Andare a scuola non basta più alla formazione

Leggere, scrivere e far di conto: magari. Sembra che gli italiani siano in fondo alle graduatorie internazionali di rilevazione delle competenze linguistiche e matematiche. Se la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto (Skinner), occorre interrogarsi su quali siano oggi le reali necessità formative perché i nostri giovani abbiano successo […]

Leggere, scrivere e far di conto: magari. Sembra che gli italiani siano in fondo alle graduatorie internazionali di rilevazione delle competenze linguistiche e matematiche. Se la cultura è ciò che resta nella memoria quando si è dimenticato tutto (Skinner), occorre interrogarsi su quali siano oggi le reali necessità formative perché i nostri giovani abbiano successo nel lavoro e nella vita.

I bisogni formativi per vivere e lavorare nel XXI secolo

La moderna società, globalizzata e tecnologica, offre grandissime opportunità di comunicazione e condivisione, informazione in tempo reale, possibilità di scambio, opportunità di crescita, velocità di azione. La sua complessità tuttavia pone non poche criticità e punti di attenzione.

In questa società moderna non si possono più fare pianificazioni e progetti a lungo termine e, dal punto di vista lavorativo, non esiste ormai più la certezza di un impiego che duri uguale a se stesso nel tempo. Oggi il concetto di comunità è messo in crisi dall’individualismo eccessivo ed anche il rispetto delle regole di convivenza civile e dello stesso Stato sembra cedere il passo all’opportunismo e alla convenienza di parte (uno spunto utile arriva da Bauman: “La società dell’incertezza”, 1999 e “Vite di corsa”, 2008). A causa della fortissima influenza delle tecnologie, la vita reale delle persone fisiche è affiancata sempre più incisivamente da una vita virtuale, sia nel lavoro che a livello di relazioni personali (vedi: Danni collaterali, Bauman, 2011).

Molti giovani di fronte alle disorientanti caratteristiche dell’attuale mondo moderno tendono a ritrarsi, ad isolarsi e chiudersi in spazi propri, quasi a proteggersi da qualcosa di vorticoso dal quale si sentono minacciati. Si rifugiano spesso nella rete, nelle relazioni virtuali, senza essere stati preparati o informati delle regole e delle minacce ivi presenti. Per questo tanti educatori, genitori ed insegnanti, si interrogano su come rendere un mondo così complesso un’opportunità invece che un pericolo. È necessaria una formazione che sviluppi la capacità di reagire alle sollecitazioni esterne in modo maturo e responsabile, che sviluppi un comportamento sociale “resiliente”, tale che chi lo possiede non si trovi in balìa di forze che non è in grado di comprendere e controllare, ma sappia reagire in maniera appropriata e consapevole.

Howard Gardner, nel suo libro “Cinque chiavi per il futuro” (2007), indica le cinque “intelligenze” necessarie per affrontare i cambiamenti richiesti dalla società del XXI secolo: la prima, di base, è disciplinare, l’insieme di ciò che si è studiato e si conosce; la seconda è sintetica, per integrare ciò che si conosce nelle varie aree interdisciplinari; la terza è creativa, per non rimanere bloccati di fronte a problematiche sconosciute e saper affrontare e risolvere problemi complessi mediante il pensiero laterale e l’inventiva ; la quarta è rispettosa, per non vedere la diversità come un pericolo, ma come una ricchezza, qualcosa o qualcuno che porta valori, un’opportunità; l’ultima è etica, per sapersi prendere le proprie responsabilità e sentirsi co-artefici di ciò che accade.

Oggi è necessario integrare nel processo scolastico di insegnamento–apprendimento i tempi e le regole propri dei protocolli dell’interazione sociale e sviluppare le qualità legate alla resilienza di una persona: consapevolezza, iniziativa, indipendenza, creatività, allegria, interazione, etica. Si tratta di qualità che richiamano le caratteristiche delle chiavi del successo, ma non trovano spazio di sviluppo nella scuola trasmissiva del “programma” da svolgere. La moderna società liquida e tecnologica richiede lo sviluppo di capacità e competenze che non possono essere insegnate ex cathedra.

Per sostenere le rapide dinamiche dei processi di innovazione che hanno luogo nell’eco-sistema delle moderne organizzazioni globalizzate e complesse è necessaria una forte sinergia tra mondo della formazione formale (Scuola ed Università) ed il mondo del lavoro e la società. La formazione dei giovani alla resilienza e lo sviluppo in loro delle capacità di affrontare e risolvere problemi complessi sono centrali per il successo del loro inserimento in questa società sempre più imprevedibile, tecnologica e mutevole nei meccanismi che la governano.

 

La didattica per competenze

Se è vero che il 65% dei ragazzi che oggi iniziano la scuola si troveranno a fare un lavoro che oggi non è stato ancora inventato (Dipartimento del Lavoro US), sono necessarie nuove strategie per lo sviluppo di conoscenza, innovazione, competitività, occupazione. A Lisbona queste strategie sono state da tempo discusse e focalizzate, tanto da diventate le linee guida della nuova fase di programmazione dei Fondi Strutturali, del 7° Programma Quadro della Ricerca, del nuovo Programma Quadro Competitività e Innovazione dell’Unione Europea, necessario per rimanere competitivi sui mercati internazionali.

Nella normativa della scuola è già previsto dal 2006 lo sviluppo delle Otto Competenze di Cittadinanza dettate dalle strategie di Lisbona, ma esse aspettano ancora di dimostrare pienamente il loro dinamismo formativo nel vissuto quotidiano delle aule. Per poterlo fare è necessario adottare modalità didattiche profondamente innovative e non solo quel maquillage esteriore, che maschera con modernità tecnologiche le vecchie abitudini di didattica trasmissiva e frontale.

Le competenze sono definite come la capacità di applicare in contesti nuovi quanto appreso in termini di conoscenze ed abilità e sono declinate in termini di autonomia e responsabilità secondo gli otto livelli europei EQF di equiparazione formativa. La Scuola e l’Università hanno qui un ruolo critico, ma sembrano stentare a contribuire attivamente all’innovazione necessaria ad una progressiva e solida crescita in sintonia con i nuovi paradigmi che la globalizzazione impone.

È precipuo della ricerca didattica la focalizzazione dei bisogni formativi e l’indicazione dei nuovi modelli di interazione allievo-docente-realtà sociale e tecnologica più efficaci e significativi per l’apprendimento. La ricerca internazionale evidenzia la validità della didattica basata sul coinvolgimento attivo dei partecipanti e sottolinea la necessità che venga curata la pianificazione a lungo termine di un armonico sviluppo di tutte le competenze mediante accurate progettazioni dei percorsi didattici. La presenza della Rete permette la creazione di ambienti di apprendimento allargati, che escano dagli schemi rigidi legati all’orario scolastico ed all’aula, ambienti nei quali l’apprendimento si estenda anywhere and anytime e gli studenti siano protagonisti delle attività che fanno sia dentro che fuori della scuola.

La capacità di formarsi ed informarsi correttamente per entrare e restare nel mondo del lavoro nasce sui banchi di scuola, nasce dalla capacità di “imparare ad imparare”, la competenza da sviluppare forse più di ogni altra per formare professionalità capaci di auto aggiornarsi e continuamente ricercare durante tutta la vita (lifelonglearning).

 

L’esperienza scolastica in Italia

È un dato di fatto che gli italiani siano in fondo alle graduatorie delle inchieste europee ed internazionali per la verifica delle competenze linguistiche, matematiche e scientifiche. Si tratti delle famose indagini internazionali OCSE-PISA per la rilevazione delle literacy dei quindicenni, che di altri progetti internazionali come All (Adult Literacy and Life Skills) o degli annuali sondaggi nazionali INVALSI, la popolazione italiana risulta mediamente piuttosto carente. Si evidenziano in particolare la modesta competenza alfabetica ed il limitato possesso della lingua. Inoltre la maggioranza delle persone fa molta fatica nei calcoli matematici e nel leggere tabelle e grafici o anche semplicemente una mappa stradale.

Tutto ciò ha diverse cause, prima fra tutte la resistenza all’innovazione degli insegnanti e dirigenti, ma anche di genitori e di studenti. Nessuno ama infatti lasciare il certo per l’incerto e si tende a lasciar le cose così come sono sempre state. Le frasi che si sentono dire frequentemente sono: “io ho studiato in un certo modo e mio figlio deve studiare nello stesso modo”; “caro collega, ma chi te lo fare? non ne vale neanche la pena, visti gli scarsi riconoscimenti che abbiamo come categoria”; “Non ho tempo di aggiornarmi”. Spesso anche i ragazzi oppongono resistenza all’essere attivamente coinvolti, preferendo un più anonimo ascolto passivo e ricorrendo al nascondimento sotto le gonne materne in caso di insuccesso scolastico: “sono giovani, hanno il diritto di divertirsi al pomeriggio”.

Altre cause vanno ricercate nella miopia rispetto ai reali obiettivi della formazione: progettazione didattica e valutazione del processo di insegnamento-apprendimento cedono il passo alla cultura del voto. Alcune frasi che si sentono dire sono emblematiche: “prof, me lo dà il 6?”; “non avrà intenzione di dare l’insufficienza a mio figlio?”; “farò ricorso!”; “lei non sa chi sono io!”; “caro collega, non complichiamoci la vita”; “egregi professori, evitiamo ricorsi”; “occorre quadrare il cerchio: con troppi respinti si perde una classe” … triste, ma a volte vero. C’è un disagio diffuso nella scuola e la mancanza di senso di responsabilità dei diversi componenti la realtà scolastica danneggia la società di domani e la formazione integrale delle persone.

Ultima, ma non meno importante causa, si può ricercare nelle disorientanti politiche scolastiche perseguite negli anni dai legislatori: quantomeno prive di organicità e visione strategica nell’ottica della formazione dei futuri cittadini italiani. La discontinuità didattica è diventata quasi cronica a causa del precariato e della mobilità. La dispersione delle buone pratiche spesso fa rimanere un fatto isolato l’innovazione didattica, che viene vanificata ed abbandonata per mancanza di “interpreti” a causa di trasferimenti e cambi di cattedre od anche per aperta ostilità ed avversione da parte di altre componenti (spesso genitori). La considerazione sociale e la motivazione dei docenti è ai minimi storici. La valorizzazione del merito sembra un’utopia. L’innovazione didattica viene spesso confusa e scambiata con l’innovazione tecnologica e si finanziano acquisti di beni materiali che molto frequentemente non vengono adeguatamente utilizzati e diventano obsoleti prima ancora di essere sfruttati.

La situazione è quindi molto variegata e composita: sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà di applicazione delle innovazioni contenute nella Legge 107/15, conosciuta come quella sulla “buona scuola”. Essa risulta non priva di contraddizioni al suo interno proprio a causa degli intrecci reciprochi dei vari aspetti delle necessità formative nella scuola e della complessità delle relazioni fra i suoi diversi componenti e protagonisti ed anche di essi con la società e l’informazione.

 

Imparare ad informarsi e formarsi per la vita: l’identità culturale

Occorre prendere atto che le necessità formative per i ragazzi del XXI secolo sono molto cambiate rispetto al passato, anche recente. La cultura si può definire come “insieme di conoscenze che concorrono a formare la personalità e ad affinare le capacità ragionative di un individuo” (dizionario italiano Sabatini-Coletti), ma ha come sinonimo la parola “civiltà”, cioè l’insieme delle conoscenze letterarie, scientifiche, artistiche e delle istituzioni sociali e politiche proprie di un intero popolo in un dato momento storico. È in gioco la stessa identità culturale e sociale del Paese, oltre alla competenza del singolo.

La attuale sfida consiste nel mettere l’acquisizione delle competenze trasversali alla prova della didattica. La scuola è chiamata sempre più a divenire una comunità vivibile, sostenibile, accogliente, inclusiva, nella quale le persone generino nuove forme di quotidianità attraverso la collaborazione tra pari e la cooperazione costruttiva tra studenti e studenti, tra docenti e tra docenti e studenti.

È necessario che a scuola si formino reti sociali e che i ragazzi imparino a divenire cittadini responsabili e consapevoli, capaci di informarsi e di comunicare, capaci di lavorare insieme agli altri in modo etico.

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