Quando lavorare è una festa

Era il 1993 quando, per la prima volta, partii da Torino alla volta della Corsica per vivere la mia prima esperienza da animatore; una scelta che, come tante altre che caratterizzano la giovinezza, aveva motivazioni non del tutto chiare ma considerate allora importantissime: risolvere il problema di cosa fare per tutta l’estate, invece di spendere […]

Era il 1993 quando, per la prima volta, partii da Torino alla volta della Corsica per vivere la mia prima esperienza da animatore; una scelta che, come tante altre che caratterizzano la giovinezza, aveva motivazioni non del tutto chiare ma considerate allora importantissime: risolvere il problema di cosa fare per tutta l’estate, invece di spendere avere una retribuzione, garantirsi vitto e alloggio, migliorare la conoscenza delle lingue straniere, incontrare gente nuova e confrontarsi con culture diverse ma, soprattutto, divertirsi. Evidentemente ero anch’io vittima di alcuni falsi miti e non avevo per nulla le idee chiare sul lavoro degli animatori, in poche parole non sapevo cosa mi aspettasse. Ma capii subito, sin dal primo giorno, che il principale mito degli animatori che non fanno altro che divertirsi era il primo a dover essere sfatato.

Oggi, dopo tanti anni di lavoro in azienda, mi rendo conto che come animatore avevo vissuto, anche se  inconsapevolmente, la perfetta metafora della vita in azienda, affrontando situazioni che richiedevano tutte quelle qualità che le aziende ricercano nelle persone sia per sceglierle in fase di selezione, sia per offrire loro una possibilità di sviluppo di carriera.

L’orario di lavoro era estremamente semplice: tutti i giorni dalla mattina presto fino a notte inoltrata. Non si parlava certo di straordinari o di maggiorazioni legate al lavoro notturno che spesso veniva invece interpretato quale volontariato pro bono a bona a seconda dei gusti. Occorre quindi che gli animatori siano dotati di grandi capacità di adattamento, di avere cioè quella flessibilità tanto agognata in azienda. Il perfetto animatore deve inoltre saper fare un po’ di tutto e, se non lo sa fare, deve impararlo: dalla gestione delle attività sportive, al miniclub, alla partecipazione a spettacoli in cui si deve recitare, cantare ed a volte ballare, oltre naturalmente a lavarsi gli indumenti e pulire la propria stanza quando si era così fortunati da averne una tutta per sé. Ma se guardiamo queste attività in ottica aziendale è evidente che stiamo parlando di polivalenza.

Che dire poi della capacità di gestire con tatto il rapporto con turisti particolarmente esigenti, mai soddisfatti di quanto offerto loro dalla struttura che li ospita, che si tratti di un albergo a cinque stelle o di uno spartano villaggio turistico. In questo caso le soft skill sono indispensabili per gestire le classiche lamentele relative al cibo, alle attività sportive e ricreative, o addirittura all’inclemenza del meteo che ha rovinato la loro settimana di vacanza. Quest’ultima situazione, in particolare, costituisce il perfetto training utile nella prospettiva di un futuro aziendale per difendere al meglio le posizioni non condivise, situazioni al di fuori del proprio governo o provocate da altri e per le quali non esistono possibilità di soluzione.

Non parliamo poi della capacità di risolvere con immediatezza e spirito di iniziativa le situazioni più strane e impreviste come improvvisare una serata alternativa quando il vento impedisce lo spettacolo di Ferragosto in spiaggia: non è questo un perfetto esempio del tanto celebrato problem solving? Così come è team building quel senso di cameratismo che lega tra loro gli animatori che si aiutano sempre a vicenda perché sanno che solo con il lavoro di “squadra” possono raggiungere gli obiettivi che sono stati loro richiesti e garantire a tutti gli ospiti la vacanza perfetta da ricordare con una punta di nostalgia.

In conclusione, il percorso di animatore potrebbe essere il migliore dei team building, di certo dispendioso in termini di tempo e soprattutto di risorse finanziarie. Ma sarebbero davvero disposti i manager, sia pur confortati dalla location paradisiaca, a tornare a lavorare così duramente, senza orari ed in condizioni a volte disagiate, affrontando anche attività molto stressanti, sia dal punto di vista fisico che psicologico?

Magari confortati dal fatto che molti personaggi di successo, non solo in ambito artistico, hanno avuto un trascorso da animatori: da Berlusconi a Chiambretti che allietavano i crocieristi, da Confalonieri e Magalli a Rutelli e Bonolis. Se la risposta fosse positiva, potrei finalmente ribattere a quanto sosteneva il mio più volte citato capo che, nella sua saggia concretezza, era solito affermare che “I capi sono come gli scaffali: più sono in alto e meno servono”.

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