriere alias non applicate
“Sono le stesse persone transgender e chi appartiene alla comunità LGBTQIA+ a testimoniare il disagio che vivono all’interno del contesto scolastico, e che ha una ripercussione su tutto il resto”, afferma Areta Sobieraj. “Posso confermare che a scuola le persone più colpite dalle discriminazioni omofobiche, bifobiche e transfobiche sono quelle transgender. Nel 5,7% dei casi è il bullismo omotransfobico a portare all’abbandono scolastico. Voglio ricordare, a questo proposito, che solo uno studente transgender su cinque ha ottenuto l’applicazione a scuola della carriera alias.”
Possiamo dunque dire che per tutta la restante fetta di studenti e studentesse siamo di fronte a una situazione di un mancato riconoscimento sociale e anche di un diritto. “Esatto”, evidenzia la referente di Oxfam. “La carriera alias permette alla persona di vivere il quotidiano scolastico con più tranquillità psicologica, senza la pressione ogni volta di dover dare spiegazioni. Parliamo infatti di rispetto, oltre che di tutela della privacy, del riconoscimento dell’identità con cui l’adolescente, appunto, si riconosce”.
Come organizzazione siete attivi da diversi anni nelle scuole: sensibilizzazione e prevenzione sono il vostro lavoro quotidiano. Come agite operativamente su questo tema così delicato e importante? “Puntiamo molto su corsi di formazione rivolti anche agli insegnanti toccando aspetti cruciali come la discriminazione di genere, al cui interno va fatta anche una decostruzione degli stereotipi e pregiudizi che creano quella piramide di odio da cui scaturiscono anche i fenomeni di violenza e di micro-aggressioni. Tutte cose che provocano stress psicologico nella persona che le subisce. Lavoriamo molto anche con le famiglie”, aggiunge.
Ricordiamo che in Italia solo da pochi anni si parla in modo tangibile di micro-aggressioni, ossia secondo la definizione “brevi interscambi quotidiani che inviano messaggi denigratori ad alcuni individui facenti parte di un gruppo, insulti sottili (verbali, non verbali, e/o visivi) diretti alle persone spesso in modo automatico e inconscio” (Sue, 2010). Un fenomeno da cui non è esente nemmeno il contesto lavorativo come abbiamo raccontato in un precedente articolo focalizzato sull’indagine ISTAT-UNAR condotta nel 2020 e nel 2021.
A scuola di stereotipi. Areta Sobieraj, Oxfam: “Più diffusi nel corpo docente”
Ritornando al nostro tema cardine, possiamo dire che Oxfam durante il suo lavoro di formazione ha potuto intercettare diverse stratificazioni di stereotipi. Chiediamo: partendo dalla vostra esperienza nel contesto scolastico, oggi in Italia quale risulta essere lo stereotipo più difficile da scardinare, sia per i docenti che per gli studenti, in relazione al tema che stiamo affrontando?
“Ci sono tanti fattori che influiscono”, commenta Areta Sobieraj. “Il contesto stesso in cui si trova la scuola ha una notevole influenza. Ciò che emerge in ogni caso è che gli stereotipi sono più diffusi nel corpo docente che negli studenti. Sicuramente lo stereotipo più diffuso e difficile da scardinare è quello di genere, ossia il preconcetto di quello che dovrebbe essere un uomo e di quello che dovrebbe essere una donna. Un adolescente che vive ogni giorno la scuola, per quanto non abbia preconcetti, subisce comunque questa pressione data da uno sguardo stereotipato altrui”.
Riguardo ai preconcetti che avete riscontrato in alcuni docenti, qual è la causa principale, se così si può definire? “Manca una consapevolezza di che cosa sia un’identità di genere nel senso più ampio, che non è qualcosa di rigido e preconfezionato. Dobbiamo renderci conto che ci sono persone che fanno ancora fatica a concepire una realtà che non sia tradotta attraverso il binarismo di genere. La transizione per diverse persone rappresenta tuttora un tabù, ancora di più rispetto alla questione dell’orientamento sessuale”.
Uno strumento di autovalutazione (e miglioramento) per le scuole
Areta Sobieraj ci racconta di uno strumento che è stato attivato nel corso di questo lavoro.
“Da circa il 2014 Oxfam promuove nelle scuole di tutta Italia la carta della parità di genere. Si tratta di uno strumento gratuito, che stiamo sperimentando, il quale permette alla scuola di autovalutarsi rispetto al livello di parità di genere in cinque differenti aree tematiche: leadership, curriculum, le relazioni, gli ambienti fisici e la comunità educante. Questo permette alla scuola di autovalutarsi coinvolgendo tutti, comprese le figure della segreteria e quelle dirigenziali. Fatta l’autovalutazione la scuola sceglie su quale aspetto lavorare per cercare di colmare le fragilità a seconda di dove sono state rilevate, attivando cambiamenti che influiscono in modo positivo sulla vita delle persone.”
Che cosa è emerso in particolare da questa valutazione? “Che anche nella scuola può capitare che non si pensi ad alcuni aspetti importanti, come ad esempio il linguaggio, nel quale viene spesso utilizzata una prevalenza del maschile sovraesteso. Abbiamo al contempo notato i risvolti positivi avvenuti nelle scuole che hanno adottato un cambiamento a livello del linguaggio”.
Sempre parlando di lavoro, non possiamo non considerare l’effetto domino negativo che l’abbandono scolastico determina sul futuro professionale delle persone transgender. “Di certo è così, parliamo dell’interruzione di un percorso formativo che blocca possibilità e che influisce psicologicamente sulle scelte lavorative delle persone e sul loro futuro”, chiosa Areta Sobieraj.
Riconoscimenti sociali mancati che si traducono in una riduzione di opportunità professionali, ma anche in una perdita per il mercato del lavoro. Riguarda le risorse umane, ossia le persone, con la loro preziosa unicità.
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Photo credits: agedonazionale.org
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