La vicenda dell’Ilva di Taranto va oltre i il suo perimetro aziendale e i confini nazionali. Ha rappresentato, e ancora oggi rappresenta, nonostante l’accordo sindacale siglato lo scorso 6 settembre, lo specchio di un Paese in guerra con se stesso. Un Paese che, pur dovendo gran parte del proprio benessere all’industria (siamo ancora la seconda […]
Unicredit, ex Ilva, Alitalia: l’autunno caldo degli esuberi
“Crisi finanziarie, crisi industriali, crisi aziendali ma alla fine, come vedi, nulla è cambiato rispetto al passato, a lasciarci le penne sono sempre i lavoratori e le loro famiglie. I manager che hanno sbagliato se ne vanno a casa con liquidazioni miliardarie, i politici passano e gli unici che restano con il cerino in mano […]
“Crisi finanziarie, crisi industriali, crisi aziendali ma alla fine, come vedi, nulla è cambiato rispetto al passato, a lasciarci le penne sono sempre i lavoratori e le loro famiglie. I manager che hanno sbagliato se ne vanno a casa con liquidazioni miliardarie, i politici passano e gli unici che restano con il cerino in mano sono i lavoratori. Se si va avanti così altro che autunno caldo, per quelli che sono ancora in fabbrica ci sarà un inverno gelido”.
Franco “il duro”, come lo chiamavano i suoi compagni di lavoro alla Pirelli, guarda sconsolato quello che sta accadendo nel mercato del lavoro in Italia. Lui è ormai pensionato ma la sua preoccupazione è per i figli e i nipoti. “Qui non si tratta più di qualche crisi aziendale, ma di un intero sistema industriale che sta collassando. Se il potere pubblico non interviene rapidamente per le generazioni future saranno guai, anche perché non mi pare che ci siano settori industriali in crescita in grado di frenare questa disoccupazione di massa”.
In effetti se si guarda a quello che sta accadendo in questi mesi in alcune aziende italiane non c’è di che rallegrarsi. Ora nell’esercito di disoccupati potrebbero entrare anche coloro, e sono in tanti, che arrivano da uno dei templi della finanza italiana: Unicredit.
La dichiarazione di guerra di Unicredit: 8.000 esuberi in quattro anni
Pochi giorni fa Jean Pierre Mustier, amministratore delegato di Unicredit, come se nulla fosse ha sganciato un’altra bomba devastante sul già malandato mercato del lavoro italiano: 8.000 esuberi annunciati da Unicredit nell’arco del piano 2020-2023 in Europa occidentale, di cui circa 5.500-6.000 dipendenti in Italia.
La Borsa di Milano, carica del suo consueto cinismo, ha applaudito a questo piano di guerra, convinta che Unicredit “liberandosi” di 8.000 lavoratori opererà con meno zavorra e quindi sarà più appetibile finanziariamente, ma le organizzazioni sindacali e i lavoratori interessati non sono dello stesso avviso e annunciano battaglia: “Diciamo no e basta”, ha dichiarato il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. “Il lavoro non può essere considerato una merce che si prende quando serve e si butta quando fa comodo. Unicredit annuncia 8.000 esuberi e chiude i primi nove mesi con un utile di 4,3 miliardi. Questo non è fare impresa, è essere irresponsabili. Prima di aprire un gravissimo conflitto Unicredit riveda tutto”.
Ecco la dichiarazione di guerra firmata da Jean Pierre Mustier al mondo del lavoro: “Nell’ambito del nuovo piano, nel 2023 i costi totali ammonteranno a €10,2 mld. La continua ottimizzazione dei processi, supportata dai maggiori investimenti in It, consentirà alla banca di conseguire risparmi lordi in Europa occidentale per €1 mld, pari al 12% della base di costo 2018. Questi risparmi saranno in parte ottenuti attraverso la riduzione ulteriore di circa 8.000 Fte (Full Time Equivalent, lavoratori a tempo pieno, N.d.R.) nell’arco del piano, mentre l’ottimizzazione della rete di filiali vedrà ulteriori chiusure di circa 500 unità a livello di gruppo tra il 2019 e il 2023”.
Un vero macigno che tra l’altro, dicono in Unicredit, non è giustificato dai dati di bilancio o da crisi del settore bancario, ma casomai da errori gravi nella gestione e nelle scelte dei vertici di Unicredit.
Non solo Unicredit: i casi recenti di Ilva e Alitalia
Il guaio è che l’annuncio bellico di Unicredit non è isolato. Segnali negativi arrivano da altri istituti di credito. E se il malessere si estendesse come sembra all’intero sistema creditizio, la situazione si aggraverebbe ulteriormente visto il ruolo che le banche svolgono nell’economia italiana.
A quest’ultima crisi occupazionale di Unicredit si aggiunge una lunga lista di aziende di cui ci siamo occupati nei numeri precedenti di Controluce. La più grave resta l’Ilva. A poche ore dall’annuncio di Unicredit, l’amministratore delegato dell’Ilva Lucia Morselli si è presentata al tavolo delle trattative governo-sindacati con un’altra bomba a orologeria. La manager, dalla quale ci si attendeva un atteggiamento più consono alla drammatica situazione che si è creata a Taranto, ha annunciato, come se fossero noccioline: “Vogliamo 4700 esuberi da qui al 2023, 2900 subito”.
Insomma, anche in questo caso un onere pesantissimo per i lavoratori e per tutta la Puglia. I sindacati hanno risposto con un secco “irricevibile”, ma sono in molti a temere che a questo punto si potrebbe arrivare alla chiusura dell’Ilva con un costo sociale imprevedibile.
Ai casi Unicredit e Ilva si aggiunge il rischio di altre migliaia di esuberi in Alitalia, che proprio la scorsa settimana ha registrato l’ennesimo fallimento del progetto di cessione, facendo così balenare l’ipotesi della bancarotta con migliaia di nuovi disoccupati.
L’Italia delle 160 crisi aziendali. E la politica annaspa
Ma la spada di Damocle con cifre impressionanti non pende soltanto sui casi più eclatanti. Le crisi aziendali, in questo autunno caldo che si trasformerà probabilmente in un gelido inverno, travolgono rami e settori più disparati, e non solo banche, grandi industrie e multinazionali.
Ci sono tagli che vanno dai supermercati al comparto degli elettrodomestici alla moda, per far fronte ai quali è necessario mettere in campo e rafforzare – dicono i sindacati – gli ammortizzatori sociali. Insieme a una politica industriale.
“Il tema del lavoro e della crescita è in caduta libera nel nostro Paese. Abbiamo 160 crisi aziendali aperte, ma non ne abbiamo una che sia stata risolta da due anni a questa parte», ammonisce la segretaria generale della Cisl, Annamaria Furlan. “È la cartina di tornasole di un Paese fermo, bloccato, della mancanza di una strategia di politica industriale. Tutte le volte che ci sono ristrutturazioni si annunciano esuberi in tutti i settori. Ma la politica intanto parla e discute d’altro”, attacca la leader della Cisl.
Le vertenze spesso non presentano differenze, se non nei numeri. Il piano industriale illustrato poco più di un mese fa da Conad per il salvataggio di Auchan prevede oltre 3.000 esuberi a cui vengono offerte «soluzioni occupazionali diverse», come i ricollocamenti presso la rete Conad o reti di terzi. Tra le ultime vertenze aperte quella dello stabilimento Whirlpool di Napoli, dove attualmente si producono lavatrici, e il futuro per i suoi oltre 400 dipendenti. La cosa che più impressiona, dicono in molti, è che la politica sia impotente, non in grado di reagire a una situazione che rischia di diventare incontrollabile.
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