Orari antisociali, se la metà dei professionisti lavora come un gufo

Un lavoratore su due opera in orari definiti “antisociali”, in cui i servizi sono scarsi o assenti e le serrande sono abbassate. A volte è una scelta, altre una costrizione: lo rivela un’indagine INAPP.

Antisociali non è una brutta parola. Forse.

Se si parla di personalità, definisce individui che disprezzano leggi e regole. Sul lavoro, invece, si riferisce soprattutto agli orari in cui opera un certo numero di occupati; orari in cui i servizi sono scarsi o assenti e le serrande sono abbassate, e che vengono frequentati da un lavoratore su due. Per scelta o per costrizione.

Lo rileva un’indagine INAPP PLUS (Participation, Labour, Unemployment Survey) del febbraio 2023, incentrata sulla regolazione dei tempi di lavoro in rapporto alle esigenze dei professionisti italiani. Con risultati molto poco lusinghieri: vediamo quali.

Mentre altrove si discute di settimana corta, nel nostro Paese restano ancora da superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita.
Sebastiano Fadda, presidente INAPP

Orari antisociali, riguardano la metà degli occupati. Con differenze di genere

Secondo l’indagine, ricavata dalla partecipazione di 45.000 individui di entrambi i sessi tra i 15 e i 74 anni e conclusa nel 2022, il 18,6% dei dipendenti (circa 3,2 milioni) lavora sia di notte che nei festivi, il 9,1% anche il sabato e i festivi, ma non la notte, e il 19,3% è impegnato col lavoro anche la notte, ma non sabato e nei festivi.

C’è anche una distinzione di genere: gli uomini, infatti, sono più coinvolti nel lavoro notturno, sia in settimana, sia il sabato e nei festivi; le donne, invece, lavorano più spesso il sabato e nei giorni festivi, con un minore coinvolgimento in orari antelucani.

Restringendo il campo ai lavoratori dipendenti, il 60% fa straordinari rispetto al suo orario di lavoro, ma per uno su sei non sono retribuiti (il 15,9%). Per quanto riguarda le motivazioni, si parla soprattutto di carichi di lavoro eccessivi o carenza di personale (51,2%) e della necessità di guadagnare di più (18,4%), con un’inquietante percentuale che dichiara di non potersi rifiutare di farli (8,1%).

E i permessi, che potrebbero mitigare il frastagliamento degli orari? Cattive notizie anche su questo fronte, se si considera che il 21,3% degli intervistati (che corrisponde a 4,7 milioni di occupati) dichiara di non poterne o di non volerne prendere per motivi personali. Una tendenza che si accentua per le lavoratrici e per gli autonomi parasubordinati.

Part time involontari e in orari antisociali: il contrario di ciò che vorrebbero 900.000 lavoratori

Esiste tuttavia una percentuale di lavoratori per cui la situazione è anche peggiore. Sono coloro che subiscono un numero di ore lavorative ridotto contro la loro volontà (il fenomeno della sottoccupazione, che, di nuovo, riguarda perlopiù le donne) e che vengono comunque costretti a orari antisociali: si parla di quasi il 52% di chi ha un part time involontario, cioè il 27% sul totale degli occupati part time.

Tradotta in cifre, la situazione riguarda circa 900.000 dipendenti. Secondo l’INAPP, si tratta di “un modo di lavorare che è particolarmente oneroso soprattutto per coloro che devono far fronte a carichi di cura, perché si concentra in momenti in cui non sono disponibili i servizi”. Ancora una volta, quindi, per la popolazione delle lavoratrici.

“Spesso la domanda di lavoro richiede disponibilità che confliggono con le esigenze di vita”, dichiara il presidente dell’INAPP Sebastiano Fadda. “È vero che per alcuni settori economici, come il commercio o la sanità, e per alcune professioni, come quelle dei servizi, il lavoro notturno o nei festivi è connaturato alla natura della prestazione, ma è anche vero che questa modalità sembra diffondersi anche dove non è strettamente necessaria. Mentre altrove si discute, e si avviano sperimentazioni, di orario ridotto o settimana corta, nel nostro Paese restano ancora da superare vecchi modelli di organizzazione del lavoro che incidono pesantemente sui tempi di vita”.

Non è questione di comportamenti mattinieri e serotini, non più. Tra questi numeri c’è poco spazio per chi professa la necessità di un certo numero di ore di riposo; figurarsi l’equilibrio tra vita e attività professionale. Nel mondo del lavoro italiano, talvolta, anche le allodole devono fare la vita dei gufi.

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