L’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi: “Con il progetto ‘Insieme per il lavoro’ curia e comune reinseriscono nel lavoro persone fragili partendo dai loro bisogni”. L’assessore al lavoro del Comune di Bologna Marco Lombardo: “Non servono altri soldi pubblici: va ribaltata la proporzione tra politiche passive e attive del lavoro”.
Primo maggio: contraddizioni per l’uso
Il Primo maggio è la data scelta per presentare una riforma del lavoro che penalizza i lavoratori e mette in dubbio il ruolo dei sindacati, organizzatori del Concertone sponsorizzato da testimonial controversi.
Il Primo maggio quest’anno sarà un appuntamento fortemente simbolico per diversi motivi.
Andiamo per ordine.
Per prima cosa è la data scelta dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni per presentare il “decreto lavoro” che – fra le altre cose – sostituirà il contestatissimo Reddito di Cittadinanza, croce di mille imprenditori disperati dalla mancanza di lavoratori e delizia di alcuni giornali, che su quelle favole mai verificate hanno riempito interi piani editoriali.
In questo Primo maggio dei lavoratori stanno parlando tutti, meno che i lavoratori.
Prima contraddizione: il linguaggio
Il “nuovo Reddito di Cittadinanza” ha come primo obiettivo quello di semplificarne l’accesso, con regole chiare e comprensibili, e correggere gli evidenti errori di configurazione, come per esempio la trasparenza dell’incrocio fra domanda e offerta (in precedenza affidata a Centri per l’Impiego e Navigator), la verifica delle condizioni contrattuali proposte dai datori di lavoro (mai effettuata), il monitoraggio delle “tre rinunce” che avrebbero dovuto portare alla perdita del sussidio (mai avvenuto), solo per dirne alcune.
E invece stona tutto l’abuso incondizionato di acronimi: una volta riposto in cantina l’iniziale MIA, e poi il GIL; dimenticati i fumettistici PAL e GAL, che dicono tutto e il loro contrario (rispettivamente Prestazione di Accompagnamento al Lavoro e Garanzia per l’Attivazione Lavorativa, senza di fatto garantire nessuna “attivazione” e tantomeno prevedere alcuna politica attiva di accompagnamento al lavoro), il nuovo nome ha un sapore di antico. Nella Patria che per mesi si è divisa in squadre nel dibattito sui social a favore o contro l’uso di sistemi di pagamento digitali, ecco che il Governo ci propone un bell'”assegno di inclusione“.
L’impressione è che ancora una volta queste norme siano pensate per un pubblico di tecnici, ignorando i destinatari che dovranno comprenderle: Persone in prevalenza poco abbienti, con un basso livello di scolarizzazione e grosse lacune formative. Prevedibile che le richieste si ridurranno in maniera proporzionale alle capacità di comprensione di formule, specchietti e, questa volta, anche di scaglioni.
Seconda contraddizione: un reddito per i poveri, ma a vantaggio dei ricchi
Dal vocabolario del Reddito di Cittadinanza è sparito il termine “congrua”, che definiva un’offerta di lavoro che permettesse ai percettori di non dilapidare quei 520 euro medi, troppo spesso in competizione con le retribuzioni proposte, come ammise ingenuamente qualche tempo fa il Presidente di Confindustria Bonomi smentendo la retorica dei divanisti di professione: mi chiedo quale Persona capace di intendere e di volere accetterebbe un lavoro che alla fine del mese, al netto delle spese, gli lasci in tasca meno di quanto percepito con il Reddito? Qui i divani non c’entrano nulla. E’ una questione di sopravvivenza.
Secondo le nuove regole, per non perdere il Reddito, i percettori dovranno accettare QUALSIASI offerta di lavoro, al netto del chilometraggio (vale tutta Italia), della proposta contrattuale, e anche in caso di lavoro in somministrazione per poche ore o per pochi giorni.
Alle aziende che assumono percettori viene garantita l’intera defiscalizzazione dei contributi, che sarà a carico dello Stato.
Caccia all'uomo: un altro contratto è possibile. Purché non sia a tempo indeterminato
Il regalo contributivo alle imprese in caso di assunzione scatenerà una vera e propria “caccia all’uomo (o alla donna) percettore“, che oltre a continuare ad alimentare la polemica sui percettori che non hanno voglia di lavorare apre il fronte ad altre contraddizioni.
La prima è che si sdogana definitivamente l’utilizzo di contratti precari e tutti i loro successivi e innumerevoli rinnovi, fra l’altro senza più nemmeno la discriminante della causale, permettendo alle aziende il libero arbitrio sulla legittimità o meno di non assumere a tempo indeterminato.
La seconda è che chi formula queste regole è così lontano dalla realtà da non sapere che non è di certo il popolo dei percettori di Reddito ciò di cui le aziende hanno bisogno oggi, bensì di operai e tecnici specializzati (come spesso si legge sui giornali e sui gazzettini delle associazioni di categoria, se è vero ciò che dichiarano). I percettori di reddito sono tali in quanto scarsamente impiegabili. Una delle parole che abbiamo perso in questo passaggio, e che contraddistingueva in maniera fin troppo chiara la situazione, è “inoccupabili”, ovvero Persone che non hanno nessuna attrattiva per il mercato del lavoro.
La terza contraddizione riguarda l’indifferenza verso tutti gli altri disoccupati: neo laureati, tecnici rimasti a casa a causa delle tantissime crisi aziendali di questo Paese, e soprattutto certi over 40 che il mercato del lavoro tende a escludere naturalmente.
Brandwashing: gli sponsor del Concertone
Il Primo maggio è anche la giornata del Concertone di Piazza S. Giovanni. Organizzato dai sindacati, la Festa del Lavoro in Musica serve a ricordare l’articolo 1 della Costituzione e le lotte (vere o presunte) delle organizzazioni dei lavoratori contro gli infortuni sul lavoro, le precarietà, i diritti e i doveri di tutti gli attori coinvolti. Ma è anche un modo per avvicinare le nuove generazioni ad argomenti che purtroppo non si insegnano nelle scuole e non si raccontano nelle serie televisive.
Il Concertone di domani ha fra i suoi sponsor almeno tre presenze che dovrebbero far sentire in forte imbarazzo i sindacati e che rappresentano l’ennesima contraddizione di questo Primo maggio.
Una banca che di recente ha allontanato unilateralmente dalla contrattazione il suo sindacato di riferimento, imbavagliando di fatto la rappresentanza dei suoi lavoratori.
Un’azienda di Stato che – rebranding a parte e alla faccia di qualsiasi transizione ecologica – continua a investire su combustibili fossili e a trivellare ovunque come se non ci fosse un domani. Coinvolta in scandali legati a faccende di tangenti, per cui l’azienda ha patteggiato milioni di euro. Non ultimo, azzarderei anche ad accennare a quanto questo genere di aziende, abbiano un ruolo nella speculazione sui prezzi delle energie, che hanno contribuito alla chiusura di migliaia di attività nell’anno in cui ci sarebbe dovuta essere una ripresa economica dopo due anni di crisi pandemica.
Controversa (e forse non opportuna) la presenza di Just Eat, azienda di food delivery, settore che non brilla di certo per l’aderenza ai valori di trasparenza, sicurezza sul lavoro e trattamento retributivo. A Just Eat, per dovere di cronaca, si deve riconoscere di essere uscita da Assodelivery per “divergenza di vedute”(l’associazione di categoria di riferimento, ma non prima di avere sottoscritto un contratto collettivo vergognoso con i vecchi partner Deliveroo e Glovo). Gli si riconosce di sicuro anche il tentativo – ancora un po’ goffo e insufficiente – di stabilizzare una parte dei propri collaboratori, sebbene attraverso il contratto Scoober che è ancora oggi fonte di discussione.
Chiedo a Federico Fornasari, sindacalista molto attivo sul fronte della tutela dei riders, in occasione di un incontro sindacale nazionale: “Il contratto Scoober è un contratto di secondo livello, solo per i lavoratori di Just Eat, in cui la paga oraria è inferiore a quella del contratto della logistica, dove i festivi sono forfettizzati – 1 euro contro il 30% della paga base previsto dal contratto della logistica – e i contratti sono ridotti a un massimo di 20 ore settimanali, non permettendo di certo ai riders di Just Eat di mantenersi con il solo ingaggio”, costringendo chi ha bisogno di guadagnare di più, a lavorare anche per gli altri operatori meno sostenibili, di fatto ricadendo sotto le grinfie del “sistema food delivery” più tipico.
Non si entra nel Tempio se non ci si è pentiti e mondati dei peccati, e in questo Primo maggio mi sembra che ci abbiano messo piede tutti i peccatori possibili. Con la benedizione dei Profeti.
Aggiornamento: per correttezza di informazione, riporto la replica di Alessandro Caprara che da Linkedin che ribatte: “L’attivazione ha riguardato la stragrande maggioranza dei nuovi rider (che sono stati assunti e hanno iniziato a percepire una retribuzione oraria, ferie, malattia etc). Dipendenti con maggiore anzianità lavorativa hanno avuto la possibilità di scegliere, per un limitato periodo di tempo, di mantere il rapporto di lavoro autonomo. Federico (se è lo stesso che conosco io, di USB) si sbaglia: la paga oraria è 7,5 € + € 1 di indennità sostitutiva di 13esima e 14esima per i primi due anni. Dal terzo anno del rapporto di lavoro scatta il trattamento regolare del CCNL. Inoltre le fasce orarie iniziali di lavoro erano di 10, 20 e 30 ore. Poi ci sono altri bonus.”
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