Quanto pesa il lavoro di una vita: le novità dal Biografilm Festival

Un bilancio della ventunesima edizione del Biografilm Festival di Bologna con alcuni dei migliori film e documentari premiati: il cinema si schiera contro gli estremismi con la poetica del reale e della finzione, osservando il mondo attraverso la lente del lavoro

02.07.2025
Uno spezzone da "Life After" di Reid Davenport, premiato al Biografilm Festival 2025.

Nella Bologna delle rassegne cinematografiche si è chiusa la ventunesima edizione di Biografilm Festival, l’appuntamento vocato alle storie di vita che propone titoli nazionali e internazionali di cinema documentario, biografico e di finzione, includendo il meglio dei principali festival del mondo. Poco più che maggiorenne, Biografilm mobilita una radicata comunità cinefila – oltre 14.000 le presenze del pubblico nelle diverse sale, con 1.700 accreditati – e l’attenzione di stampa e addetti ai lavori, come dimostra Bio to B – Industry Days, le giornate del mercato dell’audiovisivo dedicate ai player cinetelevisivi e al rapporto tra editoria e industria, con 500 partecipanti.

La manifestazione non insegue l’attualità a tutti i costi, ma intercetta gli umori del mondo attraverso le storie vere o di finzione che propone; fotografa nervi scoperti con un occhio di riguardo per le espressioni della creatività umana. Impegnata e inclusiva, la manifestazione dialoga con il territorio – hanno collaborato più di 50 realtà tra associazioni, fondazioni e collettivi – e con i giovani, attraverso progetti educativi e di inclusione sociale.

Altra carta vincente del festival è la presenza di interpreti, produttori e filmmaker dei titoli in programma. Ospiti d’eccezione dell’edizione 2025 sono stati Tom Quinn, CEO di Neon, che ha portato a Bologna quattro film molto attesi e i loro registi: Joshua Oppenheimer, Raoul Peck, Michael Shanks e Julia Ducournau, il cui Alpha era già in concorso a Cannes. Il Celebration of Lives Award è stato assegnato quest’anno a Maurizio Nichetti, protagonista del documentario Nichetti Quantestorie di Stefano Oddi, e al cineasta rumeno Radu Jude, che ha accompagnato in anteprima italiana Kontinental ’25, Orso d’argento per la migliore sceneggiatura all’ultimo Festival di Berlino.

“Kontinental ’25”: Radu Jude filma il declino dell’Europa

Chiaro omaggio – sin dal titolo – a Europa ‘51 di Roberto Rossellini, il film, ambientato a Cluj in Transilvania, si concentra sulla crisi di coscienza che scuote l’ufficiale giudiziario di origine ungherese Orsolya (Eszter Tompa), quando il mendicante che ha sgomberato dal seminterrato in cui viveva si toglie la vita impiccandosi a un termosifone. L’edificio dove si rifugiava l’uomo, ex sportivo caduto in disgrazia, è stato infatti acquistato da una società immobiliare che ne farà un boutique hotel di lusso per turisti facoltosi, il Kontinental del titolo.

Orsolya, turbata dai sensi di colpa tanto da rinunciare alla vacanza in Grecia con la famiglia, cerca invano scampoli di comprensione – e redenzione – in lunghi dialoghi con la madre, l’amica, l’ex studente di Giurisprudenza riciclatosi come rider, e il prete della parrocchia.

Con il suo film girato con un iPhone, a sancire la subordinazione dell’estetica alla potenza della scrittura, Radu Jude punta il dito contro l’ipocrisia della società capitalistica, le sue disuguaglianze e le sue derive, dai rigurgiti nazionalisti che hanno ormai preso il sopravvento alla precarizzazione del lavoro, dalla gentrificazione alle speculazioni edilizie. Una satira sociale e morale, che oscilla tra dramma e commedia e che, senza mezzi termini, condanna la società rumena – come quella europea in generale – invitando all’azione, a un campo di paradigma.

Un fotogramma dal film "Kontinental '25", di Radu Jude.
Un fotogramma dal film "Kontinental '25", di Radu Jude.

La dittatura russa e la guerra, riprese dall’interno

Il Concorso Internazionale del Biografilm Festival ha visto trionfare Girls & Gods, di Arash T. Riahi e Verena Soltiz, ma l’Audience Award – il premio del pubblico – è andato a Mr. Nobody Against Putin di David Borenstein, e codiretto da Pavel Ilyich Talankin, che è anche il protagonista del documentario premiato all’ultimo Sundance.

Mr. Nobody Against Putin è il frutto del coraggio e dell’esperienza di “PashaTalankin, videografo e responsabile dell’organizzazione degli eventi di una scuola di Karabash, negli Urali, conosciuta come la città più inquinata al mondo. Pasha è molto amato dai colleghi e soprattutto dagli studenti, che frequentano liberamente il suo ufficio. Quando però la Russia invade l’Ucraina, la sua vita e il suo lavoro sono destinati a cambiare per sempre. Prima vi sono le marce con la bandiera russa da filmare, poi le lezioni patriottiche infarcite di bugie e revisionismi storici di insegnanti più o meno convinti, che poi devono essere caricate sul server governativo.

Non è che l’inizio. La telecamera di Talankin riprende la progressiva trasformazione della scuola in arma di propaganda e centro di reclutamento e addestramento militare. Il tono è via via più tragico nel ricostruire le dinamiche di controllo e indottrinamento ideologico attuate dal Cremlino, che funzionano purtroppo in maniera efficace sulla popolazione e sui giovani, che si arruolano subito dopo il diploma. Pasha, prima così benvoluto, è ora guardato con sospetto e, con i suoi pur soffocati atti di ribellione, rischia ogni giorno di essere arrestato. Da qui la decisione di partire, presa con dolore dal giovane, che ama la sua terra, il suo lavoro e i suoi studenti.

Il materiale – girato in due anni – che il videomaker è riuscito a portare fuori dalla Russia rende Mr. Nobody Against Putin un doloroso diario in presa diretta dell’influenza della propaganda e del pericolo del dissenso.

Un fermo immagine da "Mr. Nobody Against Putin", di David Borenstein.
Un fermo immagine da "Mr. Nobody Against Putin", di David Borenstein.

L’attualità profonda del Biografilm, da Bologna all’Africa, passando per la Sicilia

Tra i titoli più apprezzati della sezione c’è molta Bologna. Trionfatore assoluto è stato Il Pilastro di Roberto Beani, capace di restituire tutte le sfaccettature della storia e degli abitanti del complesso di edilizia residenziale pubblica che si trova nella periferia bolognese. Il Pilastro è, infatti, molto di più degli episodi di criminalità con cui viene etichettato, compresa la strage dei tre carabinieri da parte della Banda della Uno Bianca.

 

Un fotogramma da "Il Pilastro", di Roberto Beani.
Un fotogramma da "Il Pilastro", di Roberto Beani.

 

A portarsi a casa il Premio Hera Nuovi Talenti per la migliore opera prima è stato Radio Solaire – Radio Diffusion Rurale, il documentario di Federico Bacci e Francesco Eppesteingher che accende i riflettori sull’impresa rivoluzionaria di Giorgio Lolli, scomparso nel 2023. L’ex operaio e sindacalista bolognese, tecnico autodidatta e documentarista sul campo, ha portato l’FM in Africa, avviando in 40 anni di attività oltre 500 emittenti. La creazione delle “rural radio” ha contribuito in modo significativo all’alfabetizzazione e alla democratizzazione dei popoli del continente. Il film, a cui è stato assegnato anche il premio di distribuzione TOP DOC – Il bello del documentario, otterrà una distribuzione digitale della durata di 12 mesi su TOP DOC Prime Video Channel.

Da segnalare, infine, Claudia fa brutti sogni di Eleonora Sardo e Marco Zenoni, che vincendo il Premio DocPoint Helsinki avranno l’opportunità di mostrare il loro lavoro all’edizione 2026 di DocPoint Helsinki Documentary Film Festival. Nel film il coregista Marco Zenoni riprende Eleonora e la sorella Claudia nel tentativo di compiere un cammino sia fisico, lungo la via francigena in Sicilia, sia spirituale, di rigenerazione e riconciliazione. Claudia è dipendente dal crack da molti anni, la famiglia è ormai innervata da tensioni e conflitti perenni. Il racconto autobiografico messo in scena da Eleonora Sardo è intenso, nella sua semplicità, e autentico nel ricordare allo spettatore l’impatto delle dipendenze sulla vita di chi ne soffre e dei suoi cari.

“Life After”: quanto vale la vita di un disabile?

Come Mr. Nobody Against Putin e Claudia fa brutti sogni, anche Life After parte dall’esperienza e dal punto di vista del suo regista, Reid Davenport, per indagare un tema in grado di sollevare interrogativi di ordine morale, ma anche politico ed economico: quanto è davvero libera la scelta delle persone disabili di ricorrere al suicidio assistito?

La tesi di Davenport, anche lui disabile, è che questa scelta sia più spesso il risultato di forze esterne, dell’incapacità dei governi e delle istituzioni di fornire cure e assistenza adeguate per il supporto domestico. Usando come cornice narrativa la storia di Elizabeth Bouvia, che nel 1983 ha combattuto in un tribunale della California per il suo diritto alla morte, e i dati del programma MAID (Medical Assistance in Dying) in Canada, il filmmaker sottolinea il pericolo rappresentato dalla legalizzazione del suicidio assistito per la comunità dei disabili, di cui rivendica con forza il diritto all’autonomia e al controllo della propria vita.

 

 

 

L’articolo che hai appena letto è finito, ma l’attività della redazione SenzaFiltro continua. Abbiamo scelto che i nostri contenuti siano sempre disponibili e gratuiti, perché mai come adesso c’è bisogno che la cultura del lavoro abbia un canale di informazione aperto, accessibile, libero.

Non cerchiamo abbonati da trattare meglio di altri, né lettori che la pensino come noi. Cerchiamo persone col nostro stesso bisogno di capire che Italia siamo quando parliamo di lavoro. 

Sottoscrivi SenzaFiltro

 

In copertina: un’immagine da “Life After”, di Reid Davenport.

CONDIVIDI

Leggi anche