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Il Dirigente della Pubblica Amministrazione non è più intoccabile: è l’ora del buon esempio
Il Dirigente di una Pubblica Amministrazione ha precisi doveri nei confronti dei dipendenti pubblici suoi collaboratori. Deve favorire un atteggiamento di trasparenza, imparzialità e reciproca lealtà, costruendo un ambiente sereno e valorizzando le potenzialità di tutti i soggetti che, sotto la sua guida, adempiono al loro ruolo professionale. La Riforma Madia approvata lo scorso anno, […]
Il Dirigente di una Pubblica Amministrazione ha precisi doveri nei confronti dei dipendenti pubblici suoi collaboratori. Deve favorire un atteggiamento di trasparenza, imparzialità e reciproca lealtà, costruendo un ambiente sereno e valorizzando le potenzialità di tutti i soggetti che, sotto la sua guida, adempiono al loro ruolo professionale. La Riforma Madia approvata lo scorso anno, di cui si attendono entro agosto i nuovi decreti attuativi, rispetto alla Legge Brunetta rappresenta un cambio di passo nella continuità. Si punterà a premiare il merito piuttosto che a “punire” i fannulloni. Un cambio di marcia necessario se si vogliono ottimizzare le risorse di cui gli organici dispongono, anziché assumere un atteggiamento squisitamente “ostracista” che contrasta la valorizzazione di ogni singolo talento nell’unità organizzativa, ovvero nella sua squadra.
Vincenzo Lorenzini si definisce un “cultore della meritocrazia”. Crede fermamente che nella gestione manageriale del pubblico impiego si possa affermare la qualità non come valore aggiunto ma come priorità essenziale per offrire ai cittadini elevati standard nella fruizione dei servizi. Ha fatto parte della Commissione istituita presso il Dipartimento della Funzione Pubblica che ha lavorato allo schema di decreto delegato della Riforma Madia. Attualmente realizza eventi formativi in materia di “Gestione e Sviluppo delle Risorse Umane”. Per lui questa riforma rappresenta un passo “diverso, accelerato, ottimista” in vista del prossimo traguardo: il Testo Unico del Pubblico Impiego, da approvare entro il prossimo febbraio, che dovrebbe definire meglio la questione dei lavoratori pubblici.
Intanto, si inizia a delineare fin d’ora un quadro più chiaro sui ruoli e le responsabilità che il dirigente dovrà assumere nei confronti di dipendenti e collaboratori. Nella P.A. non è il capo che comanda e impartisce ordini. Non ha neppure una mera funzione di controllo ma, al contrario, il suo compito è più vicino a quello di un coach e, in parte, anche a quello di un formatore. Deve saper incentivare e “premiare” le competenze, cercando di non generare conflitti tra dipendenti. È come l’allenatore di una squadra che, in assenza dei risultati, può essere esonerato. “Il dirigente, ma in una certa misura anche le posizioni organizzative del comparto non dirigenziale (i capoufficio), con l’entrata in vigore della riforma Madia, rischia molto di più. Laddove il dirigente pubblico non dimostri di essere in grado di assolvere la funzione di gestore attribuita per un periodo di 4 anni (si parla di manager), potrà essere rimosso dall’incarico ed addirittura demansionato, ove sia dimostrata la inadeguatezza della sua gestione manageriale”. Perché ciò accada deve aver conseguito una “valutazione negativa” da parte dell’ente di appartenenza; il procedimento amministrativo si svolgerà sotto la supervisione di una commissione unica nazionale del comparto di appartenenza, conferma Lorenzini.
In sostanza, chi dirige un Ente pubblico ha il compito di dare il buon esempio nei confronti dei suoi dipendenti. Per esempio, non deve assumere comportamenti arroganti o aggressivi che rischiano di compromettere il lavoro di gruppo. Non deve far pesare il proprio potere decisionale sui membri del proprio team che appartengono al comparto non dirigenziale, ma nel contempo non può cedere all’eccessivo permissivismo. Già ora è suo obbligo deontologico segnalare i comportamenti scorretti dei propri dipendenti alla Commissione di disciplina competente. D’altro canto, anche i dipendenti hanno dei vincoli di responsabilità verso il dirigente, ma sopratutto verso i cittadini in quanto sono tenuti ad offrire loro il servizio pubblico migliore.
Il bravo dirigente è quello che valorizza il merito, colui che non condiziona od ostruisce il lavoro altrui, ma neppure si lascia troppo condizionare dall’ambiente in cui opera. “Non deve creare blocchi comunicativi con i suoi collaboratori. Deve essere un attivatore di buona disponibilità; saper creare il “valore pubblico”; essere capace di intuire le qualità del collaboratore e metterlo in condizione di svolgere le attività tipiche dell’unità organizzativa e, in quel caso, chiedere una flessibilità lavorativa, cioè la capacità di adoperarsi mettendo in campo i priopri talenti, anche con sacrifici e turni di lavoro faticosi e impegnativi, sempre orientati al servizio dell’utenza” precisa Lorenzini. Questo è il miglior modo per valorizzare il merito che la Riforma Madia, se procederà nella direzione finora tracciata, contribuirà ad incrementare decisamente. Le capacità dei dirigenti pubblici si notano dai piccoli gesti, come non criticare il lavoro altrui in modo collegiale, saper prendere in disparte il lavoratore “poco efficiente” e fargli notare i propri errori, spronarlo a fare meglio, utilizzando in modo trasparente i premi di produttività, quelli che incentivano la prestazione singola.
Il concetto si esprime con un’unica frase: il valido dirigente deve essere presente nella vita professionale dei suoi collaboratori. Ma c’è da domandarsi cosa accade se è lo stesso dirigente ad assumere atteggiamenti scorretti o poco consoni agli obiettivi prefissati e, addirittura, se risulta essere lui stesso inefficiente. “C’è un’organizzazione gerarchica di valutazione permanente dei dirigenti manager, con un Organismo indipendente di Valutazione che, sulla base di una proposta effettuata dal suo diretto Superiore, esplicita una valutazione definitiva. Il diretto Superiore, quindi, diventa una sorta di “supervisore delle valutazioni”. Lorenzini chiarisce che le conseguenze della valutazione negativa non sono disciplinari ma gestionali, cioè hanno effetto sulla “carriera”; la possono limitare ma anche interrompere arrivando a far perdere l’incarico. In pratica, se un dirigente di un ufficio complesso non è valutato positivamente gli può essere affidato o un incarico di responsabilità inferiore o, magari, dopo un anno di attesa, può essere messo in mobilità e successivamente mandato a casa. “Ma prima di essere licenziato avrà l’opportunità di fornire le proprie ragioni perché ci può essere il rischio che sia oggetto di mobbing o di un’azione persecutoria. In questo caso, a garanzia del dipendente, c’è sempre il Giudice del lavoro che potrebbe intervenire. Inoltre è prevista nella nuova Legge Madia una Commissione Nazionale, indipendente, unica, composta da figure che non hanno nulla a che fare con la politica, la quale è tenuta a pronunciarsi in maniera definitiva”. A seguito di quest’ultima valutazione, se negativa, il dirigente può anche perdere il lavoro”. Insomma oggi non è più come in passato. Il dirigente di una Pubblica Amministrazione non è più intoccabile. Anzi, per certi aspetti, rischia molto di più rispetto ai suoi sottoposti.
[Credits Immagine: makemefeed.com]
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