Da 40 a 32 ore settimanali, in alcuni casi 30, e c’è chi addirittura non pone limiti né di orario né di luoghi. Sono le esperienze di 4 aziende, di varie dimensioni, che attuano la settimana corta. Ma a raccontarle, stavolta, sono i dipendenti.
Ancora troppo lunga la settimana corta all’italiana
In Italia mercato del lavoro e sindacati sono ancora molto indietro rispetto al tema della settimana corta; forse troppo. Le esperienze delle aziende Ali Lavoro e l’Isola dei tesori
Quattordici annunci, tutti della stessa realtà. Questo il magro bottino, raccolto sulla sezione lavoro di LinkedIn, indicando come elemento chiave della ricerca la settimana corta. Una percentuale miserrima, se rapportata al totale delle 144.667 proposte professionali italiane online sul famoso social network. Giochino interessante e soprattutto recente – ho verificato il dato alla fine di gennaio – che certifica in modo molto pratico quello che tutte le altre analisi lasciano intendere: allo stato attuale nel nostro Paese le 32 ore settimanali con salario full time sono una sostanziale utopia, più che una visione per il futuro.
D’altro canto, se nel 2023 i Paesi con una sperimentazione concreta sono già diciotto, dalla Nuova Zelanda ai progetti pilota di Stati Uniti e Regno Unito, in Italia continuiamo da mesi a decantare il caso Banca Intesa, che nella realtà dei fatti propone – su base volontaria per le sue duecento filiali – una versione ridotta dell’idea iniziale, che prevede appunto 36 ore suddivise dal lunedì al giovedì con una presenza di nove ore lavorative giornaliere, a parità di retribuzione.
Oltre all’istituto bancario, la bandiera della settimana corta è sostenuta solo da uno sparuto gruppo di società di servizi, come Carter & Benson, che a mezzo stampa sottolineano in continuum la grande svolta, magari a discapito della produttività. Operazioni filantropiche, sembrerebbe. O di marketing dozzinale.
E non è un caso, appunto, che i temerari dei quattordici annunci pubblicati siano proprio una società che si occupa di risorse umane, Ali Lavoro, che fa capo con i suoi 250 dipendenti a Magister Group, colosso nel settore. Scelta peraltro azzeccata e pionieristica, perché indicare nero su bianco il benefit all’interno dell’offerta (32 ore in quattro giorni, pagate come 40) non è un aspetto irrilevante.
“L’unica vera settimana corta italiana”, oltre marketing e proclami: il caso Ali Lavoro
“La nostra è l’unica e vera settimana corta adottata finora in Italia, un progetto pilota fino al prossimo 31 dicembre, che tra l’altro parte ufficialmente oggi (1 febbraio, N.d.R.)”, racconta a SenzaFiltro Andrea Lombardi, CEO di Magister Group. “Altre sperimentazioni sono state discusse nei mesi scorsi, anche da grandi aziende come Lavazza, ma abbiamo visto che dietro il giorno in più concesso ai lavoratori vi è una dinamica di ferie o permessi assorbiti, oppure di idee comunque diverse. Siamo forse gli unici a specificare il benefit nell’annuncio perché nella sostanza siamo gli unici a proporlo, quanto meno come principio di cambio culturale e di legame con i collaboratori”.
Peccato per la produttività. “In realtà ci aspettiamo, dopo un lungo e approfondito studio di revisione, almeno di ottenere gli stessi risultati, con la speranza fondata di migliorarli. Non si tratta di scelta casuale o di facciata, ma di una scelta ben ponderata, un cambio radicale che è anche punto di non ritorno per noi, per l’immagine e per il rapporto di relazione con i collaboratori”.
Certo, LinkedIn non è l’unica piattaforma dov’è possibile pubblicare annunci e il campione preso in esame non si può definire esaustivo, però è realtà di fatto che la stragrande maggioranza degli iscritti a questo portale vive il mondo delle direzioni risorse umane, dei servizi e degli impiegati in generale. Tutte figure, cioè, che potrebbero gestire questa rivoluzione con maggiore facilità. Non dimentichiamo, poi, che il contenitore ha un’importante visibilità e che conta per il 60% utenti di età compresa tra i 25 e i 34 anni, e che oltre 49 milioni di persone, nel mondo, lo utilizzano ogni settimana per cercare lavoro. Ecco perché mi sarei aspettato di riscontare maggiore audacia da parte del settore terziario e in generale dal mondo dei colletti bianchi, al netto di quanto raccontato da Lombardi. Invece mi ritrovo con un unico caso, che per giunta inizia la sperimentazione proprio oggi.
Italia, lento il mercato, lenti i sindacati: ancora fatichiamo con il lavoro agile
Quanto al mondo produttivo, con la sua selva di contratti nazionali e le sue proverbiali complessità, lo vedo al momento del tutto fuori dalla partita. Dispiace per Maurizio Landini, segretario nazionale della CGIL, vista la grande rilevanza che dà all’argomento, ritenuto insieme a tutto il sindacato un obiettivo strategico da portare in congresso.
“Oggi il sistema e il mercato del lavoro ti permettono di scegliere gli strumenti. Non è detto che per le aziende produttive il migliore sia la settimana corta ma, senza dubbio, ci sono altre strade che si possono intraprendere sul percorso della flessibilità”, chiosa Lombardi.
Diciamolo con chiarezza: anche il sindacato, come tutto il mercato del lavoro italiano, è vittima di un processo culturale troppo lento. A riprova di questo ho provato a filtrare le 144.667 job description selezionando il numero di opportunità dedicate al lavoro da remoto. Ebbene, il risultato prodotto è di 7.505 risultati trovati. Digitando invece “smart working” come parola chiave è emerso un totale di 5.052 annunci. Rispettivamente, quindi, il 5,18% e il 3,49%.
Se in termini di valori assoluti sembravano risultati confortanti, le percentuali dimostrano che non sono serviti due anni di pandemia per implementare in modo consistente il lavoro agile sul territorio nazionale. O, quanto meno, le aziende sono ancora restie a inserirlo in via ufficiale e in chiaro tra i benefici per i candidati. E se, nella stesura dei nostri annunci di lavoro, ancora latitiamo sullo smart working, quando saremo davvero pronti a proporre un cambiamento epocale come la settimana corta?
Settimana breve, non corta. Le ore sono sempre 40: “Allo stato attuale, le 32 ore settimanali non sono sostenibili”
Rafforzato da dati e tesi, ho provato a ricalibrare il tiro ricercando come keyword alternative di flessibilità al ribasso, magari nelle realtà logistiche o produttive in genere. Mi attira l’unico risultato trovato digitando “settimana breve”, quasi un sinonimo. L’impresa è la padovana L’Isola dei tesori, catena specializzata nell’offerta di prodotti e servizi per animali da compagnia coordinata e controllata da DMO Pet Care.
Provo ad approfondire. L’annuncio è per uno specialista legale autorizzazioni. Nella parte conclusiva, alla voce “cosa offriamo”, si riporta: percorsi di inserimento altamente strutturati, flessibilità (presenza e smart working), settimana breve (il venerdì ci salutiamo alle 14.30). Che cosa significa? Lo chiedo al presidente Fabio Celeghin, che di professione – lo scopro leggendo il suo profilo – è anche consulente aziendale in ottica di cambiamenti organizzativi.
“La nostra idea è quella di allungare il fine settimana e garantire maggiore tempo da dedicare alle famiglie. Questa organizzazione, che abbiamo implementato ormai da un paio d’anni, mantiene le 40 ore settimanali, suddividendole però in modo diverso, più in linea con le esigenze dei lavoratori.”
Una formula diversa, lo immaginavo, che però non incide nel rapporto tra ore lavorate e retribuzione. “Inserire quest’aspetto nell’annuncio di lavoro offre risalto e un grande riscontro in termini di candidature di qualità e, rispetto al ciclo di vita dei lavoratori, devo sottolineare che anche grazie alla nostra struttura flessibile il turn over nelle posizioni di sede è praticamente azzerato”. Interessante, soprattutto perché fa rientrare l’organizzazione nello scarno 3.49% di imprese che mettono sul piatto della bilancia il lavoro agile. Anche se urge ribadire che non si tratta di settimana corta, ma di ridistribuzione oraria all’interno dei classici cinque giorni.
Magari, chiedo, i quattro giorni pagati cinque possono essere un’evoluzione logica di quest’idea iniziale. “La verità è che allo stato attuale questo passaggio non è sostenibile. Anzitutto in Italia paghiamo molto la scarsa produttività rispetto ad altri contesti internazionali, per cui credo sia necessario lavorare in primis su cultura e competenze. E poi il costo del lavoro oggi è insostenibile, anche a causa di un cuneo fiscale chiaramente troppo elevato”.
Per il momento, insomma, bisogna accontentarsi. “Mi creda, i nostri affezionati lavoratori ne sono felici e mai tornerebbero indietro”.
Va bene, niente voli pindarici e visioni illusorie, a quanto pare la politica dei piccoli passi al momento paga. Nel frattempo occorre monitorare con attenzione il caso di Ali Lavoro, studiare le prossime mosse nelle società di servizi e rimanere alla finestra per capire se industria e retail saranno davvero capaci di strutturare alternative serie. Attività che mi appunto di seguire ogni settimana: rigorosamente dal lunedì al giovedì.
Photo credits: hrnews.it
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Un approfondimento sulle sperimentazioni di Comunità Valenciana e Stato spagnolo con la settimana lavorativa corta, sul suo funzionamento e sui suoi obiettivi. Ne scrive in esclusiva per noi Joan Sanchis i Muñoz, professore di Economia associata dell’Università di Valencia.