Il cinema che racconta le molestie parla anche di se stesso

C’è un prima e un dopo nelle opere cinematografiche che parlano di avances e abusi sessuali, un giro di boa segnato dallo scandalo Weinstein e dal #MeToo. Come si è evoluto il modo di parlare di molestie sul grande schermo, e come cambia la narrazione dall’America all’Italia?

01.12.2024
Molestie sul lavoro raccontate nel cinema: una scena tratta da "Loudest Voice", con un uomo che palpeggia una donna

Dagli sguardi offensivi alle proposte indecenti, sono 2,3 milioni le persone (dai 15 ai 70 anni) vittime di molestie a sfondo sessuale sul lavoro in Italia, nel corso della loro vita. L’81,3% è donna, come emerge dall’indagine sulla sicurezza dei cittadini svolta nel biennio 2022-2023 dall’ISTAT.

Nel pieno della riflessione innescata dalla Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il focus è caduto su come viene trattato questo spinoso e spesso invisibile argomento al cinema: in Italia ancora molto poco, mentre in America c’è un prima e un dopo l’esplosione del #MeToo e dello scandalo Weinstein.

Come il grande schermo raffigura le molestie, dagli USA all’Italia

North Country – Storia di Josey (2005), a pagamento sulle principali piattaforme, racconta la storia di Josey Aimes (Charlize Theron), madre di due figli che fugge da un matrimonio violento per tornare a casa dai genitori nel Nord del Minnesota. Assunta nella miniera dove lavora anche il padre (contrario all’inserimento delle donne perché “levano” il posto agli uomini), subisce però abusi e minacce di stupro dai suoi colleghi. Josey però non accetta in silenzio come le sue colleghe, e denuncia la società mineraria Eveleth Mines per molestie sessuali sul lavoro. Ispirato all’iter processuale avviato da Lois Jenson, che ha fatto la storia negli Stati Uniti, il film di Niki Caro è un solido dramma di impegno civile, elevato da un cast eccezionale formato, oltre che da Charlize Theron, anche da Frances McDormand, Woody Harrelson, Sissy Spacek, Sean Bean, Richard Jenkins e Jeremy Renner.

L’Italia risponde con un altro legal drama: Nome di Donna (2018), firmato da Marco Tullio Giordana, uscito nelle sale al tempo dell’esplosione dello scandalo Weinstein e del movimento #MeToo. Il film, che potete vedere su RaiPlay, delinea la battaglia legale di Nina Martini (Cristiana Capotondi), restauratrice che per mantenere la figlia fa l’inserviente in una residenza per anziani facoltosi in Brianza. La serenità per l’assunzione termina ben presto a causa delle avance sessuali del direttore della struttura Torri (Valerio Binasco), che Nina rifiuta scoprendo poi la natura seriale delle molestie perpetrate dall’uomo, coperto dal responsabile del personale, il prete interpretato da Bebo Storti. Tra la denuncia della protagonista all’esito finale, scorrono topoi già visti nel film americano: il silenzio se non l’ostilità delle colleghe, l’impotenza dei sindacati, la colpevolizzazione della vittima in tribunale. Nome di donna assolve bene a un fine nobile, quello di sensibilizzare sul tema delle molestie sui luoghi di lavoro, ma cinematograficamente risulta fin troppo piatto e didascalico.

Difficile sdoganarsi da questi schemi narrativi e cliché nella rappresentazione. Ma cosa accadrebbe se fosse una donna potente e di talento a riproporre i comportamenti degli uomini predatori contro altre donne? Tár di Todd Field, attualmente nel catalogo Netflix, propone un personaggio indimenticabile: quello della compositrice e direttrice d’orchestra lesbica interpretata da una sublime Cate Blanchett (Coppa Volpi alla Mostra di Venezia nel 2022). Il film non parla nello specifico di molestie o violenza di genere; è piuttosto un finto biopic con diversi sottotesti, che ritrae la caduta di un personaggio tanto geniale quanto ambiguo. Non è un film semplice, Tár, anche per i suoi tempi dilatati e la sua marca autoriale, ma è piuttosto stimolante e provocatorio per come tratta il potere, la creatività e la cancel culture.

Roger Ailes e Harvey Weinstein, le molestie fatte cinema

Tornando al movimento #MeToo, una delle storie manifesto è quella che vede coinvolto Roger Ailes, consulente mediatico per Nixon, Reagan e Bush senior, e soprattutto creatore, insieme a Rupert Murdoch, di Fox News. Nel 2016, Ailes – poi scomparso nel 2017 – è costretto a dimettersi dalla carica di chief executive del canale a seguito della denuncia della giornalista Gretchen Carlson, licenziata dopo aver respinto le sue avance sessuali. La seguono altre colleghe, tra cui la celebre anchorwoman della rete Megyn Kelly, che aveva messo in difficoltà Donald Trump in uno dei primi dibattiti televisivi quando il tycoon era tra i candidati alla nomination repubblicana.
La vicenda è ricostruita in due titoli.

Il primo è Bombshell – La voce dello scandalo (2019, Now Tv e altre piattaforme a pagamento, ma presente anche su RaiPlay) di Jay Roach, che assume il punto di vista delle tre donne protagoniste: Gretchen Carlson, interpretata da Nicole Kidman, Megyn Kelly (Charlize Theron), e un personaggio di finzione, l’aspirante giornalista incarnata da Margot Robbie.

Il secondo è la miniserie in 7 episodi prodotta da Showtime, The Loudest Voice – Sesso e potere (2019, trasmessa da Sky e da La7) di Tom McCarthy, che si concentra sull’ascesa e caduta dell’influente Ailes, non avendo paura di essere sgradevole nel raffigurare la sua voracità nel molestare le dipendenti in un impietoso gioco di potere tra sottomissioni, promesse di carriera e minacce. The Loudest Voice, con Russell Crowe, Naomi Watts e Sienna Miller, offre anche un significativo spaccato sul legame tra media e politica negli USA, rendendo evidente l’influenza che Fox News ebbe su un’ampia fetta dell’opinione pubblica a stelle e strisce.

Di abusi sessuali in ambito televisivo, in particolare nei prestigiosi show mattutini americani, si occupa in maniera approfondita anche la serie The Morning Show di Apple Tv+, che rievoca la reale vicenda di Matt Lauer, star del famoso Today Show della NBC, licenziato nel 2017 per “cattiva condotta sul posto di lavoro” e finora mai ritornato sotto i riflettori.

Chiudiamo la carrellata con il titolo più recente: Anche io – titolo originale She said – di Maria Schrader, disponibile su Netflix. Il film ricostruisce uno dei momenti di svolta del movimento #MeToo: l’inchiesta delle due giornaliste del New York Times Megan Twohey (Carey Mulligan) e Jodi Kantor (Zoe Kazan) pubblicata il 5 ottobre 2017, che, insieme a quella pressoché contemporanea di Ronan Farrow sul New Yorker, ha scoperchiato lo scandalo Weinstein (e vinto il Premio Pulitzer). Il film riprende il lavoro di indagine delle due giornaliste (e giovani madri) alla ricerca di testimonianze e dati che provino le molestie, ricostruendo così il sistema con cui il fondatore della Miramax metteva a tacere le vittime dei suoi abusi, che fossero attrici o assistenti. Mai viene mostrato il “carnefice”: è il potere della parola a veicolare l’impatto degli abusi sulle esistenze delle vittime e a fare giustizia. Anche io, che appartiene al nobile filone di Tutti gli uomini del presidente e Spotlight, è un omaggio alla difficoltà di produrre giornalismo d’inchiesta con tutti i crismi, e allo sforzo richiesto per abbattere muri di omertà che paiono invalicabili.

 

 

 

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In copertina, un fotogramma dal film “The Loudest Voice”.

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