Il caro libri scolastici raggiunge cifre impressionanti: 1,45 miliardi spesi per meno di 4 milioni e mezzo di studenti. E il costo per le famiglie tocca i tre zeri. I dati dell’indagine ADOC-EURES, i commenti dei presidenti Anna Rea e Fabio Piacenti e le possibili soluzioni
PNRR scuola, ma di acquisti opinabili
Centinaia di ore di lavoro di progettazione per docenti e dirigenti, ma le modalità di spesa del PNRR sono imposte dal ministero: dalla scuola voci critiche sull’impiego dei fondi europei. Come quella del dirigente Alfonso D’Ambrosio, che abbiamo intervistato
Un obolo concesso con diffidenza. Questo è per la scuola il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR): nei confronti degli insegnanti ci sarà tutta la vigilanza che è mancata ai bonus edilizi.
Quante sono dunque le promesse disattese del Governo, le falle nel sistema scuola che ancora una volta non saranno sanate? Lo abbiamo chiesto ad Alessandra, una delle tante docenti venete impegnate nella stesura del progetto per il suo istituto comprensivo.
“Nel nostro caso – dice – avremo oltre 190.000 euro se il progetto sarà approvato in toto, ma se lo dividiamo per cinque plessi sono niente. C’è poi l’aspetto di chi si è impegnato a stendere il progetto, che in genere è l’animatore digitale con la funzione strumentale dell’innovazione tecnologica. Non siamo stati pagati per questo impegno, perché non sono previsti fondi. Facendo un calcolo a spanne, da gennaio, abbiamo dato circa cento ore di lavoro extra in due, non pagate perché vengono fatte rientrare nei nostri compiti”. Ancora una volta, dunque, passa il messaggio che la professionalità e il tempo degli insegnanti non sono monetizzabili, non hanno un valore.
“C’è poi la sessione allargata del progetto”, continua, “cioè la condivisione con tutte le referenti informatiche dei plessi, per cui ci siamo trovati tutti anche per la stesura finale, poi approvata in collegio docenti. E sono altre ore di prestazioni gratuite, cui ci aggiunge l’impegno della preside, il tutto all’insegna di una connessione cronica. La cosa più grave, per me, è che non ci hanno lasciati liberi di scegliere. Che non significa non dover render conto a nessuno, sia chiaro, ma poter usare i soldi a seconda delle reali esigenze, questo sì”.
Il dirigente scolastico Alfonso D’Ambrosio: “È il ministero che decide le modalità di spesa. Così le scuole spenderanno a vuoto”
Mettiamoci ora dalla parte dei presidi. Abbiamo sentito un dirigente scolastico combattivo, già noto alle cronache per la sua fermezza pionieristica: Alfonso D’Ambrosio, preside di Lozzo Atestino, uno dei tanti gioiellini dei Colli Euganei (PD) che non tocca i 3.000 abitanti.
Secondo le disposizioni di un anno fa o poco più, la scuola avrebbe dovuto ricevere cifre a pioggia per interventi cruciali come gli impianti di aereazione. E invece?
Sì, è vero, i propositi erano questi. Va fatta però una premessa. La scuola che dirigo è salita agli onori della cronaca per aver utilizzato fondi per un impianto di ventilazione meccanica controllata. Ci siamo resi conto in questi mesi, attraverso il controllo di dati ambientali quali polveri sottili, temperatura e composti organici, che al di là del COVID-19 la scuola è un coacervo di virus e batteri. Non è certo una notizia, questa. La questione del PNRR è che le scuole non sono mai state all’attenzione dell’opinione pubblica come luoghi di benessere. Ad esempio non c’è attenzione ai colori: noi stiamo rimodulando i colori delle pareti delle aule, in modo da aiutare i bambini che hanno disturbi dello spettro autistico. I colori cambiano inoltre di tonalità in base all’esposizione a sud o meno. E poi l’attenzione ai pannelli fonoassorbenti, l’attenzione alle luci: questi non sono dettagli, ma aspetti che entrano in un percorso più ampio.
Il PNRR dunque come si pone verso questi aspetti?
Una delle direzioni a cui è rivolto riguarda il contrasto alla dispersione scolastica, una criticità enorme che non mi stanco di rimarcare; non c’è stato infatti alcun coinvolgimento degli enti locali. In pratica il ministero ha detto: io assegno questi fondi in base ai territori socialmente deprivati (il nostro lo è), in base ai dati INVALSI (i nostri sono buoni, ma il contesto sociale non è positivo), ma tu scuola non puoi scegliere. Il nostro istituto, per capirci, ha avuto 74.000 euro. Il 30% di questi fondi va speso in azioni di mentoring, cioè supporto psicologico in un rapporto uno a uno; il resto in recupero competenze, e una parte nel coinvolgimento delle famiglie. Attenzione però: solo le famiglie fragili. Genitori seguiti da centri di assistenza per problemi di dipendenza da alcool o droghe, famiglie seguite da assistenti sociali per situazioni famigliari complicatissime che impattano sui ragazzi. Questi dati, però, noi come scuola non possiamo conoscerli, e l’unico modo per saperli, dal momento che questi contesti hanno forti ricadute sull’apprendimento, è sentire l’ente locale impegnato per queste famiglie. Ma mettetevi nei nostri panni: non sono stati previsti fondi da attribuire agli enti locali per il trasporto. Quindi succede che a un ragazzino, che già di suo non ha un grande entusiasmo per la scuola, viene proposto un corso di arte o di yoga, di pomeriggio, a scuola; chi ce lo porta? Forse la famiglia problematica, magari anche con genitori separati che vivono in luoghi diversi? È follia pura.
Sembra che chi vara queste norme non sappia neanche com’è fatto un ragazzo, e a quanto pare neppure che cosa è una scuola.
Si parla di contrasto alla dispersione scolastica senza curarsi dell’aspetto fondamentale, cioè l’extra-scuola. Quindi noi scuola chiamiamo i Comuni, che a loro volta ci dicono di non avere soldi per il trasporto e ci rimandano la palla dicendo che i soldi li abbiamo avuti noi, che a nostra volta non li possiamo spendere per i trasporti, perché sono previsti solo per attività di formazione. E poi c’è la contraddizione posta dalla legge sulla privacy: come scuola noi dovremmo contattare solo le famiglie disagiate; gli assistenti sociali però non sono autorizzati a rilasciarci dati riservati, e noi come scuola non abbiamo alcun modo per reperirli. Ecco perché io andrò a fare degli incontri aperti a tutte le famiglie.
Ancora una volta alla radice di tutto c’è l’assenza di visione di insieme, quindi, aggravata dalla burocrazia.
Gli amministratori si sono trovati questi soldi. Hanno dovuto dare degli obiettivi per i progetti, perché i soldi dovevano essere spesi in fretta. Quindi hanno delegato l’organizzazione agli enti locali, che si sono mossi però senza una vera progettualità. Purtroppo non ci lasciano liberi, al contrario decidono dall’alto. La stessa cosa è avvenuta con il piano scuola 4.0. Ancora una volta, in qualità di dirigente di un istituto comprensivo, esprimo fortissime perplessità sulla visione che c’è dietro. Per le scuole che hanno già avviato un percorso pedagogico-didattico, ad esempio di modifica del curriculum, di introduzione di indirizzi, e che negli ultimi anni hanno già investito senza fare la lista della spesa, ma con una ratio pedagogica, il PNRR è stata un’opportunità. Il problema è che le scuole che hanno fatto queste scelte sono pochissime. Il ministero ha quantificato che le scuole che, a seguito degli strumenti e degli arredi, hanno cambiato le didattiche, sono meno del 10%. Che cosa farà dunque la maggior parte delle scuole? Ad oggi l’unico che può scrivere i progetti sulle piattaforme è il dirigente scolastico, che crea un gruppo di lavoro (cinque, otto persone) e comunque può, volendo, scavalcare il collegio docenti.
C’è tanto da fare, dunque, ma quanti sono i dirigenti oggi pronti a scommettersi? Perché nella realtà quotidiana il panorama è ben diverso. Numerosi presidi si deresponsabilizzano, preferiscono delegare.
Diciamoci la verità. Quanti sono i dirigenti in grado di sostenere una progettualità così specifica? Pochissimi.
Perché allora fare il preside, se non si è capaci di farlo?
Lei ha colto in pieno. La criticità, che è un dato di fatto, è questa: il dirigente si può svegliare la mattina e può decidere di inviare il progetto. Dopo il collegio docenti può deliberarlo o meno, ma intanto è inviato. Faccio un esempio banale, in base a quello che intercetto. Un dirigente ha come target, nella sua scuola, venti aule. Il ministero dice che deve essere coinvolta la metà degli ambienti. Se un istituto ha primaria e secondaria, dieci vanno all’una e dieci vanno all’altra. Ebbene la preside ha deciso di suo pugno che, poiché la primaria sarà a breve oggetto di ristrutturazione, non verrà coinvolta nel PNRR. Da incontri con l’Ufficio Scolastico e Roma dicono no: il PNRR deve impattare nella metà degli ambienti e non è il dirigente che può decidere; eppure, in questo caso, la dirigente si impone e lo fa. Ci sono altri casi come questo. Secondo me il PNRR ha un grosso problema: è troppo rivolto all’acquisto di strumenti digitali, noi parliamo di ambienti di apprendimento, ma solo il venti per cento di questi sono arredi. Il resto sono strumenti.
Forse è un modo per correre ai ripari, con ritardo siderale. Quando scoppiò la pandemia, infatti, non c’era una sola scuola con una rete WiFi in grado di sostenere il traffico della DAD.
Attenzione, è stato fatto un PON (Piano Operativo Nazionale) per il cablaggio di tutte le scuole italiane. Non tutte le scuole però si sono attivate, perché non hanno avuto la capacità progettuale di portarle avanti. Noi, ad esempio, abbiamo avuto 75.000 euro e io, grazie al fatto che sono un fisico, sono riuscito ad attivarmi, non ho percepito alcun compenso per il mio lavoro di progettista – per mia scelta – e ci sono voluti quattro mesi. Le risparmio i tecnicismi. Il fatto è che molti istituti comprensivi non hanno figure con queste competenze, e pertanto perdono questa grande occasione. Si è infatti deciso di investire ancora una volta su strumenti, su ambienti, ma non sulle persone. Lo stesso vale per le scuole superiori: ci saranno quattro persone in grado di attuare il PON. Ha senso investire 2 miliardi e 100 milioni di euro su quattro persone? Per questo il PNRR è polemico, e da mesi non mi stanco di ripeterlo, sull’autonomia didattica.
Cioè?
Noi scuola abbiamo l’autonomia didattica, organizzativa e gestionale (DPR 65 del ’99). Cioè io singola scuola so, alla luce di quei 100.000 euro, quanto posso destinare per gli arredi, quanto per gli strumenti e per quale tipo di strumenti. Secondo me il ministero avrebbe dovuto dire: guarda, tu hai 100.000 euro, meno di 20.000 non ne puoi spendere per gli strumenti, meno di 20.000 non ne puoi spendere per gli arredi, e per il resto sei libero. Invece no, loro prevedono che minimo il 60% vada in strumenti digitali, e massimo il 20% in arredi. Tutto ciò cozza con i vari enti locali. Ma le scuole hanno esigenze così diverse da non essere paragonabili. Il bambino della primaria non se ne fa niente dei robot (abbiamo già avuto fondi e comprato questo materiale). Ha più bisogno di arredi montessoriani, di materiali per le attività scientifiche.
Per concludere, professore, quali sono i più clamorosi interventi disattesi?
Le architetture. È inutile che il ministero mi dica “facciamo duecento scuole nuove” e poi io in realtà di plessi ne ho migliaia. Duecento scuole sono una goccia nel mare, solo per poter dire “l’ho fatto”. E poi la formazione: nella piattaforma Futura ci sono corsi per tutti, ma pochi fondi, e comunque destinati alla formazione digitale, e zero alla gestione emozionale. Stiamo investendo sullo strumento, pensando che sia il fine della scuola, col rischio di trovarci aule piene di pc e insegnanti ancora seduti in cattedra, a urlare.
Photo credits: tuttoscuola.com
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