La Calderone frettolosa ha fatto i redditi ciechi

La MInistra Calderone blocca il reddito di cittadinanza fra informazioni sbagliate, dati incongruenti e processi ancora incompleti.
Ma la fine del mese, per molti non aspetta.

La ministra del Lavoro Calderone con Giorgia Meloni

Ci sono troppe cose che non tornano nella volontà di chiudere il capitolo Reddito di Cittadinanza e aprire la nuova era in cui la ministra Calderone garantisce un futuro senza assistenzialismi e alte percentuali di occupazione.

Del modo in cui è stata comunicata – per quanto ampiamente anticipato – l’interruzione dell’erogazione del Reddito a circa 160.000 famiglie ho ampiamente parlato nell’ultimo episodio del podcast Umane Risorse, ospitato da questo giornale. Resta solo da rammaricarsi sul fatto che la massima carica istituzionale sui temi del lavoro si sia comportata alla stregua di certi imprenditori pirati, che abbiamo imparato a conoscere proprio per queste modalità o per aver fatto spostato fabbriche dalla sera alla mattina e fatto trovare i lucchetti ai cancelli.

Prima di tutto "non torna" questa fretta.

Come ormai i nostri lettori sanno, il Reddito di Cittadinanza coinvolge una tale minoranza di Persone, che non c’è alcuna emergenza finanziaria che giustifichi una chiusura così immediata. Mentre, per quanto poche siano un milione e mezzo di Persone/160.000 famiglie, sottrarre loro l’unica fonte di sopravvivenza (o quella che, aggiunta a un altro reddito minimo, garantisce la sopravvivenza), può scatenare una emergenza sociale non da poco. E questo lo ha attestato recentemente anche l’ISTAT, dopo le affermazioni di Corte dei Conti e Caritas.

E allora perché non attendere almeno la fine dell’anno?

Considerando oltretutto che le misure sostitutive sono solo demagogia nel vero senso della parola. Si è attaccato il Reddito di Cittadinanza carente di politiche attive del lavoro a supporto e ora ci ritroviamo non solo nella stessa situazione dal punto di vista di strumenti e accesso alle opportunità, ma con anche un problema sociale che andrà gestito, se non vogliamo farlo gestire alla malavita – al Sud – e a imprenditori poco affezionati ai contratti regolari – a Nord.

Pensare di “costringere” i percettori a seguire corsi di formazione per garantirsi 350 euro al mese significa non solo non conoscere il mercato del lavoro, ma anche non conoscere la configurazione culturale e (non)professionale dei percettori, e di fatto proseguire nella logica deleteria e inutile con cui si sono gestiti fino a oggi i Centri per l’Impiego.
Intanto nessun avvistamento di questi corsi di formazione, e come se non bastasse non è pronta nemmeno la piattaforma informatica che dovrebbe far dialogare domanda e offerta.

Ricorda un po’ il fattaccio avvenuto a suo tempo con Mimmo Parisi, il super manager venuto dal Mississippi, individuato dal M5S per gestire il sistema informativo di ANPAL. Quando ad alcuni la storia non insegna nulla.

Nel pasticcio generale che si è scatenato già dalle prime ore, la ministra ha ben pensato di scaricare sui Comuni il “customer care”: in migliaia si sono riversati negli uffici comunali per chiedere spiegazioni, chiarimenti o anche solo per essere tranquillizzati. Tutto questo senza preallertare i diretti interessati, permettere loro quantomeno di prepararsi o di dotarsi di personale competente. L’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), come era prevedibile, ha fatto sapere di non essere in grado di gestire questa situazione.

Tutte le bugie della Ministra

Infine, quello che non torna sono le dichiarazioni che la ministra Calderone ha rilasciato in due interviste a giornali amici, Corriere e Stampa, in cui dati, numeri e fatti sono stati totalmente travisati. E qui dobbiamo chiederci se la ministra è totalmente a digiuno del mestiere che dovrebbe masticare ogni giorno – e che ha masticato fino a ieri in qualità di Presidente dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro – o se è  volutamente colpevole di manipolazione dell’informazione, utile solo ai suoi sponsor industriali e politici.

Secondo le dichiarazioni di Marina Calderone ai giornali, “il Reddito di Cittadinanza è costato 25 miliardi senza produrre i risultati attesi: né in termini di riduzione della povertà né in termini di accompagnamento al lavoro”.

È l’ISTAT che ha certificato l’incidenza del RdC nella riduzione della povertà: nel primo anno di operatività della misura, il 2019, i poveri assoluti sono passati da 5 milioni a 4,6 milioni. Nel 2020, la crisi pandemica li ha fatti aumentare fino a 5,6 milioni, ma – dice l’Istat – senza RdC e Reddito di emergenza sarebbero saliti di un altro milione. Le disuguaglianze si sono ridotte. Inoltre, circa un terzo dei beneficiari ha lavorato durante l’erogazione del sussidio.

“I dati ISTAT registrano un’occupazione record, quindi maggiori possibilità di far transitare i percettori del RdC a un’occupazione. In Campania, a fronte di 24.595 percettori occupabili, sono previste entro settembre 108.960 assunzioni (…). Il lavoro c’è e anche tanto.”

Si mettono insieme pizza e fichi: alle 108.960 assunzioni previste dalle aziende campane non vengono considerate le cessazioni. Di conseguenza il saldo finale sarà molto più basso, e buona parte di quelle assunzioni saranno coperte con lavoratori che passeranno da un’azienda all’altra. Inoltre, le aziende che rispondono ai sondaggi del bollettino ANPAL-Unioncamere si riferiscono alla ricerca di figure specializzate. Peccato che il pubblico dei percettori di Reddito non si avvicini minimamente a quelle competenze, e la metà di loro è definita “inoccupabile” per motivi di analfabetizzazione, di età, di mobilità.

“Il RdC è stato talvolta assegnato a chi non ne aveva diritto e ne ha fruito per diverso tempo.”

I controlli di ispettorato e Finanza hanno rilevato 37.000 fruitori irregolari (lo 0,9%), quota minima sul totale, anche in termini di importi erogati (1,6%). Sono dati più bassi dei furbetti della NASpI, e dell’assegno di invalidità, e delle aziende che non pagano i contributi, tanto per essere chiari.

“Con le Regioni abbiamo avuto un incontro dal quale non sono emerse particolari preoccupazioni sulla fase attuativa delle nuove misure.”

Come dicevamo sopra, l’ANCI ha contestato radicalmente la modalità adottata dal ministero del Lavoro.

“Nessuno deve lavorare per pochi euro l’ora. Quindi vanno impediti gli abusi, riconducendo tutto alla contrattazione collettiva di qualità.”

Insieme a Confindustria, anche il ministero ha adottato la exit strategy dei Contratti Collettivi a giustificare l’inutilità dei salari minimi e dei sussidi. Chi legge questo giornale sa benissimo che non solo i CCNL non garantiscono contratti dignitosi, ma che molti di questi sono definiti “contratti pirata” perché sottoscritti con il supporto di sindacati secondari con rappresentanze ridicole. La cronaca di questi giorni sulle inchieste in Esselunga, Sicuritalia e nel settore della logistica parlano chiaro.

Si può anche riuscire a fare peggio, se si vuole

In definitiva, allo stato attuale delle cose, e con tutto il tempo sprecato ad alimentare una retorica utile solo a generare disinformazione e divisioni nell’opinione pubblica a spese di una minoranza debole, non mi sembra di vedere quel cambio di passo promesso. Passata l’estate, stagione in cui in Italia tutto si ferma e si sospende (tranne gli aumenti dei prezzi e il costo della vita), ci aspetta un autunno molto rigido per le politiche del lavoro e del sociale; avremo bisogno di misure solide e costruttive.

Ma al momento mi sembra che il termometro non prometta niente di buono, e che manchino le coperte con cui riscaldarsi.

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