Centro Elis: è in periferia il riscatto della scuola

Quando la scuola diventa parte della società. Il direttore del Centro Elis: “Entriamo nelle case, da noi si iscrivono le famiglie intere”.

Da anni si parla di scuola, di come andrebbe riformata e di come la si vorrebbe, ma poi purtroppo tutto sembra ridotto a un immobilismo che nuoce soprattutto ai ragazzi, imprigionati in una dimensione didattico-educativa vetusta e priva di slancio. Il binomio tra formazione e lavoro resta irrisolto, e anche gli ultimi fatti di cronaca disegnano la scuola come la grande assente di una società che ha smesso di investire in cultura.

Dalla periferia di Roma, però, che non è solo un luogo ma una condizione di vita, arriva una piccola grande rivoluzione. Il Centro Elis sta provando a innovarsi per lanciare un segnale e dimostrare che una scuola del futuro è possibile. Ne abbiamo parlato con il direttore generale Pierluigi Bartolomei.

Pierluigi, conoscendovi la prima cosa che sorprende è il contesto nel quale vivete. È curioso abbinare l’innovazione alla periferia.

Noi abbiamo l’assoluta necessità di stare qui e non solo fisicamente o da un punto di vista catastale. Quando abbiamo aperto la scuola di Barbiana al Tiburtino abbiamo iniziato colorando di bianco i mattoncini di una stanza di 40-50 metri quadri. Volevamo essere un igloo, un luogo di protezione dove si cresce sicuri e al riparo dalle minacce esterne, che al polo nord sono i lupi o gli orsi, e qui a Casal Bruciato sono la droga e la criminalità. Adesso ci siamo ingranditi e stiamo aprendo un nuovo liceo, ma la missione resta inalterata. Siamo solo un igloo più grande di prima.

Come fa una scuola a diventare parte di una comunità?

Ora siamo un’unica famiglia, ma quando siamo nati abbiamo dovuto farci conoscere e accettare. Per farlo abbiamo dato vita a un’iniziativa che si chiama “ape operaia”, con la quale siamo potuti entrare nelle case per “trasformarle” nei nostri laboratori.

In che cosa consiste?

Regaliamo ogni anno dei ticket dal valore di 500 € alle famiglie bisognose del quartiere, offrendo loro la possibilità di spenderli per piccole opere di riparazioni domestiche che eseguono i nostri studenti. In questo modo riusciamo a offrire un servizio socialmente utile, creiamo un rapporto con le persone e permettiamo ai nostri ragazzi, oltre che di guadagnare qualche euro, di mettere in pratica le conoscenze che acquisiscono dietro i banchi di scuola. La situazione qui è complessa. Ultimamente abbiamo liberato da una situazione di barbonismo una signora che aveva accumulato quintali di immondizia dentro casa, portiamo a spasso Nello che è sulla sedia a rotelle, oppure ci capita di pagare il vetraio perché sistemi i vetri a Wanda, una donna con il figlio tossicodipendente che quando è in crisi d’astinenza spacca tutto. Non dico che siamo una soluzione, ma una scuola diventa parte di una comunità se c’è, se è presente anche oltre le sue mura.

Mi dicevi che state aprendo un nuovo liceo.

Durante il semestre di Presidenza Acea del consorzio ELIS abbiamo stretto un patto con 107 scuole pubbliche di tutta Italia per aiutarle a trasformare la didattica. Docenti e studenti ci hanno detto che non è possibile mettere una pezza su un vestito vecchio, perché questo lo lacera ulteriormente. Occorre un concetto nuovo, ripartire da un “prato verde” con un nuovo paradigma dell’educazione. Per questo nel 2021 apriremo un liceo scientifico con modello STEM che proverà a tracciare una nuova strada.

In che modo?

Vorremmo iniziare presto i lavori di costruzione dello stabile, e per prima cosa immaginiamo una struttura che raggruppi i ragazzi non in maniera anagrafica, ma che unisca i più piccoli con i più grandi, come faceva don Milani, secondo i talenti e gli interessi di ciascuno; poi vogliamo delle botteghe, e non delle classi con i banchi e gli insegnati di spalle alla lavagna. Immaginiamo di fare 7 giorni di ferie ogni 6 settimane, eliminando i tre mesi estivi di stacco totale dalla cultura. Poi abbiamo pianificato un percorso quadriennale con double degree (maturità scientifica e Cambridge International) composto da giorni di 7 ore lavorative o di studio di cui almeno la metà in inglese. E poi ore di quaranta minuti ciascuna e con una pausa della ricreazione dilatata, perché la socializzazione resta l’elemento più importante.

La socializzazione e i rapporti prima delle nozioni?

I giovani spesso hanno, o comunque possono avere, molte più informazioni anche del docente stesso. Oggi se vuoi conoscere qualcosa sulla storia o sulle scienze non c’è bisogno che te la spieghi un essere umano, basta cercare su Internet. Le studi e le sai come se te le avesse spiegate o lette un insegnante. Il docente secondo me dovrebbe assumere più un ruolo educativo; ci dovrebbe essere anche il tentativo di agire da un punto di vista comportamentale e di ampio respiro, perché le informazioni ci sono e sono accessibili. Quello che serve è coltivare i rapporti e far emergere i talenti. Troppo spesso i ragazzi si confrontano con un docente che si trova lì senza sapere bene il perché. Probabilmente cercava lavoro e ha trovato quello come fonte di sostentamento; poi però magari ha maturato una certa frustrazione, ma non può permettersi di abbandonare il lavoro, e così resta a scuola arrecando danno a se stesso e agli altri. Gli insegnanti, senza dubbio, sono l’elemento cruciale e quello sul quale investiremo molte energie, perché vanno scelti in maniera opportuna e vanno formati altrettanto attentamente: la loro formazione è un qualcosa su cui troppo spesso si sorvola. Essere docenti è una vocazione e insegnare deve essere una gioia. Sogno che, al suono della campanella, i giovani possano dire al loro insegnante: “La prego, ancora, ancora”. Come se fosse una sorta di abbraccio tra il discente e il libro, che si trasforma in un corpo. Il professore è colui che te lo fa desiderare. Quando avremo individuato cinque o sei docenti in grado di essere i primi guerrieri di questo liceo, tutti quelli che saliranno a bordo avranno un modello al quale ispirarsi, e anche per osmosi si sentiranno coinvolti in una missione alta.

Mi stai parlando di professori che non è facile trovare, ma essere insegnante, oggi, in Italia, non è particolarmente profittevole a livello economico.

Purtroppo è vero. Nella nuova struttura gli stipendi saranno ragguardevoli sin da subito, però abbiamo previsto anche un percorso di crescita salariale che permetta loro di arrivare alla media degli standard europei: quattromila, quattromilacinquecento euro al mese. L’insegnante ha un grande compito e deve essere retribuito in modo adeguato. Inoltre deve sentirsi parte di un tutto. Mi piacerebbe rompere le dinamiche dell’impiegato statale fantozziano e trattare gli insegnanti come fossero dei manager di azienda, garantendo loro una base sicura, comunque più alta di quella che è prevista ora, ma con la formulazione di incentivi e premi basati sulle prestazioni e gli obiettivi raggiunti.

Gli insegnanti però non sono gli unici attori del percorso educativo. Le famiglie giocano un ruolo fondamentale.

La famiglia è il vero luogo nel quale si cresce e si apprende grazie all’esempio dei genitori, e il padre è l’ulteriore grande assente dei nostri giorni. Per rafforzare il link forte tra scuola e famiglia, da due/tre anni a questa parte ho voluto che da noi si iscrivessero le famiglie intere e non il ragazzo singolo. Anche se è un gesto formale ha un alto significato simbolico: credo sia importante responsabilizzare l’intero nucleo familiare e far sentire tutta la famiglia parte di un progetto e una missione. L’iscrizione di un figlio presso un istituto non è un passaggio di testimone, ma la condivisione di un impegno. Per questo chiediamo ai genitori o ai nonni un coinvolgimento attivo anche all’interno dei programmi didattici, a seconda della professione di ciascuno. Agli avvocati chiediamo di spiegare la Costituzione in orario curricolare; oppure, lo scorso anno, abbiamo ospitato i nonni per raccontare le loro esperienze riguardo la Seconda guerra mondiale. Loro sono rinati, i ragazzi sono stati entusiasti e hanno appreso tantissimo, le famiglie sono state coinvolte. Questo è un modello in cui credo.

Mi stai raccontando di una scuola per ricchi?

Mi piace pensarla come la scuola dei ricchi per i poveri. È la nostra missione. Abbiamo il grande vantaggio di avere come aziende consorziate dei nomi importantissimi. Grazie a loro riusciamo a dar vita a corsi specifici per formare ragazzi che trovano immediatamente lavoro, ma soprattutto a garantire un numero importante di borse di studio e prestiti d’onore per i quali non sono richieste garanzie, interessi o impegni giuridici, ma che vengono restituiti dai beneficiari non appena trovano un’occupazione stabile.

Per concludere, Elis è una realtà parificata. Il cambiamento che state cercando di concretizzare lo vedi limitato al mondo privato o estendibile al pubblico?

Quando si parla con un ministro dell’istruzione si rischia di dire le solite cose: bisognerebbe fare una riforma che finalmente metta a posto gli istituti tecnici industriali, che riveda l’indirizzo dei licei, che dia valore alla formazione; bisognerebbe, si dovrebbe, sarebbe opportuno. Noi ci limitiamo a dire: “Ministro, venga a Casal Bruciato, le faccio vedere una scuola”. La speranza è che venga e si innamori di quanto è stato realizzato. Non a parole ma con i fatti. Il privato può sperimentare e fare da apripista, noi vogliamo offrire un modello facilmente replicabile e già testato affinché diventi pubblico.

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