Dalla comunicazione al Ne(x)twork

Come funziona una qualsiasi forma di comunicazione? Un contenuto passa da qui a lì. Da me a te, da noi a voi. Ecco: noi qui, voi lì. Questo non c’è più. Ed anche il contenuto, almeno come lo intendevamo fino a non molto tempo fa, ha i suoi seri problemi. Cosa significa questo? Che parlare di comunicazione […]

Come funziona una qualsiasi forma di comunicazione? Un contenuto passa da qui a lì. Da me a te, da noi a voi. Ecco: noi qui, voi lì. Questo non c’è più. Ed anche il contenuto, almeno come lo intendevamo fino a non molto tempo fa, ha i suoi seri problemi.

Cosa significa questo? Che parlare di comunicazione è diventato riduttivo. Anzi rischioso. Quella comunicazione non c’è più. C’è qualcosa di nuovo. Si è fatto strada l’effetto di una vera trasformazione e non di una semplice evoluzione. Se dico che non c’è più comunicazione ma collaborazione, intendo dire che la nuova frontiera della nostra esperienza — aziendale, ma non solo! — di quell’esperienza accelerata a dismisura dalle nuove tecnologie social, è diventata radicalmente invasiva, trasversale e ibrida. Ecco perché fissarsi sulla comunicazione e basta, suona ormai come trovarsi per canticchiare la tarantella del Carosello Rai degli anni ’60.

Nell’overdose di messaggi che ogni giorno riceviamo e subiamo, selezioniamo e memorizziamo, solo quello che ci ha realmente dato “valore”, che ha migliorato un qualsiasi aspetto della nostra vita. Comunicazione quindi vs servizio ovvero lo scambio, la collaborazione tra 2 o più soggetti. Servizio non è più una fornitura di commodities, ma di valore. Ma l’esperienza del valore si è trasformata. Il prodotto – di qualsiasi natura sia – è ormai uno solo degli aspetti della trama che lega fra loro attori diversi: persone, comunità, imprese, management… Ciò che la persona (l’ex soggetto della comunicazione) si attende, che sceglie, è un incremento di esperienza: nuovi fattori di significato da inserire nella trama ricca e complessa di ciò che egli vive. Questo è servizio.

Collaborare non significa semplicemente fare le vecchie cose ma insieme. Significa, invece, prendere sul serio ciò che di rivoluzionario ha uno scenario nel quale lo scambio, ormai da un pezzo, non veicola più solo semplici informazioni. Ma esperienze. Ed innesca trasformazioni che non si lasciano pianificare a tavolino, ma accadono generando e moltiplicando (ulteriore) complessità. La collaborazione che cerchiamo di sperimentare tutti i giorni con oltre 60.000 persone e proviamo a portare avanti è quella che apre in azienda nuove forme di esperienza e di azione. Che mischia discipline diverse, che opera connessioni trasversali, sia all’interno, sia all’esterno, con altre imprese, con il clienti interni, con i clienti esterni. D’altra parte, la rivoluzione social ha ormai chiarito che l’unico metro di comprensione adeguato dell’identità della missione di un’impresa è comunitario. Non ci sono più i classici canali da individuare e analizzare, ma traiettorie mobili e viventi che per essere colte e cavalcate hanno bisogno di una sensibilità e di un’iniziativa adeguata, cioè espansa, fluida e plurale. Il manager è ancora leader, ma in un altro modo. Il cliente è al centro, ma in un altro modo. Incommensurabile al precedente.

Se nell’era delle piramidi i compiti erano ripartiti con precisione – noi qui, voi lì – nella società di oggi i confini sono più fluidi e il premio va a chi sa attraversarli. Se, in passato, i ruoli e le organizzazioni erano dotati di un elevato grado di permanenza e di specializzazione e aveva senso parlare di comunicazione, oggi i continui mutamenti impongono uno sforzo di adattamento incessante. Oggi le organizzazioni devono produrre persone flessibili capaci di adattarsi a cambiamenti inattesi e capaci di conversare e collaborare con punti di vista sempre diversi. L’innovazione è di chi riesce a incrociare discipline, punti di vista, strumenti diversi e di aprirsi all’incontro, allo scambio.

Ecco perché il primo ostacolo è quello decisivo: il nostro mind-set. Il limite siamo noi stessi, la nostra idea di flessibilità. A parole siamo tutti flessibili e aperti alla collaborazione. “Siamo flessibili ma continuiamo a non capirci nulla” e a rimanere arroccati su vecchie posizioni, su vecchie convinzioni.

Ecco la verità delle cose! Proviamo allora ad immaginare che la realtà abbia cominciato a generare cose nuove in modo nuovo. Non si chiarisce meglio, a questo punto, la possibile radice delle nostre difficoltà? Non si capisce meglio, allora, che collaborazione, net(x)working, e nuove identità ibride e trasversali sono l’unica combinazione di tasti che consente di riavviare il sistema?

Se, quindi, la parola comunicazione ha ancora un ruolo nel lessico e nell’organizzazione d’azienda, è solo a condizione di riuscire ad esprimere tanto la radicale ridefinizione e mobilità dei suoi protagonisti, quanto la fluidità e complessità delle sue traiettorie. Dicevamo: ‘noi qui, voi lì’. Noi chi? Voi chi? È arrivato il momento di chiederselo.

CONDIVIDI

Leggi anche

I giornali non sono più specchio, ma selfie

Noi vecchi lettori stiamo assistendo, attoniti, alla caduta implacabile, mese dopo mese, delle vendite dei quotidiani (cartacei e digitali). Per me, innamorato del cartaceo (anche se Zafferano è digitale), è un dolore vero leggere le statistiche Ads. Il ricambio dei lettori in base all’età è inesistente: escono vecchi lettori, non ne entra nessuno, né giovani, […]

Il comportamento economico chiede gentilezza

Mi sono sempre interessato di idee, di come le persone pensano e/o di come non riescono a ottenere gli obiettivi che si sono prefissate. L’emozione più grande viene dalla comprensione dell’utilità di quella che spesso viene chiamata formazione; soprattutto quando negli scaffali delle librerie aumentano i volumi sullo stesso argomento e aumenta il desiderio di […]