Quale capitale umano per lo sviluppo del nostro Paese

Tra i commenti pervenuti in redazione per partecipare al contest lanciato nel numero 01 di Senza Filtro, il migliore è stato quello di Beniamino Bacci, che pubblichiamo: potrà quindi partecipare alla nostra prossima riunione di redazione e scegliere con noi il tema per il contest successivo. Il tema lanciato su Open Space del 28 gennaio […]

Tra i commenti pervenuti in redazione per partecipare al contest lanciato nel numero 01 di Senza Filtro, il migliore è stato quello di Beniamino Bacci, che pubblichiamo: potrà quindi partecipare alla nostra prossima riunione di redazione e scegliere con noi il tema per il contest successivo. Il tema lanciato su Open Space del 28 gennaio 2015 era quello della formazione professionale.

L’iniziativa della Dallara fa sorgere spontanea una domanda: chi si deve occupare della “formazione professionale”?

Dallara è leader mondiale nel segmento macchine da corsa e ha scelto di far salire in cattedra i suoi operai come veri e propri docenti per le lezioni dell’istituto superiore “Carlo Emilio Gadda”, con sede a Fornovo in provincia di Parma, dove enti e imprese uniscono le proprie risorse per renderle funzionali al progetto.
Gli studenti si spostano invece in azienda per vivere una formazione completamente ricalata nelle dinamiche produttive.

Andrea Pontremoli, amministratore delegato della Dallara, richiama l’attenzione sulla pericolosa assenza di dialogo tra teoria e pratica in campo formativo per le industrie della meccanica: “In Italia è sempre più difficile trovare tecnici specializzati. Chi esce dalle nostre scuole ha un’ottima preparazione teorica ma alle aziende serve anche una preparazione pratica. E’ ora che scuole e aziende trovino il modo di parlarsi”.

In tutta la nostra “vecchia” Europa negli ultimi 30 anni abbiamo trascurato ogni pensiero sistemico e programmatico per le nuove generazioni.

Questo è particolarmente vero per il nostro paese: ogni tentativo di riformare il sistema scolastico è miseramente fallito, un impoverimento culturale e di valori ha fatto il resto; il risultato: 2,5 milioni di NEET (Not in Employement Education Training) , il 27,9% dei giovani tra i 15 e 29 anni, ragazzi persi, scoraggiati, senza mete (dati ISTAT III trim. 2013).

Non è solo colpa del “sistema”, ad una buona parte di questi ragazzi non abbiamo dato gli strumenti per avere voglia di costruirselo un futuro, per molti è più comodo lo status quo.

In Italia aziende, come Dallara, attivamente provano a fare ciò che la Germania ha promosso a sistema: un percorso strutturato che facilita un affiancamento pratico al mondo del lavoro.

Laddove esistono distretti tecnologici c’è una certa attenzione del mondo industriale verso quei giovani che possono rappresentare il futuro “capitale lavoro”.

Se la risposta a questo bisogno è demandata solo all’industria, il rischio è che la formazione professionale diventi preponderante rispetto alla formazione della persona, il capitale umano. Nel distretto meccanico bolognese, ad esempio, si punta molto ad incentivare la cultura tecnica, grazie anche alla tradizione di alcune ottime scuole locali, ma c’è ancora una forte contrapposizione tra licei e scuole tecniche e professionali, con il risultato che quest’ultime, nonostante possano offrire opportunità più concrete nell’immediato, sono prescelte solo da figli di immigrati o ragazzi con problemi scolastici.

Invece, una giusta attenzione da parte di tutti noi (lo Stato), alla formazione dei suoi giovani, che preveda un ponte funzionale tra scuola e lavoro (anche per chi sceglie gli studi universitari) potrebbe consentire la crescita di persone dotate di conoscenze (la teoria), capacità pratiche (con le tecniche effettivamente richieste dal mondo del lavoro), ma anche senso civico e cultura nel significato più ampio del termine, un vero capitale umano per il futuro del nostro paese.

 

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