Open to Meraviglia: il turismo ha perso la Testa

La campagna di marketing turistico più discussa degli ultimi anni al di là delle opinioni della domenica: c’è una grave carenza di best practice che è impossibile non considerare. Vediamo quali

Tagliatele la testa: la regina di Cuori del film Alice nel Paese delle meraviglie

Chiariamo subito, e lo ribadiremo anche in seguito, che questo non è un report degli osservatori a bordo campo della campagna di advertising più discussa dell’anno, ma assomiglia più all’indice di libro bianco su come leggere l’operazione, e magari trarne qualche lezione.

Abbiamo scelto di elencarne i personaggi e gli interpreti in ordine sparso, come se fossero titoli di coda di un film: ci sono tutti, e c’è pure la grande assente.

Gli osservatori: se la Venere è roba da meme

Nel Paese delle proteste a colpi di meme, la Venere di Botticelli trasformata in influencer per la campagna del ministero del Turismo ed ENIT è pappa buona per thread di vario tipo, con la versione 2.0 del capolavoro rinascimentale sistemata tra gli immigrati in uno sbarco; a fare gli strascinati in Puglia; ad abbracciare i bambini etiopi al posto della Presidente del Consiglio; a lavorare in ufficio sottopagata, o in un bar che informa del POS guasto. La versione intenta a farsi un selfie è stata piazzata nei paraggi di Silvio Berlusconi in pieno fulgore di salute e sessismo, con a fianco Salvini che mangia una salsiccia.

Ma non è finita qui. Il claim #opentomeraviglia trasformato in hashtag è stato usato per indicizzare di tutto: dagli abusi edilizi, passando per le strade chiuse o opere incompiute, fino ai segnali stradali creativi e alle new entry della classifica mondiale delle insegne più strane.

I formati di questa campagna non hanno ancora preso il volo sugli aerei e neanche sono atterrati negli aeroporti di partenza dei turisti, né sono comparsi sui tanti spazi pubblicitari a pagamento della strategia di media buying, che già l’operazione nel suo complesso è oggetto di irrisione dal pop alla postavanguardia pura.

Gli stereotipi in advertising: buoni o cattivi?

Eppure i luoghi comuni o gli stereotipi sono il pane quotidiano dell’advertising.

Armando Testa, fondatore dell’omonima agenzia responsabile della campagna in questione, negli anni Settanta realizzò un progetto in cui ribaltava, da par suo, un totem del marketing turistico italiano del Bel Paese nel boom economico: le cartoline turistiche furono totalmente riviste con uno sguardo moderno inimitabile. Da buon visionario stava anticipando un paio di fatti essenziali: gli stereotipi non vanno assolutamente rinnegati e il cibo è un medium potente che attraversa gli oceani del tempo.

A riprova dell’intuizione geniale di Armando Testa, che piazza un uovo a occhio di bue nel mare, che riveste di prosciutto di Parma una poltrona o che mette due ravioli a letto ricoperti da una coltre di spaghetti, dopo cinquant’anni i social scoppiano di scatti di turisti che giocano con le proporzioni e mantengono la torre di Pisa, o fanno la fila per la focaccia dell’Antico Vinaio a Firenze.

Ora: non crediamo che il gruppo creativo sul progetto avesse proposto alla ministra solo la versione 2.0 della Venere. Sta di fatto che l’ok è arrivato proprio per la ventenne che porta a spasso da cinque secoli quell’espressione di disappunto e noia tipica delle divinità, capelli al vento, rivestita di outfit più da signorina Cecioni che da turisti gen Z statunitensi, tedeschi o britannici, con tracce di mood arbre magique indossato dalla ministra alla Prima della Scala del 2015.

Il marketing turistico come dovrebbe essere, più o meno

Questo non è un corollario di critiche alla campagna, né una lezione di creatività pubblicitaria, bensì un piccolo promemoria su quanto la fase creativa e di media buying dell’advertising sia uno degli aspetti di un’operazione di marketing.

Lasciateci soffermare per qualche riga sul marketing turistico: un lavoro di tessitura di un network di attori in cui ministero ed ENIT sarebbero un punto di raccolta informazioni ed elaborazione di politiche a sostegno dei territori, mentre le località turistiche, in quanto punti di arrivo e ripartenza dei turisti, potrebbero (e dovrebbero) essere collettori di informazioni cruciali delle aspettative e delle percezioni del turista/viaggiatore, nonché hub delle necessità e delle proposte dei sistemi regionali di operatori turistici.

Un simile incrocio tra informazioni provenienti dai territori e il centro delle politiche di promozione e sostegno al turismo dovrebbe produrre strategie di medio e lungo periodo in cui il sito Italia.it e le campagne pubblicitarie sono uno (ma non l’unico) degli assi portanti di un funnel che aggancia l’utente, lo invita a considerare un viaggio in Italia, consente l’acquisto di servizi precedenti e contemporanei alla permanenza, e processa dati creando e aggiornando buyer personas a uso di tutta la filiera dell’inbound turistico nazionale. Qualcosa di meraviglioso in cui, per inciso, rientra anche l’esigenza di distribuire i flussi turistici in maniera sostenibile su un territorio che già soffre di gentrificazione estrema delle città d’arte.

Il condizionale sui dati e i processi all’origine delle politiche del marketing turistico è d’obbligo: basti pensare che per scrivere questo articolo sono state consultate ricerche pubblicate su portali e librerie di fonti opensource in inglese e francese, ma mai in italiano.

Come lavorano i professionisti del marketing

Ed è proprio sui processi che vogliamo continuare a concentrarci, a partire dalla “genialata dell’agenzia Marketing Toys, che ha registrato il dominio opentomeraviglia.it, facendolo puntare al proprio sito.

Il team di consulenti di brand marketing ha adottato una delle poche procedure professionali dell’intera vicenda: ha fatto scattare il riflesso pavloviano di controllare se la combinazione di parole approvata fosse un dominio ancora libero.

Chi lavora nel marketing lavora con le parole. Siamo fabbri e carpentieri, tagliamo e poi rifiniamo, scolliamo, spostiamo fin quando viene fuori quel misto di keyword di settore e intento di ricerca, metrica ed eufonia che si chiama claimnamingpayoff. Non è una botta di fortuna; a volte ci vogliono ore, a volte una settimana, e c’è sempre uno della cricca attaccato a un provider di domini per verificare seduta stante, prima che l’ultima sillaba sia stata pronunciata, se “il dominio è libero”.

Questa cosa non si impara nei corsi, non è un talento né un colpo di genio. È una best practice che si consolida dopo aver dovuto sperimentare che il lavoro di ore era inutilizzabile, perché a quella combinazione di parole ci era già arrivato qualcun altro.

Nessuna genialata, quindi, bensì la consapevolezza che il marketing è un lungo processo che inizia con il capire a chi si parla, passa dal comprendere come il prodotto servizio può risolvere un problema reale e definire come e dove spiegarlo. La retorica del talento assente, dell’idea banale e non geniale, della creatività che è mancata alla Armando Testa, ha informato tutte le critiche all’operazione del ministero del Turismo ed ENIT.

La campagna è stata vivisezionata da chi aveva competenza in materia di copywriting, art direction, graphic design, sviluppo siti, brand strategy, digital marketing. E da tanti opinionisti della domenica che si sono inseriti sul trend topic per avere la loro visibilità, con tecniche di engagement più o meno rozze.

Da qualsiasi punto di osservazione la si voglia analizzare, le conclusioni convergono non sull’idea, bensì sulla mancanza di best practice, di buon senso derivante dall’esperienza, di procedure di lavoro. Le motivazioni di queste assenze non le sapremo mai.

Ma perché la Venere, perché il Rinascimento?

Perché è stato scelto come stereotipo un quadro del Rinascimento, che non è la prima delle attrattive che l’Italia esercita sul turista proveniente dall’estero?

Gli italiani studiano (forse, ancora) a scuola il Rinascimento italiano; meno gli statunitensi, tedeschi, brasiliani, inglesi. A meno che non scelgano degli studi specifici e arrivino in Italia per semestri o annualità all’estero, che i college e le università acquistano da tour operator specifici in canali B2B.

Anche se qualcuno si era innamorato dell’idea di Venere, perché non creare un personaggio 3D? L’industria del gaming è sbarcata da quindici anni al cinema con versioni su schermo di giochi famosi, e se davvero fosse esistito l’intento di sollecitare il target di gen Z con un personaggio nativo digitale, poteva essere gestito in modo più efficace che eseguendo montaggi in Photoshop, con inserti di foto e video di stock riconosciuti in pochi secondi, e contributi di effetti in montaggio.

La grande assente: l’analisi

Stiamo sostenendo che i difetti di realizzazione derivano da una creatività – con tutte le probabilità – non sostenuta da un’adeguata analisi dei bisogni e dei riferimenti del target obiettivo, né da conseguente strategia di marketing che intercetti quei bisogni.

Se manca l’analisi il marketing non c’è, e l’advertising è monco della sua direzione. Questo lo sanno i professionisti (e alla Armando Testa presumiamo ci siano), e lo hanno intuito tanti osservatori con poca o nessuna esperienza di campagne pubblicitarie.

Ricapitolando.

Il committente non fornisce indirizzi strategici, il fornitore non introduce know how, e il prodotto finale è il risultato di queste due gigantesche carenze. Le loro motivazioni: poco tempo? Brief incompleto da parte del committente? Lavoro fatto da un team ristretto, che ha incluso solo creativi e non analisti? Problemi di budget (Dagli articoli usciti pare che il 90% dell’ammontare dell’operazione sia costituito da media buying)? Chissà.

Sta di fatto che la signorina Venere in Cecioni è stata lasciata sola con i suoi capi presi su Vinted a rispondere al fuoco incrociato, sia delle critiche che delle difese opportuniste. Su tanti argomenti ancora silenzio, che lascia intendere come chi vuole ottenere risultati concreti parte da analisi di dati, competenze strategiche, best practice organizzative e budget onesti, e che invece un’idea messa insieme in fretta, un bel po’ di prosopopea e tanti soldi di rado sono gli elementi di una storia avvincente.

Finale a sorpresa: le toppe sono peggio del buco

Gli artefici hanno risposto alle critiche riguardanti il costo della campagna e le numerose défaillance in maniera stizzita (il ministro) e con un testo passivo-aggressivo e retorico (Armando Testa) uscito il 27 aprile su una pagina intera acquistata al Corriere della Sera.

È difficile credere che l’agenzia fondata dal papà della pubblicità italiana sia atterrata così male sulla materia in discussione, cioè dicendosi soddisfatta che il proprio lavoro avesse suscitato una tale ondata di critiche negative: il “basta che se ne parli” può funzionare per l’instant marketing di Taffo, non per una struttura di professionisti con decenni di storia, incaricata di promuovere l’inbound turistico in 33 Paesi “tutti diversi culturalmente” (citiamo dal testo).

Chi scrive per mestiere avrà notato la formula con cui è stata sintetizzata l’essenza della proposta di Open to Meraviglia, la cui intenzione (citiamo dal testo) era di “accendere l’attenzione in modo facile”. Questa è una keyword primaria per vendere corsi lampo e assicurazioni, per piazzare metodi per diventare ricchi, ma non è affatto indicata per riassumere l’impegno di convincere un turista a scegliere il nostro Paese perché vuole staccare dalla sua routine e immergersi nella bellezza. Non è facile organizzare un viaggio di decine di migliaia di chilometri e svariati giorni con un costo non indifferente; quindi, non è una formula facile che convince a farlo. È il desiderio di vivere emozioni sognate da una vita.

Chi ci ha convinto per decenni a comprare biscotti fatti in un vecchio mulino immerso nel grano, oggi spiega che ha deciso di promuovere un Paese facendo leva sulla proposta “facile”. Di fronte a questa manifesta perdita di direzione, calare il sipario su questa vicenda spetta solo a noi. Tentando di impararne il più possibile.

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