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Surfando all’orlo del caos
Le scienze della complessità ci hanno regalato molte prospettive con cui guardare con occhi nuovi al mondo delle organizzazioni e del management. Una delle prospettive più interessanti è quella fondata sul concetto di orlo del caos. Cos’è l’orlo del caos? È la zona che divide l’ordine dal disordine: troppo ordine morte per fossilizzazione, troppo disordine […]
Le scienze della complessità ci hanno regalato molte prospettive con cui guardare con occhi nuovi al mondo delle organizzazioni e del management.
Una delle prospettive più interessanti è quella fondata sul concetto di orlo del caos. Cos’è l’orlo del caos? È la zona che divide l’ordine dal disordine: troppo ordine morte per fossilizzazione, troppo disordine morte per disintegrazione.
La vita è nella zona intermedia tra ordine e disordine. Non è un caso che la vita nel nostro pianeta sia nata nel brodo primordiale. La vita non può nascere allo stato solido: non c’è movimento (troppo ordine), le molecole non possono incontrarsi per dare vita a nuove combinazioni e generare materia organica da quella inorganica.
La vita non può nascere nemmeno allo stato gassoso: la rarefazione è elevata, la probabilità che le molecole si incontrino è troppo bassa, il moto delle particelle elementari è caotico (troppo disordine). La vita è nata allo stato liquido. La fluidità ha consentito per milioni di anni miliardi di combinazioni e ricombinazioni tra i diversi elementi. Prima degli scienziati lo hanno capito gli umanisti. Come diceva lo scrittore e poeta francese Paul Valery: “Due pericoli minacciano costantemente il mondo: ordine e disordine”.
Siamo abituati a pensare all’ordine e siamo abituati a pensare al dis-ordine. Ma non siamo abituati a pensare all’ordine e al disordine insieme. Siamo abituati ad associare all’ordine significati positivi e al disordine significati negativi. Siamo abituati a pensare al limite come a una zona rischiosa, possibilmente da evitare. Il limite è una zona rischiosa, ma inevitabilmente da ricercare. I sistemi naturali si trovano in una situazione di ordine dinamico, che non è né l’ordine immutabile e statico, né il disordine incontrollabile e potenzialmente pericoloso del caos.
L’ordine dinamico è fondamentale perché è proprio in questa condizione che si ha la creazione di novità, la creatività, la vita stessa. Secondo Bernice Cohen: “All’orlo del caos, i confini del cambiamento fluttuano continuamente tra uno stagnante status quo e l’anarchia della perpetua distruzione”. L’orlo del caos, la complessità in cui siamo immersi, è uno “stato liquido”: non è né l’immobile status quo del ghiaccio, né l’incontrollabile anarchia del vapore, ma l’acqua che porta la vita. A detta di Angelique Keene: “Lo spazio della complessità è quello stato che il sistema occupa e che si trova tra ordine e caos. È uno stato che abbraccia il paradosso; uno stato in cui l’ordine e il disordine convivono simultaneamente. È anche lo stato in cui il sistema può realizzare ed esplorare il massimo in quanto a creatività e possibilità diverse”.
La scoperta dell’orlo del caos implica dei cambiamenti nel nostro modo di pensare all’ordine e al disordine: dobbiamo renderci conto che ordine e disordine possono essere contemporaneamente presenti. Inoltre, dobbiamo lasciare da parte il pregiudizio secondo cui il disordine è solamente foriero di effetti negativi: dal disordine, spesso, nasce la creazione, ed esso ha la medesima importanza dell’ordine. La vita, la natura, tutto ciò che siamo e che saremo, tutto ciò che ci circonda è un miracolo che si basa su eterne contraddizioni e conflitti. È l’orlo del caos: un posto rischioso da visitare. Non è ordine e non è disordine. È tra ordine e disordine.
Una metafora che spiega efficacemente il concetto di orlo del caos è quello dell’onda. Perché i surfisti si mettono sulla cresta dell’onda? Perché a monte dell’onda c’è grande stasi; a valle dell’onda c’è grande caos; sulla cresta dell’onda c’è il punto di massima energia. E lì infatti che si mettono i surfisti. Ecco cosa bisogna fare: stare sulla cresta dell’onda, non farsi travolgere a valle (nel caos dei flutti) e nemmeno rimanere a monte (nella zona di stasi e d’ordine).
Sei vuoi essere un bravo surfista, se vuoi vivere l’emozione di cavalcare le onde, prima devi prendere l’onda, ovvero devi nuotare controcorrente: è dura. E dopo che sei salito sulla cresta dell’onda, quando sei sul punto più alto, devi guardare dove stanno arrivando altre onde. Non puoi perdere tempo perché sai che ogni onda anche la più grande prima o poi finirà. Nessuna onda è per sempre. Come nelle professioni. Come nei mercati. Come nella vita. Pánta rêi. Tutto scorre. Anche quando sei al massimo devi guardarti intorno.
Per cavalcare l’onda del cambiamento, devi imparare a surfare. Serve una buona tavola, un certo allenamento e, una volta imparato, puoi affrontare onde sempre più impegnative provando, insieme al brivido della sfida, quella straordinaria sensazione che dà superare i propri limiti. Per cavalcare l’onda del cambiamento, devi accettare la sfida di rimanere sul punto di massima energia, all’orlo del caos, tra ordine e disordine, nella zona della distruzione creatrice, nella regione dell’innovazione, nell’area della complessità della vita.
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