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Dov'è andato e come si è mosso il turismo in Italia nell'anno del lockdown? La risposta di <em>SenzaFiltro</em>, luogo per luogo, attraverso un viaggio in camper.

Numero 95 - Il turismo invisibile

<p>Un esercito invisibile, composto da studenti, casalinghe, pensionati, ma anche professionisti, che ogni giorno si sveglia e vende prodotti per il benessere, la pulizia della casa, la cosmesi e addirittura per il piacere personale. Sono i <b>venditori multilivello</b> o <b>netmarketing</b>, che nell&#8217;era dei social e della rete sono in netto aumento. Proprio loro, che la logica della rete amicale e parentale la usavano già negli anni Settanta, e qualcuno già negli anni Venti, quando il pioniere Carl Rehnbor lanciò Nutrilife.</p>
<p>Una statistica su quanti siano in Italia è praticamente impossibile da redigere, come ha spiegato il vicedirettore del Cescom dell&#8217;Università Bocconi Luca Pellegrini, vista la <b>flessibilità</b> di questo modello economico, che per molti rappresenta <b>un secondo lavoro o un arrotondamento</b>. Eppure negli ultimi tempi sono in molti a aderirvi, attratti non solo dai guadagni, ma anche da nuovi stimoli e da un tipo di lavoro che consente di gestire il proprio tempo libero in modo autonomo.</p>
<p>La figura del <b>manager rampante self made man</b> in grado di guadagnare cifre da capogiro grazie alla rete di vendita, che era al centro della narrazione di <b>March Hughes</b>, il guru di Herbalife, e quella della <b>casalinga</b> che combatteva la noia e arrotondava con le dimostrazioni di prodotti per la casa alle amiche, sono ormai solo una parte del composito universo affollato da impiegate, avvocati, studentesse e anche disoccupati che vi hanno trovato un sostentamento. Ma anche nuovi stimoli lavorativi che le professioni tradizionali non riescono più a dare.</p>
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<h2>Multilevel marketing, catene di Sant&#8217;Antonio? No grazie</h2>
<p>La storia, ormai pluridecennale, di questo modello di vendita è stata costellata in passato anche di <b>controversie legali</b>. Al punto che in alcuni Paesi, come la Cina, è ancora considerato illegale. Oggi chiunque vi lavori come prima cosa specifica: «Non c&#8217;entriamo nulla con le <b>catene di Sant&#8217;Antonio</b> o lo <b>schema Ponzi</b>, anche se c&#8217;è ancora confusione».</p>
<p>Al centro di questo modello c&#8217;è sempre la <b>vendita del prodotto</b>. Al contrario di quanto avviene nei modelli fuori legge, i cosiddetti schemi piramidali, il guadagno può derivare solo dalla vendita diretta oppure da percentuali sulle vendite del proprio gruppo di venditori; mai sul reclutamento di nuovi venditori. Sono fondamentali in questo caso l&#8217;affiatamento tra i membri della rete, il credere in ciò che si vende e l&#8217;armonia.</p>
<p>Parlare con chi vive le reti significa entrare in un mondo dove la competitività, le piccole invidie che nascono in azienda e la voglia di sopraffazione non esistono. Si percepisce un senso di famiglia. Forse anche per questo sono in molti a voler mollare un lavoro normale per trovare nuovi stimoli in queste realtà.</p>
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<h2>«Così mi pago gli studi e qualche extra»</h2>
<p><b>Giulia Nardi</b> ha 22 anni e lavora in un asilo nido, frequenta un&#8217;università telematica e da tempo commercia prodotti di bellezza Yves Rocher in una piccola cittadina lombarda. Durante il <b>lockdown</b> la vendita multilivello è diventata il suo unico sostentamento. «Ho iniziato quattro anni fa – dice – quando ero all&#8217;ultimo anno delle scuole superiori. Le spese sono aumentate, mentre studiavo per prendere la patente, e andare a gravare sul bilancio famigliare non mi piaceva molto. Così mi sono messa a cercare su un sito di offerte di lavoro. Ho visto un annuncio per la vendita di alcuni prodotti di bellezza che avevo già usato. Alcuni amici dei miei genitori lo facevano già e ho deciso di provare. Mi sono detta: “Se proprio vedo che non riesco, mi tiro indietro”. Sono ormai quattro anni che lo faccio. <b>Non ci ricavo uno stipendio, ma a sufficienza per le mie spese</b>».</p>
<p>A muovere Giulia non sono i guadagni facili, ma la voglia di arrotondare e di avere indipendenza, oltre al fatto che questo tipo di impegno è <b>compatibile con altre occupazioni</b>. «Non è semplicissimo. Bisogna avere una certa “parlantina”, buttarsi in mezzo alla gente e far conoscere il prodotto. Ma soprattutto si deve conoscere ciò che si propone, non tanto a livello tecnico, ma personale. Innanzitutto ho iniziato a usare i prodotti che vendo, e poi ho cominciato a farmi un giro di clienti con conoscenti e amici. Sapevo fin dall&#8217;inizio che non c&#8217;era un’entrata mensile, e non la prometto nemmeno a chi coinvolgo come venditori».</p>
<p>L&#8217;uso dei <b>social network</b>, specialmente nel periodo della pandemia, ha consentito a Giulia di <b>incrementare i suoi introiti</b>. «Quando lavoravo – continua – di solito mi riservavo un paio d&#8217;ore alla sera per promuovere i prodotti sui social invece magari di guardare la televisione. Nel periodo del lockdown mi hanno aiutato molto WhatsApp, Instagram e Facebook».</p>
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<h2>Il grande salto: vivere di vendite multilivello</h2>
<p><b>Elisa Broveglio</b> aveva 21 anni, un diploma professionale da estetista, e un problema di salute che rischiava di farle perdere l&#8217;impiego.</p>
<p>«Dopo aver studiato come estetista il negozio dove lavoravo ha chiuso improvvisamente. Io ho iniziato a lavorare nel negozio da parrucchiera di mia madre. Dopo due anni ho iniziato a presentare dei sintomi di <b>allergia ad alcuni prodotti</b>, che mi provocavano escoriazioni gravi. Una mia cliente, che aveva delle conoscenze, mi ha fatto provare una crema per le mani. Ho iniziato a fidarmi di lei. Dopo due giorni mi sono resa conto che ero guarita e mi ha spiegato cosa sia Be Health, la società per la quale oggi lavoro. È un&#8217;attività che si riesce a fare soprattutto se si conoscono e apprezzano i prodotti». È un&#8217;azienda nata praticamente un anno fa, e da febbraio è quotata in borsa. Per Elisa è il futuro. «Quando ho sentito questo progetto mi sono illuminati gli occhi: ho capito di avere le competenze per fare questo lavoro. Mi ha attirato il <b>senso di sfida</b> e la <b>possibilità di gestire il mio tempo</b>».</p>
<p>La vendita multilivello si rivela anche in questo caso propizia durante il lockdown. «Inizialmente – continua – il mio obiettivo era solo di arrotondare vendendo i prodotti. Dopo il lockdown sono rimasta a casa senza stipendio e <b>mi sono mantenuta con il network</b>. Sono in procinto di poter fare solo questo. Penso di essere una delle più giovani in azienda e non sono più una delle ragazzine più piccole di me, che lo fanno per incrementare la paghetta. Inoltre mi viene naturale parlare con le persone di una cosa che mi piace».</p>
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<h2>Il multilevel marketing a 40 anni: cambio lavoro, cambio vita</h2>
<p>Molti degli aspetti personali che ruotano attorno al mondo del <b>multilevel marketing</b> hanno attinenza con la <b>soddisfazione personale</b> ancor prima che con il denaro. Se negli anni Ottanta e in parte anche nei Novanta, con un&#8217;economia in crescita, a solleticare le persone era la possibilità di alti guadagni e di una vita da nababbi, oggi il networking si carica di aspettative che riguardano di più la sfera dell&#8217;apprezzamento del lavoro svolto e del buon clima aziendale.</p>
<p>C&#8217;è chi ad esempio come <b>Valerio</b>, laureato e dipendente pubblico, ha trovato nella vendita dei prodotti Amway, multinazionale prima al mondo nel settore per fatturato (8,4 miliardi) e specializzata in benessere e prodotti per la casa, <b>un nuovo stimolo lavorativo a 40 anni</b>. «Sono tre anni che collaboro con questa realtà. Siamo inquadrati come venditori porta a porta e il nostro inquadramento comporta un sostituto d&#8217;imposta alla fonte dal punto di vista fiscale. Quello però che apprezzo in modo particolare è <b>il clima che si è creato</b>. C&#8217;è molta collaborazione tra i venditori. Questo non significa che il mio lavoro principale non mi piaccia, ma semplicemente a 40 anni questo nuovo tipo di attività mi ha dato nuovi stimoli».</p>
<p>Valerio sta dedicando un tempo sempre maggiore a questa seconda attività, che gli dà soddisfazioni non solo economiche. «C&#8217;è la sfida di costruire una rete di venditori, di istruirne di nuovi e di vederli crescere. Soprattutto <b>tra noi non esiste competitività</b>, ed è l&#8217;azienda a farci lavorare in questo senso. Da noi la chiave di volta è condividere il progetto (non il prodotto) con altre persone, creando così <b>una nostra rete commerciale</b> che si fonda sui microfatturati di tanti».</p>
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<p><em>Photo credits: www.corrierenazionale.it</em></p>


Multilevel marketing, la rete prima della Rete

<p>Intervista a <strong>Patrizia Rinaldis, Presidente di Federalberghi Rimini</strong> (AIA, Associazione Italiana Albergatori) nella stagione più anomala e critica del turismo italiano.</p>
<p>La trasformazione dell&#8217;idea di vacanza in un territorio come Rimini, <strong>le evoluzioni dei modelli organizzativi e la centralità della formazione</strong> dalle scuole alberghiere alla managerialità degli imprenditori. Dalla terra in cui è nata la prima storica legge regionale sul turismo, un appello chiaro e diretto al Presidente del Consiglio Conte e una presa di posizione sull&#8217;inutilità di un ente come l&#8217;Enit (Ente Nazionale Italiano del Turismo) che dovrebbe rappresentare il pensiero e la comunicazione di un Paese intero e di un settore così strategico.</p>


[VIDEO] SenzaFiltro in Tour, Patrizia Rinaldis: &#8220;Non esistono più le mezze pensioni&#8221;

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Stefania Zolotti

Direttrice responsabile di SenzaFiltro e giornalista con il debole per le relazioni e le persone. Studiosa e appassionata di geografie umane e di paesi. Con la laurea in giurisprudenza non ha mai intrapreso le classiche strade: l&#8217;unico ufficio legale in cui ha lavorato è stato quello di Altroconsumo a Milano dal 2001 al 2003, con una parentesi nella sede di Bolzano grazie al patentino di bilinguismo tedesco. Dal 2002 Collabora come freelance con la rivista Business People e dal 2023 con Artribune dove racconta storie italiane di teatri di periferia. &#8220;Sentimenti precisi&#8221; è il nome del progetto con cui dal 2021 gira l&#8217;Italia tenendo laboratori contro i blocchi della scrittura: lo fa per aziende, associazioni, scuole, singole persone e gruppi. Dal 2008 al 2017 Responsabile Comunicazione e Segretaria di direzione per una grande azienda pubblica del settore ambiente dove ha sviluppato progetti di green marketing e di educazione sostenibile. Dal 2012 contribuisce a creare e coordinare progetti per la business community FiordiRisorse, che è anche l&#8217;Associazione editrice di SenzaFiltro. Autrice del libro &#8220;Ti fai male&#8221; (2020), romanzo generazionale scritto inizialmente come ghostwriter. Ha lavorato per 20 anni come giornalista nel campo del vino e del cibo collaborando con le principali testate nazionali e pubblicando due libri: &#8220;Vino a doppio senso. Guida ironica per uomini e donne&#8221; (Gabrio Marinelli Editore, 2006) e &#8220;Il Bicchiere mezzo pieno. Liberarsi dagli esperti è il primo passo per bere bene&#8221; (Le Lettere, 2020). L&#8217;ultimo libro, di cui è curatrice, è &#8220;Coaching, maneggiare con cura&#8221; di Carlo Bisi (Edizioni FiordiRisorse, 2023). &#8212; MAIL DI REDAZIONE: stefania.z@fiordirisorse.eu

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Editoriale 95. Il turismo invisibile

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Dopo la crisi pandemica, gli italiani si sono riappropriati dei loro patrimoni tramite il turismo di prossimità. L'analisi di uno dei fenomeni turistici più irripetibili della storia recente.

Numero 103 - Turisti per casa


<p>Sono l’oro verde dell’Italia: i <strong>prodotti agroalimentari</strong> sono un settore rilevante dell&#8217;export, ma sono ancora sottostimati come driver turistico autonomo.</p>



<p>A dirlo sono i numeri. Secondo i dati Istat elaborati da Federalimentare nel 2020 è stato record di <strong>esportazioni</strong>, 46,1 miliardi di euro per l’agroalimentare, mentre il <strong>turismo enogastronomico</strong> è il motivo del viaggio solo per il 5% dei turisti che mettono piede in Italia, secondo l’ultimo rapporto ISNART (Istituto Nazionale Ricerche Turistiche).</p>



<p>La fotografia del <strong>turista enogastronomico</strong> è quella di uno <strong>straniero</strong> nella metà dei casi: <strong>il 54,4%</strong>.Provengono dalla Francia in un caso su tre, nel 19% dei casi dalla Germania e nel 15% dal Regno Unito. Le mete più gettonate sono la Lombardia con il 21% di viaggiatori, l’Emilia-Romagna con il 17% e il Piemonte con l’11%.</p>



<p>Ma questo segmento fatica a imporsi come autonomo; è visto in funzione strumentale, associato ad altri temi di interesse turistico, come spiega il rapporto ISNART: “Potrebbe sembrare un dato allarmante ma la spiegazione è molto semplice: <strong>l’enogastronomia è un elemento multi-prodotto</strong> che può, cioè, essere associato a tutti gli altri prodotti turistici (natura, cultura, sport, etc.) e che contribuisce, a tutti gli effetti, ad arricchire l’offerta turistica e la notorietà del brand Italia”.</p>



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<h2 id="h-i-distretti-alimentari-e-la-dop-economy-risorse-inestimabili-ma-non-per-il-turismo">I distretti alimentari e la DOP economy, risorse inestimabili ma non per il turismo</h2>



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<p>A costruire la rete dell’offerta di prodotti enogastronomici sono i <strong>distretti alimentari italiani</strong>, che si confermano un asse portante dell’economia.</p>



<p><strong>Sono 96 i</strong> “<strong>Distretti del cibo</strong>” ufficialmente presenti nel registro del Ministero delle politiche agricole e forestali. Sono stati istituiti con la legge del 2017, ma restano articolazioni amministrative e funzionali, senza <strong>alcun riscontro di promozione turistica</strong>. Basta cercare sul web e non si trova nessun sito dedicato alla specificità territoriale da cui nasce una determinata eccellenza enogastronomica, da utilizzare come vetrina di promozione turistica, tranne che per il settore del vino. Si parla di eccellenze enogastronomiche solamente su siti tematici dedicati all’agricoltura, al cibo, o nei siti istituzionali.</p>



<p>Punta di diamante dell’agroalimentare sono i prodotti che costituiscono la cosiddetta <strong>DOP economy</strong>, neologismo coniato dalla fondazione Qualivita che racchiude le eccellenze enogastronomiche a indicazione geografica protetta, il cui valore economico viene analizzato ogni anno nel rapporto Ismea-Qualivita. Il rapporto sottolinea l’importanza di questo segmento all’interno del comparto agroalimentare italiano, di cui costituisce, secondo gli ultimi dati disponibili del 2019, il <strong>19% del fatturato complessivo</strong>, con 16,9 miliardi di euro di valore alla produzione, cresciuto del 4,2% rispetto all’anno precedente.</p>



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<h2 id="h-i-numeri-del-cibo-a-indicazione-geografica-protetta">I numeri del cibo a indicazione geografica protetta</h2>



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<p>La DOP economy comprende 838 prodotti agroalimentari e vitivinicoli, 285 consorzi di tutela ufficialmente riconosciuti e 180.000 addetti, raggiungendo il 21% di tutto l’export nazionale agroalimentare per un valore di <strong>9 miliardi e mezzo di euro</strong>, cresciuto del 5,1% nel 2019 rispetto al 2018.</p>



<p>A farla da padrone nell’export è il <strong>settore vitivinicolo</strong>, con 5,6 miliardi di euro. In crescita il <strong>cibo a indicazione geografica protetta</strong>, con un valore di 3,8 miliardi di euro per un incremento del 7,2% annuo. Restando ai dati del rapporto Ismea, le filiere agroalimentari di eccellenza fanno da traino maggiormente nel <strong>Nord Italia</strong>, con Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte in cui si concentra il 65% del valore economico dei prodotti DOP e IGP.</p>



<p>Il complesso del cibo a indicazione geografica protetta ha registrato una <strong>crescita del 54% dal 2009</strong> come valore della produzione; le esportazioni, sempre da quell’anno, sono aumentate del 162%. I mercati principali dell’<strong>export</strong> sono la <strong>Germania</strong> con 786 milioni di euro, gli <strong>Stati Uniti</strong> con 711 milioni di euro, la <strong>Francia</strong> con 525 milioni di euro, il <strong>Regno Unito</strong> con 273 milioni di euro.</p>



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<h2 id="h-italiano-il-primato-dei-prodotti-agroalimentari-certificati">È italiano il primato dei prodotti agroalimentari certificati</h2>



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<p><strong>L’Italia ha il primato mondiale di prodotti certificati</strong>, ben 838, corrispondenti al 27% di tutti i prodotti a denominazione e indicazione geografica protetta nel mondo, che sono 3.123, di cui 3.093 in Europa. La maggior parte sono <strong>vini</strong>, con 526 registrazioni e una produzione che nel 2019 ha superato i 25 milioni di ettolitri. Sui 9,2 miliardi di euro di valore di produzione, ben 7 miliardi sono rappresentati dai vini a denominazione di origine protetta, che fanno la parte del leone con un 82% del totale del vino a indicazione geografica.</p>



<p>Anche l&#8217;anno scorso l’Italia ha avuto il primato con <strong>quattordici nuove registrazioni</strong> di prodotti a indicazione geografica, di cui dodici nell’agroalimentare e due nel settore vitivinicolo. Numeri che mostrano la consistenza economica di un settore sempre più votato all’export, ma scarsamente utilizzato come volano di promozione turistica autonoma.</p>



<p>Eppure gli esempi di <strong>distretti del vino</strong>, come il Chianti e il Franciacorta, uniscono alla valorizzazione di prodotto quella turistica, del territorio di riferimento, con il prodotto IGP che diventa ambasciatore del luogo a cui è intimamente legato. Una ricetta che va nella direzione del turismo esperienziale oggi tanto ricercato dai viaggiatori.</p>



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<h2 id="h-agroalimentare-italiano-il-gigante-in-frammenti-i-distretti-vanno-a-velocit-diverse">Agroalimentare italiano, il gigante in frammenti: i distretti vanno a velocità diverse</h2>



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<p>L’appeal dei prodotti Made in Italy è mostrato dal fenomeno dell’<strong><em>italian sounding</em></strong>, l’evocazione di marchi, nomi e immagini italiane su cibi di origine straniera per agevolarne le vendite; un giro annuo di affari stimato in 100 miliardi di euro a livello mondiale, con il Parmigiano Reggiano come prodotto più imitato e un aumento del 70% negli ultimi dieci anni, secondo Coldiretti.</p>



<p>A questo si aggiunge la debolezza intrinseca di un settore, come quello dei distretti alimentari, che pure nel complesso non conosce crisi a causa della dimensione. Secondo lo studio di Intesa Sanpaolo i distretti alimentari italiani nel terzo trimestre del 2020 hanno realizzato <strong>55 miliardi di euro di vendite</strong>, con un aumento del 2,3% rispetto allo stesso periodo del 2019, una cifra record sinora mai raggiunta. A farla da padrona la filiera della pasta e dei dolci, con un più 9% sul mercato nazionale dall’inizio dell’anno.</p>



<p>Il rapporto evidenzia come i distretti alimentari abbiano un <strong>carattere anticiclico</strong>, indipendente dalla congiuntura economica, caratteristica che ne spiega le ottime performance in termini di redditività. Tra i distretti più brillanti sul mercato l’alimentare di Parma, la confetteria ed il cioccolato di Torino, la pasta e dolci del napoletano, e la sorprendente performance del settore delle conserve di Nocera.</p>



<p>Lo studio di Nomisma <em>L’industria alimentare italiana oltre il Covid-19. Competitività, impatti socioeconomici, prospettive</em> sulle imprese del settore food e beverage rileva come solo il 14% delle imprese – circa 8.000 su un totale di 56.000 – ha più di nove dipendenti. Il grosso sono <strong>microimprese</strong>, con una conseguente frammentazione riguardo all’export, al marketing, all’innovazione digitale. E, non ultimo, al turismo, che dà sempre più l’impressione di essere un’occasione persa per il settore agroalimentare e i suoi distretti.</p>



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Distretti alimentari e Dop economy: i giganti del cibo non richiamano visitatori


<p>“Le <strong>località marchigiane colpite dal sisma</strong> che risultano aver <strong>perso la totalità delle strutture ricettive</strong> sono Arquata del Tronto, Cessapalombo e Visso, seguite da Ussita al 92%, Pieve Torina all’86% e Norcia al 77%, considerando che quest’ultima era la cittadina con più alto numero di strutture ricettive presenti rispetto agli altri quindici comuni del Parco.”</p>



<p>Questo si evince nel documento <em>Il sistema turistico del parco pre e post sisma</em> elaborato dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini. A seguito degli eventi sismici del 24 agosto e del 30 ottobre 2016, l&#8217;offerta ricettiva ha avuto una <strong>grave perdita di posti letto</strong> e questo si è ripercosso sul turismo di queste zone.</p>



<p>I dati elaborati dall&#8217;Istat negli anni 2015-2016, vale a dire poco prima del sisma, riportano che nel comune del Piceno più colpito, <strong>Arquata del Tronto</strong>, erano tre gli esercizi alberghieri, con 54 posti letto, &nbsp;e19 gli esercizi extra-alberghieri, con 241 posti letto. L&#8217;inagibilità delle strutture a causa del terremoto ha chiaramente portato a un crollo della disponibilità. Nel documento del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, inoltre, si affronta anche il tema dei flussi turistici.</p>



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<h2 id="h-arquata-del-tronto-un-turismo-lento-da-costruire-da-zero">Arquata del Tronto, un turismo lento da costruire da zero</h2>



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<p>Se da un lato gli eventi sismici hanno creato una frattura nel sistema turistico delle zone colpite, dall&#8217;altro proprio per questo nei territori come Arquata del Tronto si può ripartire costruendo un nuovo modo di fare turismo da zero. È il sindaco reggente di Arquata, <strong>Michele Franchi</strong>, a spiegarci che tipo di turismo intende favorire l’amministrazione.</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Sindaco-di-Arquata-Michele-Franchi.jpeg"><img width="1024" height="706" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Sindaco-di-Arquata-Michele-Franchi-1024x706.jpeg" alt="" class="wp-image-44714" /></a><figcaption>Michele Franchi, il sindaco di Arquata del Tronto</figcaption></figure>



<p>“Prima del sisma l&#8217;attività turistica si basava molto sull&#8217;<strong>ambito religioso</strong>, intercettato dalle vicine località come Cascia, quello <strong>enogastronomico</strong> di Amatrice e Norcia, e quello legato a Castelluccio, che si raggiungeva attraversando i nostri paesi durante i mesi estivi o nel periodo della fioritura. In questo periodo chiaramente abbiamo un turismo mordi e fuggi, anche perché mancano le strutture ricettive e ci sono pochissimi posti letto.”</p>



<p>“Noi però vogliamo ripartire dal <strong>turismo lento</strong>, dai percorsi naturalistici, dalle passeggiate nei sentieri; un modello nuovo che possa intercettare turisti più consapevoli, maggiormente attenti al nostro territorio, che vogliano vivere appieno la nostra storia, le nostre tradizioni, quello che offre la natura che ci circonda. Tutto nell&#8217;ottica di uno scambio reciproco tra luoghi e turisti. Questo inevitabilmente si collega a un processo di ricostruzione che possa accogliere di nuovo la storia dei nostri paesi. Inoltre vogliamo <strong>fare rete con i comuni limitrofi</strong> e creare una cooperazione ancora più forte tra territori colpiti dal sisma, ognuno con le sue peculiarità.”</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Foto-di-Arquata-Potest3.jpeg"><img width="1024" height="768" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Foto-di-Arquata-Potest3-1024x768.jpeg" alt="" class="wp-image-44675" /></a><figcaption>Il turismo dei sentieri accessibili di Arquata Potest</figcaption></figure>



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<h2 id="h-sentieri-accessibili-l-importanza-della-sosta-quando-il-turismo-lo-fa-la-storia">Sentieri accessibili, l’importanza della sosta: quando il turismo lo fa la storia</h2>



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<p>Le associazioni che lavorano affinché questa nuova idea di turismo possa realizzarsi sono <strong>Arquata Potest e Monte Vector</strong>.</p>



<p>Secondo i i volontari dell&#8217;<strong>Associazione Arquata Potest</strong>, “il turismo pre-sisma ad Arquata del Tronto si sviluppava principalmente lungo tre binari: <strong>turismo delle seconde case</strong>, stabile certezza ormai da tanti anni, basato sul ritorno, nei fine settimana o nei periodi festivi, di persone originarie del luogo, che facendo acquisti nelle attività della zona contribuivano fortemente al sostegno dell’economia locale; <strong>turismo di alta montagna</strong> in mete quali Forca di Presta, il monte Vettore, la fioritura di Castelluccio o il lago di Pilato, già molto gettonate prima del sisma, dalle quali il limitrofo territorio di Arquata traeva beneficio indiretto principalmente tramite visitatori in sosta presso le attività ristorative; <strong>turismo invernale</strong> presso la stazione sciistica di Forca Canapine.”</p>



<p>“Poco sviluppato era il turismo legato ai <strong>sentieri di media montagna</strong>, che è il tipo di turismo che Arquata Potest vorrebbe sviluppare. Una delle caratteristiche di questi percorsi, infatti, è quella di essere dei&nbsp;<strong>sentieri per tutti</strong>. Sviluppandosi in media montagna, lungo i dolci declivi dell’Appennino Centrale, possono essere percorsi da escursionisti di qualsiasi età, dai più esperti a quelli alle prime armi.”</p>



<p>“Alcune di queste mulattiere, inoltre, ripercorrono a tutti gli effetti la <strong>storia dei luoghi</strong>, sia attraverso la presenza dell’arte dei muretti a secco, sia perché permettono di scoprire autentici&nbsp;gioielli architettonici&nbsp;nascosti nella quiete di castagneti secolari: parliamo, ad esempio, della&nbsp;chiesa della Madonna della Neve&nbsp;(XV sec.) e dell’eremo della Madonna dei Santi&nbsp;(XVI sec.), testimonianze della ricchezza culturale e spirituale dell’entroterra piceno.”</p>



<p>“Anziché piangerci addosso, abbiamo pensato di puntare sul turismo legato ai cammini e ai sentieri, così come avevamo iniziato già pochi mesi prima del sisma: recuperando cioè gli antichi sentieri di collegamento tra le frazioni e realizzando così il <strong>G.A.D.A. </strong>(Grande Anello di Arquata), un percorso di 45 km a cavallo tra il Parco Nazionale dei Sibillini e quello della Laga. Al fine di valorizzare il lavoro svolto finora ci stiamo dando da fare anche per <strong>riqualificare diverse aree di sosta </strong>presenti lungo i sentieri, proprio per far sentire i viaggiatori quanto più possibile a loro agio e permettere loro, un domani, di tornare a farci visita.”</p>



<p>“Certo, la riqualificazione delle aree di sosta richiede degli <strong>importi economici più onerosi</strong>, che una piccola associazione come la nostra non può permettersi di sostenere da sola. Per superare questo divario ci stiamo muovendo in più direzioni: partecipando ai bandi, ad esempio, oppure chiedendo supporto alle istituzioni locali. I risultati ci indicano che stiamo andando nella direzione giusta, e questa per noi è la migliore benzina per portare avanti questa avventura al fine di accompagnare i nostri territori nella difficile ripartenza post-sisma. Senza perdere la speranza di rivederli bellissimi come erano prima.”</p>



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<h2 id="h-il-nostro-turista-ideale-un-alleato-pi-concreto-dello-stato-e-delle-istituzioni">“Il nostro turista ideale è un alleato più concreto dello Stato e delle istituzioni”</h2>



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<p>L&#8217;altra associazione è<strong> Monte Vector</strong>, guidata da<strong> Elena Pascolini </strong>e<strong> Stefano Cappelli</strong>, la cui sede è presso il rifugio Mezzi Litri, che prende il nome dal canale del Monte Vettore che si erge sopra di esso.</p>



<p>Quando ho chiesto a Elena che cosa voglia dire occuparsi di turismo nelle zone terremotate mi ha risposto: “Aggiungerei: <strong>zone terremotate senza vocazione turistica</strong>. Il che non significa che non abbiano attrattive sia naturalistiche che culturali di grande rilievo, ma che non hanno precedentemente investito nelle attività turistiche per varie ragioni di natura socioeconomica. Nel caso specifico di Arquata del Tronto, il turismo era rappresentato in larga parte dal ritorno alle seconde case da parte di cittadini che erano emigrati negli anni precedenti, ma che avevano mantenuto una salda radice nei luoghi che andavano a ripopolare nel corso dell’estate”.</p>



<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/allevalasperanza_mezzilitri_foto-di-Francesco-Alesi-13-1-scaled.jpg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/allevalasperanza_mezzilitri_foto-di-Francesco-Alesi-13-1-1024x683.jpg" alt="" class="wp-image-44660" /></a></figure>



<p>“La nostra associazione ha da subito indicato questa mancanza come una lacuna che avrebbe sfavorito non solo il turismo ma anche il diritto di abitare e di soggiornare da parte sia dei detentori di seconde case che di chi aveva dovuto scegliere la soluzione del C.A.S. Una situazione come quella di Castelluccio o Amatrice, seppur drammatica, non è confrontabile alla nostra perché il turismo era già la peculiarità e la leva economica delle comunità residenti. <strong>Ad Arquata si deve costruire da zero l’idea stessa di turismo</strong>. Si deve cercare di trasmettere sia ai viaggiatori che ai residenti nel territorio il senso di rispetto profondo e di collaborazione nell’offrire un prodotto che agevoli la conservazione delle tradizioni autoctone, e che addirittura le rinforzi, opponendosi a un modello consumistico che si è già dimostrato disfunzionale alle attività economiche, deturpante per il territorio e nocivo per il tessuto sociale. I nuovi modelli di sviluppo devono tener conto della conservazione del territorio e del rispetto per le persone che hanno scelto di resistere: per questa ragione ci sentiamo di contrastare con tutte le nostre forze modelli imposti dall’alto.”</p>



<p>“<strong>Il nostro turista ideale</strong> è sempre più consapevole, presente e rispettoso; è un alleato che ha sostenuto la nostra idea in modo <strong>molto più concreto rispetto allo Stato e alle istituzioni</strong>. È attento alle fragilità della terra che calpesta, cerca amicizia, dialogo e un pezzo di mondo da condividere e dove poter tornare per stare bene, e chissà, forse anche per restare. Lavorare, creare, generare nuove economie in sintonia con le precedenti e in aiuto a quelle già presenti è il motore per rigenerare la comunità, perché una comunità è fatta principalmente di scambi.”</p>



<p>Concludendo, se da un lato gli eventi sismici hanno distrutto tutto, dall&#8217;altro possono dare a territori come Arquata del Tronto <strong>la possibilità di ripartire da zero</strong> e trovare un nuovo modo di attrarre i turisti. Non soltanto un servizio di posti letto di passaggio, ma una vera e propria scoperta del territorio, con le sue peculiarità geomorfologiche, zoologiche, culturali ed enogastronomiche.</p>



<p><em>Foto di copertina: Stefano Cappelli ed Elena Pascolini nel borgo di Arquata dopo il sisma. Photo credits: Francesco Alesi</em></p>



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Arquata del Tronto dopo il sisma: il turismo che non c&#8217;era

<p><em>Slow tourism</em>, turismo lento e rurale, turismo dei cammini, rinascita dei piccoli borghi, <em>destination management</em> e <em>destination marketing</em>: questi sono gli argomenti più discussi e di moda sulle piattaforme social riguardo i temi dell’<strong>innovazione e sviluppo turistico in era COVID-19</strong>.</p>
<p>Dove è marcato il <strong>divario nello sviluppo turistico di una destinazione</strong>, più precisamente nelle piccole realtà territoriali dell’entroterra, della montagna e nei borghi – ovvero le mete meno interessate dai flussi di massa – il divario è da attribuirsi a <strong>scelte politiche fallimentari</strong> o dalla prolungata assenza di azioni da parte degli enti locali.</p>
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<h2 id="h-perch-l-italia-ha-abbandonato-l-entroterra-le-origini-delle-aree-depresse">Perché l’Italia ha abbandonato l’entroterra: le origini delle “aree depresse”</h2>
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<p>Tra le cause del mancato sviluppo turistico, economico e sociale delle aree minori c’è anche la carenza di politiche nazionali. Il conseguente progressivo <strong>spopolamento di gran parte dell’entroterra italiano</strong> va ricercato proprio qui: nella storia e nella politica.</p>
<p>Dopo la fine del secondo conflitto mondiale, con il progressivo avvento del consumismo e la ripresa industriale post ricostruzione, si è vissuta una <strong>emigrazione di massa dalle professioni rurali</strong>; un settore a cui lo Stato e le singole regioni non sono stati in grado di attribuire valore sostenibile mediante adeguati piani di sviluppo su scala nazionale, in modo più marcato al <strong>Sud</strong>. Al Nord, invece, il fenomeno di spopolamento si è vissuto meno proprio grazie a pronte politiche e programmi economico-sociali messi in atto dai vari governi regionali.</p>
<p>Si stima che l&#8217;intervento straordinario della <strong>Cassa del Mezzogiorno</strong> in quarant&#8217;anni sia costato circa 140 miliardi di euro, con un impegno medio annuale di 3,2 miliardi di euro. Mezzo punto di Pil ogni anno è stato dedicato a rincorrere la balena bianca dello sviluppo delle aree depresse nelle sei regioni meridionali, nelle isole e in alcune province del Lazio. Il miglior prodotto creato sono state le cosiddette “cattedrali nel deserto”. Lo Svimez, il più titolato centro studi meridionali, ha calcolato che dal 1951 al 2013 sono arrivati nel Mezzogiorno <strong>430 miliardi di euro</strong> in conto capitale per investimenti e infrastrutture, cioè il triplo di quanto impegnato dalla sola Cassa. Un fiume in piena di denari che ha irrigato terreni molto permeabili, sui quali però è cresciuto il nulla.</p>
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<h2 id="h-vado-a-vivere-in-un-borgo-il-sogno-post-pandemico-incontra-lo-sviluppo-turistico">Vado a vivere in un borgo: il sogno post pandemico incontra lo sviluppo turistico</h2>
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<p>Sempre a proposito di risorse sprecate, tornando a oggi, la domanda che merita attenzione è se questa <strong>pandemia</strong> rappresenti realmente un’opportunità di sviluppo per il <strong>rilancio del turismo</strong>, anche rurale, anche per i piccoli borghi e per le realtà territoriali con minore attrattiva. Su queste tematiche si è concentrato il popolo del web e i guru del management e marketing turistico.</p>
<p>“Non torneremo alla normalità, perché la normalità era il problema”<em>, </em>è la frase emblematica comparsa su un muro di Madrid a inizio pandemia. Questa crisi globale ha alienato abitudini consolidate e alimentato <strong>nuovi ideali di vita</strong>, tra i quali quello di vivere in un <strong>borgo a dimensione d’uomo</strong>. Isolati dal mondo, sì, ma non troppo, secondo gli emergenti dettami dei moderni concetti smart lifestyle e smart working.</p>
<p>Proprio da questa richiesta emergente nasce il bisogno di trovare nella comodità metropolitana, comunque organizzata di infrastrutture primarie e servizi, la comfort zone che ci si aspetterebbe di trovare a casa propria. Statisticamente, a scoraggiare chi vorrebbe vivere e lavorare in dimensioni rurali controllabili è la scoperta che una comunità coesa fatta di persone e cose non è facile da realizzare. Qui entrerebbe in gioco il ruolo dello <strong>sviluppo dell’ecosistema</strong>, che non può essere costruito con azioni disgiunte o semplicemente creando cooperative RTI di fornitura tecnologica, ma richiede transfert motivazionale e volontà autoconsapevole di cambiamento.</p>
<p><strong>Sviluppo turistico non può essere solo marketing</strong>. Quando il giudizio esperto si cala nella realtà, si scontra con l’inesperienza e con la difficoltà oggettiva di operare cambiamenti culturali prima che tecnologici. L’innovazione non può essere eterodiretta, e va applicata in condizione di mutua consapevolezza rispetto alle comunità.</p>
<p>Invece è ciò che accade comunemente nella maggior parte dei territori, in modo più marcato dove vi è carenza di un <strong>modello ideologico socialmente integrato</strong>. Questo porta a intraprendere azioni scoordinate sulla base di ciò che dall’esterno viene percepito come opportunità. Ad esempio copiare ciò che fanno altri, inclusi gli errori; accontentare singoli consulenti e aziende in nome di favori personali; oppure fare qualcosa a tutti i costi perché ci sono finanziamenti da spendere. Così, sulle realtà territoriali non è avvenuto alcun cambiamento integrativo di carattere sociale, culturale e turistico.</p>
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<h2 id="h-come-riconoscere-un-finto-esperto-di-destination-management">Come riconoscere un finto esperto di destination management</h2>
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<p>L’attenzione del problema va posta sulla <strong>scarsa o assente professionalizzazione delle figure consulenziali</strong>, sommata alla carenza manageriale degli enti locali che porta ad affrontare lo sviluppo turistico basandosi su modelli imprenditoriali.</p>
<p>La pandemia, poi, sembra aver risvegliato nel mondo dei consulenti una dimensione perduta dell’Italia, quella fatta di entroterra, storia e geografia, turismo rurale, comunità montane e piccoli borghi. In regime di stop forzato del settore turistico la necessità si è trasformata in virtù, e come per miracolo <strong>si sono moltiplicati gli esperti di turismo</strong>.</p>
<p>Troppi inglesismi, la ricerca forzata di terminologia sofisticata per atteggiarsi e per cercare di fare colpo, personal branding spinto, eccesso di personalismo o innovazione da supermercato non sono indici di serietà e professionalità di un consulente. Se si riscontrano questi comportamenti è bene essere cauti, perché possono significare che la persona ha bisogno di mettersi in mostra per lavorare o per ritagliarsi credibilità.</p>
<p>Non è sempre così, sia chiaro. I <strong>professionisti del destination management</strong> ci sono, ma si contano sulle dita di due mani, e non si misurano sulle azioni di personal branding, notorietà o esaltazione mediatica – spesso fasulla. Un valido consulente scrive poco, usa farina del suo sacco e non emerge dalle ceneri di un evento di settore in cui ha ricevuto notorietà.</p>
<p>La valutazione della capacità professionale deve essere attenta: non si dovrebbe limitare alla popolarità delle figure individuate, ma su ciò che realmente i professionisti sanno fare e hanno fatto, curriculum alla mano.</p>
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<h2 id="h-turismo-e-rinnovamento-il-ruolo-dei-destination-manager">Turismo e rinnovamento, il ruolo dei destination manager</h2>
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<p>La relazione tra <strong>redazione</strong> e <strong>attuabilità di piani strategici</strong> affidati all’ambito accademico è un altro punto debole. L’inefficacia sta proprio nel metodo, nonostante sia una prassi nella Pubblica Amministrazione: il problema è la redazione eterodiretta di strategie spesso inapplicabili o irrealistiche.</p>
<p>È rilevante anche il fattore interpretativo e di applicabilità da parte della <strong>classe politica</strong>, a cui non può essere richiesta tale capacità, né tantomeno quella di rendere sostenibili e attuabili strategie complesse, che necessitano di figure specifiche ad alta professionalità.</p>
<p>Questo porterebbe alla necessità di inserire all’interno dei comparti turistici figure come il <strong>destination manager</strong>, cioè professionisti esperti con una visione a 360 gradi dell’ambito turistico, dimestichezza nella gestione delle leve strategiche, nella conduzione di dinamiche sociali aggreganti, nell’uso di tecnologie, e con una corretta interpretazione dei bisogni di target e mercati.</p>
<p>Due territori ho scelto per rappresentare testimonianze di percorsi virtuosi di sviluppo turistico. Sono significativi perché hanno raggiunto l’obiettivo di unire i puntini su due concetti fondamentali legati all’innovazione: <strong>approccio</strong> e <strong>metodo</strong>. Due realtà geograficamente opposte: la località turistica lombarda di <strong>Livigno</strong> e <strong>Castelsaraceno</strong>, piccolo borgo di media montagna nel cuore della Basilicata. Due storie differenti da numerosi punti di vista.</p>
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<h2 id="h-quando-la-preparazione-alle-olimpiadi-salva-dal-covid-19-il-caso-di-livigno">Quando la preparazione alle Olimpiadi salva dal COVID-19: il caso di Livigno</h2>
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<p>Di Livigno ci parla <strong>Giorgio Zini</strong>, presidente dell’associazione Skipass Livigno e già presidente e DG della APT Livigno.</p>
<p>“<strong>Livigno</strong>, località di montagna lombarda al confine con la Svizzera, ha sviluppato negli ultimi vent’anni progetti che hanno cambiato radicalmente la percezione della località. Non più solo <em>duty free area</em>, ma meta di migliaia di sciatori in inverno e paradiso della mountain bike in estate, grazie ai mondiali 2005 di MTB e al contestuale sviluppo progettuale turistico collegato.”</p>
<p>“Questi risultati sono il frutto di un’intuizione del management della locale APT, supportata dall’amministrazione comunale e da qualche imprenditore privato.</p>
<p>Non era scontato che quella intuizione diventasse una chiave di successo per il turismo estivo di Livigno. La difficoltà di sviluppare una progettazione partecipata è ancora un ostacolo, e condividere un processo di sviluppo è più difficile che imporre soluzioni preconfezionate dall’alto.”</p>
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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Livigno-estiva-scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="479" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Livigno-estiva-1024x479.jpg" alt="" class="wp-image-44643" /></a><figcaption><em>Livigno durante la stagione estiva</em></figcaption></figure>
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<p>“Nella mia esperienza, ho contribuito a realizzare un impegnativo processo di sviluppo: un piano strategico di comunicazione (lato web, ma soprattutto interna e di prossimità), la sostituzione della piattaforma web con implementazione della vendita online, l’inizio di una raccolta dati profilata utile per conoscere e impostare la strategia della Skiarea, basata su bisogni e abitudini dei consumatori per orientare le scelte future.”</p>
<p>“Tra gli obiettivi a medio termine ci saranno le Olimpiadi del 2026, che vedranno Livigno tra le località italiane sede dei campi gara di questo incredibile evento che dovrà lasciare un&#8217;eredità importante alle generazioni future. Il punto di forza di quest’ultimo progetto è stato quello di aver coinvolto da subito in tavoli operativi tutte le società degli impianti di Livigno, procedendo ad avanzamenti condivisi.”</p>
<p>“Questo processo di sviluppo, partito prima dell’avvento del COVID-19, ha trovato un’immediata utilità proprio in questo periodo, consentendo agli sciatori una maggiore autonomia e sicurezza nell’acquisto e ritiro degli skipass, favorendo un maggiore rispetto e controllo delle regole di contingentamento previsto dalla normativa emergenziale.”</p>
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<h2 id="h-castelsaraceno-il-paese-che-rinasce-grazie-a-un-progetto-efficace-e-fondi-europei">Castelsaraceno, il paese che rinasce grazie a un progetto efficace e fondi europei</h2>
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<p><strong>Castelsaraceno</strong> è uno dei tanti piccoli borghi lucani. Situato a 900 metri s.l.m. e con una popolazione di circa 1.300 abitanti, è anche chiamato “il paese tra i due parchi”: si trova infatti incastonato tra il parco dell’Appennino Lucano e quello del Pollino. Di antiche tradizioni pastorali, dal dopoguerra ha subito un progressivo spopolamento a favore dell’impiego nell’industria e dell’emigrazione al Nord.</p>
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<figure class="aligncenter size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Castelsaraceno-vista-notturna--scaled.jpg"><img loading="lazy" decoding="async" width="1024" height="511" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Castelsaraceno-vista-notturna--1024x511.jpg" alt="" class="wp-image-44646" /></a><figcaption><em>Castelsaraceno, vista notturna. Credits: Pino Spagnuolo</em></figcaption></figure>
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<p>Il percorso di rinnovamento di questo borgo nasce da un percorso partecipato legato alla ricerca delle identità originarie caratterizzanti e dall’intuizione che sarebbero servite forti motivazioni per approcciare un piano di sviluppo e rinnovamento socioeconomico e culturale. Questa comunità, oggi guidata da un giovane sindaco e da una giunta virtuosi, ha costruito la motivazione necessaria attingendo a fondi europei e presentando il progetto – oggi realizzato – del ponte pedonale tibetano più lungo al mondo. Un&#8217;opera ingegneristica imponente, un punto di collegamento non solo fisico tra due parchi nazionali, ma anche di congiunzione socioculturale: oggi la popolazione si riconosce e identifica con fierezza in quest’opera, punto di giunzione tra il vecchio e il nuovo.</p>
<p>Su queste motivazioni forti, riconosciuta la necessità di avere un appoggio manageriale esperto, si è riusciti a gettare le basi per co-costruire e avviare un progetto integrato di ecosistema turistico attorno a questo macro attrattore, ma anche utilizzando il contesto territoriale con una connotazione outdoor e sport.</p>
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Paolo Borroi

Trentino, 53 anni, studi in Marketing e Organizzazione d&#8217;Impresa con expertise in turismo di destinazione. Sviluppa e gestisce ecosistemi turistici con approccio partecipativo, lavora a stretto contatto con destinazioni turistiche, ricettivo e operatori commerciali. Docente in branding, prodotto esperienziale, marketing strategico e territoriale, collabora con vari Enti di formazione per operatori turistici. Porta testimonianze nelle Università all&#8217;interno di corsi di marketing turistico. Crede nella valorizzazione del capitale umano e nell&#8217;empowering people con approccio partecipativo, per co-costruire: Team building, Management, Prodotto, Strategia, Marketplace &amp; Marketing. Si occupa della creazione e sviluppo di nuovi format congressuali, fieristici e formativi legati al turismo. Nella vita privata è anche sportivo e atleta; pratica alpinismo d&#8217;alta quota, climbing e ciclismo su strada.

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Sviluppo turistico e destination management: in Italia lo stiamo facendo male

Tutti gli errori commessi da politica, enti locali e guru del marketing turistico nel progettare e attuare lo sviluppo delle &#8220;aree depresse&#8221;.

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<p>Cos’è un <strong>albergo diffuso</strong>? Per capire, si può raggiungere un pugno di case sull&#8217;Appennino tosco-romagnolo, nella provincia di Forlì-Cesena, ai margini del Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. Siamo nella valle del Montone, lungo la strada tutta curve che, attraverso il passo del Muraglione, collega Firenze a Forlì.</p>



<p>Quel borgo con radici medievali si chiama <strong>Portico di Romagna</strong>; ha 315 abitanti e fa parte del comune sparso di Portico e San Benedetto, abitato – inclusa la terza frazione, Bocconi – da 774 persone. Proprio qui, secondo la leggenda, Dante Alighieri si sarebbe preso la celebre cotta per Beatrice Portinari, perché il padre di lei, Folco, aveva una casa estiva in paese (tuttora esiste Palazzo Portinari). Per secoli la zona è stata in territorio fiorentino, finché nel 1923 l’egocentrico Mussolini – nato nella vicina Predappio – “traslocò” l&#8217;intera area nel Forlivese: per far sgorgare la sorgente del Tevere, “il fiume sacro ai destini di Roma”, nella “sua” zona. Ma questa è un’altra storia.</p>



<p>La storia che interessa a noi racconta l’impresa che ha trasformato Portico, paesino assai grazioso ma non celebre (come tanti altri della nostra splendida Italia “minore”), in una <strong>meta turistica più nota agli stranieri che agli italiani</strong>. Infatti qui nel 2019, prima dell&#8217;emergenza COVID, hanno soggiornato – da alcuni giorni a un paio di settimane – circa undici turisti per ognuno degli abitanti: 3.560 in un anno, provenienti, oltre che dall’Italia (una minoranza), da 34 Paesi, inclusi Giappone e Nuova Zelanda. Tanto che una delegazione di albergatori giapponesi, con strutture in piccoli villaggi, è venuta qui per imparare la “ricetta”, replicata poi dalle loro parti. Ovviamente, nei fine settimana arrivano anche un po’ di italiani, inclusi molti motociclisti che amano questa strade di montagna.</p>



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<h2 id="h-all-origine-del-concetto-di-albergo-diffuso-al-vecchio-convento-a-portico">All’origine del concetto di albergo diffuso: Al vecchio convento, a Portico</h2>



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<p><strong>La ricetta del successo?</strong> Mica è segreta. Porta la firma della vulcanica famiglia di <strong>Marisa Raggi</strong>: lei (la più vulcanica di tutti), classe 1954, e il marito Gianni Cameli, del 1946; due figli, entrambi chef, Matteo e Massimiliano; quattro nipoti; Camilla e Ulla, le mogli (danesi, guarda caso capitate qui per turismo) dei figli.</p>



<p>Marisa racconta volentieri come hanno <strong>ridato vita a Portico </strong>grazie al suo<strong> albergo diffuso</strong> <a href="https://www.vecchioconvento.it/it/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Al vecchio convento</a>, con il ristorante omonimo. “Non sono mica gelosa!”, dice, ridendo, col suo bell’accento romagnolo. Gli ingredienti? Il <strong>recupero di alcune case del paese</strong> trasformate in “camere”; la capacità di <strong>mantenere vivo il borgo con suoi abitanti</strong>, la storia e le tradizioni, in modo da garantire che gli ospiti si sentano dentro una comunità vera; la cura e la tutela dei <strong>prodotti e sapori locali</strong>; l’amore per la propria terra.</p>



<p>Tutto è partito da un primo ristorante in via Roma, quella centrale. Marisa e Gianni l’hanno inaugurato da giovanissimi, nel giorno di Pasqua del 1975: erano ragazzi (lei del posto, lui dei paraggi) appena sposati, tornati in paese dopo un anno di lavoro nello smog di Milano (“Ho visto che cadeva la neve grigia e ho detto a Gianni: dai, torniamo a casa”, ricorda lei).</p>



<p>Il ristorante è stato affiancato – nel giro di otto anni – dall’hotel, recuperando un convento in disuso; poi, con altre stanze nel paese, è nato l’albergo diffuso. Insomma, questa simpatica coppia è stata una pioniera e ora, con lo stesso ottimismo di allora, affronta questo periodo non facile in vista del rilancio.</p>



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<h2 id="h-il-successo-del-modello-nel-disinteresse-di-stato-e-regioni">Il successo del modello nel disinteresse di Stato e regioni</h2>



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<p>Il loro successo lo riconosce pure <strong>Giancarlo Dall’Ara</strong>, docente di marketing turistico, che nel 1998 ha lanciato il modello “albergo diffuso”, oggi adottato in altri cinque Paesi europei più il Giappone, e imitato in decine di altri. È presidente e fondatore dell’<a href="https://www.alberghidiffusi.it/" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Associazione nazionale Alberghi Diffusi</a> (ADI): “<strong>Noi stiamo dentro i paesi</strong>, in mezzo alla gente”, spiega. “Siamo un po’ casa, un po’ albergo. Gli alberghi diffusi spingono al recupero e all&#8217;utilizzo di vecchie case che altrimenti rischiano l’abbandono. In una c’è la reception, in un’altra il servizio ristorante-bar. Nelle altre gli alloggi. Si sviluppano in <strong>modo orizzontale</strong>. Per funzionare hanno bisogno di una comunità vera attorno. Tutta un’altra cosa rispetto agli hotel che chiamo verticali, distaccati dal resto”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/GIancarlo-DallAra-1.png"><img width="871" height="1024" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/GIancarlo-DallAra-1-871x1024.png" alt="" class="wp-image-44665" /></a><figcaption>Giancarlo Dall&#8217;Ara, Presidente ADI (Associazione Nazionale Alberghi Diffusi)</figcaption></figure>



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<p>Una formula così indovinata da avere le risorse per riprendersi dai lockdown: “<strong>È un tipo di hotel perfetto per il dopo-COVID</strong>, perché garantisce anche più sicurezza e tranquillità. Insomma, è un modello per il futuro. Nove alberghi su dieci sono aperti sempre. Piacciono agli stranieri, più della metà della clientela”.</p>



<p>Che cosa accadrà dopo l’emergenza sanitaria, con le sue ricadute economiche? Dice Dall’Ara: “Il COVID-19 ha interrotto una lunga serie di anni di crescita. Oggi <strong>in Italia gli alberghi diffusi</strong> che rispettano gli standard fissati dall’associazione sono <strong>circa 140</strong>; un altro centinaio si avvicina al modello. Proprio per le loro caratteristiche <strong>possono riprendersi bene</strong>. Certo, gli enti pubblici e lo Stato dovrebbero accorgersi di noi”.</p>



<p>In che senso? “Gli alberghi diffusi hanno ricevuto <strong>pochissimi ristori</strong>. Però non vogliono fondi pubblici. Se ci sono, meglio. Tuttavia chi li gestisce è abituato a contare su se stesso: tanto che nel 2020 una decina di hotel è stata ampliata. Semmai vorrebbero essere <strong>riconosciuti dalle regioni</strong>, delegate al settore del turismo, con regole uniformi”.</p>



<p>Invece che cosa succede? “<strong>Solo due regioni</strong> hanno realizzato una <strong>guida dedicata al settore</strong>. Altre ci ignorano, o hanno regole assurde. In Puglia, per esempio, sono stati definiti alberghi diffusi pure i centri di accoglienza per migranti. In Friuli-Venezia Giulia un albergo diffuso può comprendere case sparpagliate in più comuni, in un raggio di parecchi chilometri. Abbiamo chiesto ai governi di invitare le regioni a uniformare le norme. Nessuna risposta, con contraccolpi anche nelle piccole realtà locali”.</p>



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<h2 id="h-la-ricetta-degli-alberghi-diffusi-come-e-perch-funzionano">La ricetta degli alberghi diffusi: come e perché funzionano?</h2>



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<p>Marisa Raggi, al timone di un hotel associato all’ADI dal 2007, è d’accordo: “Qui a livello regionale si propaganda solo la Riviera adriatica, <strong>come se in Emilia-Romagna non esistesse l’Appennino</strong> e ci fossero soltanto bagnini. Ma va’ là! Qui in paese i depliant per illustrare le bellezze del territorio ho dovuto farli a nostre spese, con l’aiuto di storici locali; altrimenti, campa cavallo. Serve solo l’accoglienza, la cosa più banale, ma non c’è”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/AL-VECCHIO-CONVENTO-.jpg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/AL-VECCHIO-CONVENTO--1024x683.jpg" alt="" class="wp-image-44669" /></a><figcaption><em>Marisa Raggi, Al Vecchio Convento</em></figcaption></figure>



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<p>Lei però ci sa fare. Può accogliere fino a una quarantina di ospiti. Il cuore di tutto è l’<strong>ex convento </strong>settecentesco affacciato sulla valle, col ristorante che propone piatti della tradizione, più o meno rivisitati dai figli chef, e una ricca enoteca. Qui si può trovare un gruppo di giapponesi che chiacchiera con una comitiva di signore neozelandesi o americane; magari mentre un gruppo di danesi si prepara a frequentare un corso di ballo.</p>



<p>“<strong>Abbiamo differenziato la nostra offerta</strong>. Per esempio, da ventun anni promuoviamo una <strong>piccola scuola di lingua italiana</strong>, ospitata nella canonica, e collaboriamo all’estero con gli Istituti italiani di Cultura e le associazioni Dante Alighieri. Gli studenti frequentano i corsi di mattina e al pomeriggio possono svolgere varie attività, le stesse che offriamo agli altri”.</p>



<p>Quali? “<strong>Corsi di pittura o ceramica</strong>, gestiti da un artista, Marco Raggi, e da una ceramista, Lucia Gennaretti, residenti in paese. Poi i <strong>corsi di cucina</strong>: alla fine diamo anche un diplomino. Gli stranieri ci vanno matti. Insegniamo, per esempio, a preparare la pasta fatta a mano o il pane e la pizza, cotti nel forno a legna. Poi ecco la <strong>raccolta di funghi nei boschi</strong> e quella di <strong>verdure</strong> negli orti. Matteo e il suo babbo portano gli ospiti a tartufo sulle colline, con i nostri cani lagotti. Proponiamo anche visite guidate alle cantine, degustazioni, incluse quelle in via Roma con cuochi di tutto il mondo, escursioni nelle città vicine – come Ravenna o Faenza, fino a Bologna – e nel parco”.</p>



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<figure class="wp-block-image size-large"><a href="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Albergo_Diffuso_2018__023.jpg"><img width="1024" height="683" src="https://www.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Albergo_Diffuso_2018__023-1024x683.jpg" alt="" class="wp-image-44670" /></a></figure>



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<p>Insomma, funziona benissimo, quando non c’è il COVID-19. “Ma funziona, eccome! Alla vigilia del disastro <strong>avevo tutto il 2020 prenotato</strong> da marzo a novembre. Se ci penso&#8230;”.</p>



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<h2 id="h-ristori-esigui-credito-negato-ma-si-va-avanti-e-l-albergo-diffuso-fa-scuola-in-tutto-il-mondo">Ristori esigui, credito negato, “ma si va avanti”. E l’albergo diffuso fa scuola in tutto il mondo</h2>



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<p>Insomma, Marisa non si ferma. Certo, un po’ più di <strong>sostegno pubblico</strong> non guasterebbe. Nel 2020 lo Stato ha risarcito <strong>20.000 euro</strong>, una minuscola parte del loro fatturato perduto. Nel 2021 ancora niente. Ci sono pure sei dipendenti – alcuni sono ex migranti – in cassa integrazione (“I soldi li anticipo io perché i tempi li conosciamo”, dice). A dire il vero, ha chiesto un <strong>prestito di 30.000 euro a una banca</strong>. “Sapete che cosa mi hanno detto? Che, nell’anno del COVID-19, hanno ricevuto l’ordine di <strong>non finanziare le attività in perdita</strong>”. Quindi? “Beh, le banche facevano così anche cinquant’anni fa, quando abbiamo iniziato. Mica mi perdo d’animo, si va avanti”.</p>



<p>C’è da crederci. Infatti nel frattempo la famiglia di Marisa ha recuperato un piccolo, antico mulino lungo il fiume, dove macina farine della zona per vendere il pane in un paese poco più sotto. Hanno realizzato una biblioteca con ingresso libero nell’ex negozio del fabbro, dove sono raccolti tantissimi libri in varie lingue, donati dalla gente del posto e dai turisti (si possono portare a casa, tanto ne arrivano altri in continuazione).</p>



<p>Il figlio Massimiliano ha inaugurato con la moglie l’Osteria Caffè del Vecchio convento, con spaccio, in Danimarca, a Odder, sfidando la pandemia. E fanno proseliti: a Koshigaya, non lontano da Tokyo, una ragazza giapponese che ha imparato a cucinare a Portico gestisce il Vecchio conventino. “Portiamo il Vecchio convento nel mondo”, aggiunge Marisa. “Però io non faccio mica niente di eccezionale, eh. <strong>Faccio solo amare alla gente quello che amo io</strong>. Perché Portico è un paese come mille altri, ma ti fa sentire a casa!”.</p>



<p>Dice poco, di questi tempi.</p>



<p></p>



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<p><em>Foto di copertina: Campagnatico, Maremma. Credits: www.alberghidiffusi.it</em></p>



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Giancarlo Dall&#8217;Ara, Associazione Nazionale Alberghi Diffusi: &#8220;Il nostro è un turismo orizzontale, non verticale come gli hotel&#8221;


<p>La prossima o nuova normalità del <strong>turismo in Puglia</strong> è sintetizzabile in un acronimo: <strong>C.I.S. </strong>È il <strong>Codice Identificativo di Struttura</strong>, la cui adozione è diventata obbligatoria, per scelta del Consiglio regionale, a marzo del 2020 con il preciso intento di <strong>contrastare l&#8217;abusivismo</strong> dilagante nel settore della <strong>ricettività extralberghiera</strong>, quello dimostratosi più dinamico in termini di crescita e più vocato alla rinascita post pandemica.</p>



<p>È stato grazie a questa decisione che le strutture monitorate e “identificate” sono arrivate a superare le 22.000 unità, il triplo di quelle – 7.950 con poco più di 284.000 posti letto – inserite nel sistema SPOT per la segnalazione di arrivi, partenze e permanenze. La conseguenza, non ancora verificata quantitativamente dalla Regione Puglia eppure percepita dagli operatori, è un <strong>taglio netto agli abusi</strong> rilevati statisticamente nel 2016 e che indicavano gli arrivi effettivi in Puglia di 5,16 viaggiatori per ognuno di quelli censiti.</p>



<p>“<strong>Un problema serissimo</strong>”, rileva <strong>Patrizia Migailo</strong>, imprenditrice di Polignano a Mare e portavoce dell&#8217;Associazione Extralberghiero Puglia, in cui si radica anche “la diffusione del <strong>lavoro nero e grigio</strong>”, gli fanno eco dalla FILCAMS-CGIL di Capitanata.</p>



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<h2 id="h-puglia-se-un-turista-ne-vale-cinque-la-diffusione-delle-strutture-ricettive-abusive">Puglia, se un turista ne vale cinque. La diffusione delle strutture ricettive abusive</h2>



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<p>A comprendere la serietà e il valore di questo problema ci aiutano i dati delle ultime stagioni pre COVID.</p>



<p>Nel 2019, appunto, sono arrivati in Puglia <strong>4,2 milioni di viaggiatori</strong> (+4% rispetto al 2018) che hanno generato 15,5 milioni di giorni di presenza (+2% sul 2018, con una permanenza media pari a 3,7 giorni). Assai significativo <strong>l&#8217;incremento dell&#8217;incoming internazionale</strong>: +60% dal 2015 al 2019 e +44% dei pernottamenti (fonte: Pugliapromozione / Regione Puglia).</p>



<p>Incrociando le rilevazioni, le proiezioni dell&#8217;Università di Venezia Ca&#8217; Foscari e dell&#8217;istituto Intesa San Paolo emerge che il <strong>turismo</strong> pesa per la Puglia <strong>8,915 miliardi in valore aggiunto</strong>, pari al 4,3% del valore aggiunto regionale (3,9% media Italia), e occupa 135.000 unità in 52.000 imprese della filiera turistica, ossia il <strong>10,9% dei lavoratori pugliesi</strong> (dati del 2018). E in aree del Salento e del Gargano queste percentuali possono raddoppiarsi o triplicarsi.</p>



<p>La <strong>pandemia</strong>, ha stimato Intesa San Paolo, ha provocato nel 2020 il <strong>crollo della domanda turistica di oltre il 43%</strong> (-52,4% dato nazionale), soprattutto a causa della scomparsa di turisti stranieri: -70,2%. Il fatturato del comparto quindi si è quasi dimezzato, e ha prodotto un impatto negativo sul Pil regionale dello 0,66% (Italia -1,48%).</p>



<p>Ora, tornando all&#8217;abusivismo e adottando il moltiplicatore del 2016, dobbiamo dedurre che i <strong>viaggiatori presenti in Puglia nel</strong> 2019 fossero <strong>più di 16 milioni</strong>. Per intenderci: un quarto dell&#8217;intera popolazione italiana. Non tutti, ovviamente, sono da considerarsi veri e propri turisti; la gran parte lo è senz&#8217;altro e resta da capire dove abbia alloggiato.</p>



<p>“È accaduto che molti, troppi abbiano pensato che <strong>bastasse essere proprietari di una casa in un luogo turistico</strong> per diventare gestori di una <strong>struttura ricettiva</strong>”, commenta Patrizia Migailo, “mentre organizzare e fare accoglienza è tutt&#8217;altra cosa”.</p>



<p>Ignoranza e leggerezza indirettamente sostenute dagli <strong>enti erogatori di finanziamenti</strong> – Regione Puglia, Gruppi di Azione Locale, Invitalia ecc. – che “hanno <strong>favorito la diffusione</strong> di piccoli e piccolissimi bed &amp; breakfast poco o per nulla monitorati”, aggiungono dalla FILCAMS foggiana, “in cui si arriva all&#8217;<strong>evasione totale </strong>degli obblighi relativi al lavoro e al fisco”.</p>



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<h2 id="h-turismo-in-puglia-la-ripartenza-all-insegna-della-personalizzazione">Turismo, in Puglia la ripartenza è all’insegna della personalizzazione</h2>



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<p>Come troppo spesso accade, un&#8217;opportunità di crescita e sviluppo produce anche le scorie tipiche dell&#8217;economia illegale.</p>



<p>E si torna al <strong>Codice Identificativo di Struttura</strong>, ultima evoluzione di una normativa che già nel 2013 ha trasformato i bed &amp; breakfast in imprese a tutti gli effetti e ha introdotto, nel 2018, l&#8217;obbligo della partita Iva anche per gli affittacamere. “L&#8217;obiettivo assolutamente condivisibile è far emergere e rendere riconoscibile l&#8217;intero universo dell&#8217;accoglienza”, afferma Patrizia Migailo, per favorire “maggiore consapevolezza delle opportunità” offerte proprio a questo segmento della filiera turistica.</p>



<p>L&#8217;<strong>Associazione Extralberghiero Puglia</strong>, non per caso, nasce all&#8217;inizio del 2021 aggregando 235 imprese che gestiscono circa 3.000 posti letto praticamente in ogni zona turistica della Puglia a eccezione del Gargano; lacuna che sarà prestissimo colmata con “l&#8217;adesione di un&#8217;associazione di imprenditori di Vieste”.</p>



<p>A fare da collante è stata la necessità di far rilevare alla Regione Puglia le <strong>peculiarità di queste strutture rispetto a quelle alberghiere</strong> al momento della definizione dei protocolli di sicurezza e sanificazione. “La gran parte di noi opera nei <strong>centri storici</strong>, riqualificati e rivitalizzati anche grazie alla nostra presenza – spiega Migailo – per cui ci risulta davvero impossibile rispettare le prescrizioni previste per alberghi o villaggi con centinaia di camere, enormi spazi comuni e rotazioni scaglionate”.</p>



<p>L&#8217;interlocuzione con i decisori politici ha favorito l&#8217;aggregazione degli operatori e rafforzato in loro il concetto di <strong>personalizzazione dell&#8217;accoglienza</strong>: “Abbiamo incrementato i fattori di autenticità, assecondando la domanda di sicurezza e fondando la nostra ‘nuova normalità’ sulla maggiore qualità dei servizi tanto all&#8217;interno delle strutture quanto nell&#8217;organizzazione delle esperienze di conoscenza del territorio”.</p>



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<h2 id="h-la-crisi-del-comparto-turistico-pugliese-migliaia-di-lavoratori-a-rischio-licenziamento">La crisi del comparto turistico pugliese: migliaia di lavoratori a rischio licenziamento</h2>



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<p>Proprio i <strong>B&amp;B</strong> sembrano essere i luoghi ideali per accogliere i viaggiatori interessati a mete, attività e date alternative a quelle offerte dalla filiera della balneazione, più affollata e meno attrattiva in costanza di pandemia. Sono strutture “più sostenibili sotto ogni profilo” e dotate della flessibilità operativa necessaria a soddisfare richieste individuali. A partire dalla voglia di viaggiare &#8216;fuori stagione&#8217;: &#8220;noi siamo fermi, mediamente, 4 mesi all&#8217;anno e dobbiamo puntare a ridurre questo periodo continuando ad investire nella destagionalizzazione e nella formazione&#8221;.</p>



<p>Su questo punto, la convergenza con chi rappresenta i lavoratori è totale: “Sono necessari maggiori <strong>investimenti nella formazione</strong> e programmi formativi allineati alle esigenze emerse lo scorso anno a causa della pandemia, a partire dall&#8217;<strong>alfabetizzazione digitale</strong>”,commentano alla FILCAMS-CGIL di Capitanata, “altrimenti si rischia di tagliare fuori un numero consistente di lavoratori oggi in cassa integrazione e fortemente a rischio di espulsione dal mercato del lavoro non appena terminerà il blocco dei licenziamenti”.</p>



<p>Già la varietà delle figure contrattuali ha provocato non pochi problemi ai lavoratori collocati in cassa integrazione (“Alcune categorie hanno percepito anche meno del 50% della retribuzione e non l&#8217;80% come avrebbe dovuto essere”); ora si teme la <strong>chiusura di centinaia d&#8217;imprese della filiera</strong>, in particolare nel settore della ristorazione, e il <strong>licenziamento o la non assunzione di migliaia di lavoratori</strong>.</p>



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<h2 id="h-il-rilancio-esiste-solo-fuori-dall-abusivismo">Il rilancio? Esiste solo fuori dall’abusivismo</h2>



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<p>Come evitarlo? Risolvendo i “<strong>problemi normativi esistenti a livello regionale</strong> che impediscono l&#8217;attivazione dei veri e propri <strong>alberghi diffusi</strong>”, indica Patrizia Migailo, “che hanno un&#8217;enorme potenzialità in termini di accoglienza e occupazione”, oltre a contribuire alla riqualificazione di borghi e quartieri storici ormai abbandonati catalizzando investimenti anche in termini di servizi alla popolazione residente. E continuando a <strong>contrastare l&#8217;abusivismo</strong> utilizzando il C.I.S. L&#8217;AEP ha già proposto di “apporlo sull&#8217;insegna della struttura e su tutto il materiale promozionale per comunicare immediatamente al turista che si tratta di un luogo in cui si offre un&#8217;accoglienza professionale ed evitargli brutte esperienze che si traducono in pubblicità negativa per noi tutti&#8221;.</p>



<p>La FILCAMS foggiana arriva a ipotizzare un <strong>accordo</strong>, promosso dalla Regione Puglia, con le <strong>grandi piattaforme di vendita online</strong>: “A maggior ragione, ora che si devono rispettare i protocolli sanitari anti COVID, dovrebbero richiedere alle strutture di pubblicare il codice identificativo per garantire la loro regolarità”.</p>



<p>Il turismo affronta una fase molto delicata, in cui conta molto il <strong>rapporto fiduciario</strong> tra chi viaggia e chi accoglie i viaggiatori; per cui, oggi più che in passato, “<strong>non possiamo permetterci i rischi connessi alla liberalizzazione selvaggia</strong>”.</p>



<p><em>Foto di copertina: credits Lamiapuglia</em>.com</p>



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Puglia: abusivismo non può far rima con turismo

<p>Per la statistica, io sono tra quelli che dalle Marche se ne sono andati.</p>
<p>Sarà anche per questo che mi è scorso un brivido quando ho ricevuto la cartella stampa del progetto di <strong>Piero Massimo Macchini</strong> e <strong>Mattia Toccaceli</strong> perché, almeno io, le Marche le ho lasciate per la loro fatica di aprirsi all’esterno e per la resistenza endemica a far entrare aria nuova senza farne un dramma. Macchini e Toccaceli sono una coppia nuova – comico di lunga data il primo e regista, autore e marketing manager il secondo: sono al primo grande lavoro insieme, scritto e pensato anche con <strong>Matteo Berdini</strong>.</p>
<p>“Visitare le Marche ti lascerà a bocca aperta” è la promessa che lanciano i due protagonisti della web serie <strong><em>Come accogliere un…</em></strong><em>, </em>prodotta da Marche Tube e Associazione Lagrù, disponibile su YouTube dal 6 maggio. Dodici puntate, ogni giovedì alle 14, sviluppate su tre diverse formule che ricalcano le logiche vincenti del web: i motori di ricerca, i tutorial, le interviste. Marche Tube è nato nel 2012, sempre in crescita, e oggi può dire di avere un pubblico reale e non fittizio su tutti i canali social da LinkedIn a Tik Tok, da <a href="https://www.facebook.com/marchetube/videos/953686365460613" target="_blank" rel="noreferrer noopener nofollow">Facebook</a> a Instagram.</p>
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https://www.facebook.com/marchetube/videos/953686365460613
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<p>Il progetto invoca finalmente un turismo misto a cultura mista a capacità di relazione e di accoglienza, su cui c’è ancora tanto da lavorare.</p>
<p><em>Come accogliere un…</em> è la <strong>provocazione</strong> di Macchini e Toccaceli, che attraverso la comicità <strong>sfidano i canoni promozionali della Regione Marche</strong>, che per la stagione turistica 2021 ha invece scelto il CT della Nazionale di calcio <strong>Roberto Mancini</strong> con il messaggio “Pronti per una nuova stagione”: le solite frasi, la metafora sfilacciata della scesa in campo, gli scorci suggestivi che l’allenatore attraversa come se non fossimo ormai tutti stanchi di vedere la finzione di certe riprese e la noia di un progetto che somiglia fin troppo al passato. Tanto più in una stagione epocale come il 2021.</p>
<p>Mi aspetto già di sentire l’ironia di Macchini, “le vere Marche sono queste dei tutorial su come imparare ad accogliere i turisti, altro che Mancini”; e chissà che vantaggio di pubblico macinerà il suo progetto tramite il web facendo comunque sponda allo spot istituzionale della Regione Marche.</p>
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<h2 id="h-piero-massimo-macchini-i-marchigiani-si-vergognavano-di-esserlo-adesso-non-si-riconoscono-pi-nei-messaggi-della-regione">Piero Massimo Macchini: “I marchigiani si vergognavano di esserlo. Adesso non si riconoscono più nei messaggi della regione”</h2>
<p>“’<em>Spetta che me ‘ccenno ‘na sigaretta e me finisco lu caffè</em>”, mi dice <strong>Piero Massimo Macchini</strong> appena risponde al telefono per l’intervista. La voce calda, la cadenza fermana. Di lui si dice che abbia creato una maschera nuova della commedia dell’arte legata alla figura del marchigiano e di questo ne va fiero, e fa bene, perché ha scelto fin dal primo momento di non scadere mai nella macchietta: “<strong>Ho sempre cercato l’essenza dei marchigiani</strong>, sono tanti anni ormai che parlo di loro perché trovo nella provincia italiana tanta più bellezza che nelle grandi città dove ho spesso vissuto”.</p>
<p>Della comicità non ha mai fatto parodia e anche stavolta, alle prese con un progetto di carattere turistico e culturale provocatorio e moderno, non ne ha voluto sapere di andare a vincere facile.</p>
<p>La conferma? Il rapporto con la Regione Marche intesa come istituzione, come palazzo, come la <strong>scelta dei progetti</strong> su cui l’ente mette o non mette la sua firma. “<strong>Alla fine ci hanno dato un contributo di 15.000 euro</strong> per il progetto, ma hanno scelto la linea dello spot ufficiale con Mancini, e noi a questo punto siamo forse più liberi di promuoverlo da soli, di essere incisivi e parlare ai marchigiani dei loro punti deboli senza chissà quali remore”.</p>
<p>Macchini mi ripete che è finito il tempo del turismo inteso come <em>cartolina Marche</em>, come promozione della sola immagine bidimensionale che disperde l’essenza vera. “A chi viene da noi non si può più offrire solo di vedere i luoghi, le colline, le città medievali, il mare o la montagna: il turismo è ormai un viaggiare anche per conoscere e incontrare persone e stringere relazioni. Ora che finalmente alle Marche è stata riconosciuta la sua forza turistica, è urgente cambiare marcia e accelerare il passo verso una cultura dell’accoglienza che da noi non è affatto innata, tutt’altro. <strong>Il marchigiano è refrattario a promuovere le Marche</strong> e in primo luogo sé stesso, e soprattutto tende da sempre a chiudersi per paura che i suoi gioielli turistici vengano rubati. Un atteggiamento simile non basta più perché le dimensioni del viaggiare si sono ingigantite e rese globali, e il web è lo spazio in cui si affermano e si sdoganano le identità”.</p>
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<p><strong>A guardare però le politiche di comunicazione della Regione Marche sembra che vincano ancora i vecchi modelli coi testimonial, e gli spot polverosi come venti anni fa. La paura di mostrarsi realmente per come si è finisce per appoggiarsi alla notorietà degli altri?</strong><strong></strong></p>
<p>Proprio così: c’è una fetta di marchigiani che non si riconosce più nella logica e nel messaggio regionale e questa spinta è arrivata soprattutto dal basso, soprattutto dalle province di Fermo e Macerata. Questa è una terra in cui siamo abituati ad abbassare la testa davanti al lavorare sodo, ed è un pregio, ma è anche una terra in cui si è sempre abbassata la testa a partire dallo Stato Pontificio in poi. Il turismo è una cosa seria, e stavolta non lo dico da comico, ma la politica pensa ancora che per far emergere il proprio territorio e la propria cultura serva ricorrere a figure di rilievo nazionale o internazionale, come il progetto con Dustin Hoffman, che avevo trovato aberrante. E si continua ancora così, nel 2021, a quanto pare.<strong></strong></p>
<p><strong>I marchigiani si vergognano ancora di essere marchigiani. Perché?</strong><strong></strong></p>
<p>Viene da un retaggio del campo, un retaggio contadino. Adesso per fortuna la campagna è diventata un valore aggiunto: per la nostra fedeltà alla terra è il momento di non avere più timore di dire che siamo marchigiani.</p>
<p><strong>Il progetto <em>Come accogliere un…</em> va dritto al cuore del problema. Assodato che le Marche sono amate dai turisti, ora serve che i marchigiani si mostrino accoglienti. Da dove siete partiti per lanciare il messaggio?</strong><strong></strong></p>
<p>Parlo per me e per il ruolo che ho nella web serie. Interpreto un provincialotto che ha idee e modelli limitati: il comico deve uscire sconfitto altrimenti non fa ridere, è nel suo destino e nel suo patto col pubblico. Grazie all’incontro con il nerd super tecnologico nasceranno poi le vere scintille di comicità e di buona provocazione per i marchigiani.</p>
<p><strong>Nei tutorial spiegate ai marchigiani come comportarsi all’arrivo di milanesi, napoletani e altri ancora. </strong><strong></strong></p>
<p>Abbiamo giocato sui loro stereotipi, ma non c’è niente di denigratorio coi luoghi comuni utilizzati; anzi. Bisognava spiegare al marchigiano che se il milanese va di corsa anche quando è in ferie, è inutile proporgli la passeggiata lenta alla Madonna dell’Ambro.</p>
<p><strong>Il progetto prova a insegnare qualcosa anche nell’accoglienza degli stranieri? </strong><strong></strong></p>
<p>Olandesi, tedeschi, quanti stranieri nelle Marche. Sperando che questa serie funzioni, ci auguriamo arrivino altri fondi per parlare anche di loro.</p>
<p><strong>A quali compromessi deve scendere un comico?</strong><strong></strong></p>
<p>Il primo è con lo Stato, per il quale sei quasi invisibile da un punto di vista fiscale; sei sempre incasellato dentro qualche categoria o codice che non ti corrisponde. Ma il compromesso più grande, e forse è anche quello più gratificante, lo fai lavorando sulla sensibilità di chi hai davanti, cioè del pubblico che di volta in volta incroci: un conto è lo spettatore che paga un biglietto per un tuo spettacolo e tu sai che è disposto ad accettare quello che hai preparato; altra cosa è fare uno spettacolo all’aperto, in una piazza, con l’incognita di dover parlare di sesso o di politica davanti a un pubblico che può andare dal bambino alla persona anziana. In quest’ultimo caso serve grande prontezza, ma soprattutto un enorme bagaglio culturale, umano e psicologico per fare il nostro mestiere. Fare il comico tira in ballo i più alti livelli di sensibilità e se non ce li hai non puoi farlo: ne ho sempre conferma quando faccio i miei spettacoli internazionali all’estero e mi metto sul palco per far ridere il pubblico, spesso senza nemmeno parlare. Vorrei che anche il turismo scoprisse certe corde e iniziasse a parlare attraverso le persone, e non più solo tramite le immagini da cartolina.</p>
<p><em>Foto di copertina: Mattia Toccaceli, sulla sinistra, e Piero Massimo Macchini in un estratto da &#8220;Come accogliere un&#8230;&#8221;. Credits Marche Tube</em></p>
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Piero Massimo Macchini: &#8220;Basta col turismo cartolina. E i marchigiani devono imparare ad accogliere&#8221;

Un comico e un regista danno origine a una web serie sulle Marche più efficace della comunicazione ufficiale della regione. Piero Massimo Macchini racconta a SenzaFiltro il progetto di &#8220;Come accogliere un&#8230;&#8221;

Piero Massimo Macchini: &#8220;Basta col turismo cartolina. E i marchigiani devono imparare ad accogliere&#8221; - Informazione senza filtro

https://backend.informazionesenzafiltro.it/wp-content/uploads/2021/05/Visitare-le-Marche-vi-lascera-a-bocca-aperta.png


<p></p>



<p>In vista del <strong>rinnovo delle graduatorie scolastiche</strong>, con la novità dell&#8217;istituzione di quelle provinciali, nei mesi scorsi si è consumata la corsa ad acquisire titoli, in modo da avere punti preziosi e scalare posizioni nella classifica da cui viene attinto il personale che dovrà lavorare nel mondo della scuola: coprire cattedre di ruolo vuote da anni, con i <strong>duecentomila precari</strong> della scuola italiana che vivono giornate di attesa per sapere quale sarà il loro destino.</p>



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<h2>Docenti in cerca di cattedre: è corsa ai titoli per avere un posto in graduatoria</h2>



<p>L&#8217;esercito di circa <strong>850.000 docenti</strong> della scuola italiana in questi primi giorni di avvio dell&#8217;anno scolastico non è completo: <strong>solo a Milano e provincia ne mancano 5.100</strong>, una cattedra su cinque, e questo in Lombardia, la regione con il più elevato numero di scuole e studenti in Italia, che dunque richiede più insegnanti.</p>



<p>Puntuale come l&#8217;inizio di ogni anno scolastico, si consuma il valzer delle <strong>nomine</strong>: nell&#8217;anno scolastico 2019/2020 i contratti di docenti a tempo determinato sono stati 109.195 secondo il ministero dell&#8217;Istruzione, ben 187.000 secondo i sindacati.</p>



<p>Nonostante le domande per essere inseriti nelle <strong>graduatorie per le supplenze</strong> (GPS) siano scadute lo scorso 6 agosto, originando una riserva di circa 200.000 posti a cui attingere, il caos non è ancora terminato. <strong>Piovono ricorsi</strong>, nella mole di circa 753.000 domande inserite nel sistema che denunciano la voglia di avere un posto da insegnante, perché a partire dai problemi del sistema informatico che ha supportato l&#8217;inserimento telematico delle domande, il <strong>cambio in corsa di metodologia</strong> ha comportato problemi.</p>



<p>C&#8217;è chi ha speso soldi e tempo per posizionarsi in modo migliore, chi ha lottato contro il blocco da lockdown e il tempo sborsando 500 euro per acquisire i famosi 24 crediti formativi universitari in materie pedagogiche (che molti non hanno potuto inserire nel loro piano di studi) e ancora non è riuscito a vedere dopo mesi la certificazione degli esami sostenuti. Si possono spendere <strong>da 500 fino a 1.800 euro</strong> per <strong>corsi online</strong>, erogati da una pluralità di università o agenzie di formazione telematiche, per ottenere uno o due punti in più in graduatoria e sperare così di insegnare; nel migliore dei casi per una supplenza annuale, in altri per ottenere un titolo di perfezionamento nell&#8217;insegnamento della classe di concorso di competenza.</p>



<p>Ci sono <strong>classi di concorso</strong> “<strong>sovraffollate</strong>” come la A018 (Filosofia e scienze umane), su cui convergono i laureati di numerose facoltà umanistiche, o la A065 (Teoria e tecnica della comunicazione), in cui insegnare è un vero e proprio miraggio: basti pensare che nel concorso ordinario per docenti appena indetto sono state messe a bando solo due cattedre in tutta Italia.</p>



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<h2>Il caos delle nuove graduatorie provinciali</h2>



<p><strong>L&#8217;innovazione delle GPS</strong> voluta dal <strong>ministro Lucia Azzolina</strong> si sta rivelando un&#8217;arma a doppio taglio. Spiega <strong>Monica Manfredini</strong>, segretaria regionale della CISL Scuola Lombardia, una delle regioni in cui i problemi sono più accentuati: “Le graduatorie provinciali sono in qualche modo <strong>un ritorno all&#8217;antico</strong>; prima che fossero istituite le graduatorie di istituto esisteva la possibilità di fare delle convocazioni a livello provinciale. Sono anni che i cosiddetti precari non abilitati si rivolgono a clienti che dicono loro quali sono i loro punteggi e i loro titoli, e poi le scuole danno loro la possibilità di attingere singolarmente a queste graduatorie”.</p>



<p>“La situazione non era facile prima, ed è stata resa ancora più complicata per una decisione presa nonostante le organizzazioni sindacali avessero fatto presente che <strong>esistevano graduatorie di istituto valide</strong> che si rinnovano ogni tre anni, per cui si poteva pensare a un&#8217;innovazione, ma questo non era l&#8217;anno da scegliere: si sarebbe potuto far terminare l&#8217;anno, e poi pensare a un&#8217;altra graduatoria. Si è deciso di cambiare con delle graduatorie già valide, con tempi stringenti e a ridosso concreto dell&#8217;inizio delle scuole.”</p>



<p>“Lo si è fatto con questa procedura e un programma che non era testato: i miei colleghi sindacalisti, che hanno aiutato coloro che hanno presentato domanda, hanno constatato problemi di inserimento. La presentazione delle domande è stata un caos. Poi i risultati finali sono stati questi: <strong>domande sbagliate</strong>, titoli immessi in un posto anziché in un altro, in alcuni casi riconosciuti e in altri no, gente che si è vista <strong>azzerare o triplicare i punteggi</strong>. Questo ha comportato che nella fase di analisi e di pubblicazione delle graduatorie diversi responsabili territoriali si sono trovati in grosse difficoltà.”</p>



<p>Una delle maggiori problematiche riscontrate da chi ha presentato domanda è stata ad esempio la <strong>valorizzazione di supplenze spezzate nei punteggi</strong>, rispetto a chi ha prestato servizio annuale. Lo spiega sempre Monica Manfredini: “In Lombardia i numeri sono più elevati che altrove perché qua c&#8217;è la maggioranza delle scuole e la maggioranza degli studenti. La mancanza di personale con titoli è annosa. Questo ha fatto sì che si realizzasse la tempesta perfetta: a caos si sovrappone altro caos”.</p>



<p>“A seconda delle province abbiamo risultati diversificati; a questo si aggiunge la decisione di non pubblicare graduatorie provvisorie. È difficile per chi opera, per i provveditorati, riuscire a far fronte a una mole di lavoro davvero incredibile, per il controllo e la verifica dei titoli. Il governo ha ammesso alcune modifiche, cioè di <strong>delegare il controllo dei servizi</strong> nel momento in cui si deve sottoscrivere un contratto: possiamo scaricare il lavoro di controllo alle amministrazioni scolastiche. E poi cosa succede nel caso i servizi siano stati valutati erroneamente? Si creano problemi”.</p>



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<h2>Titoli, sì, ma chi li controlla?</h2>



<p>L&#8217;esame dei titoli e le nomine in concomitanza con l&#8217;avvio dell&#8217;anno scolastico hanno fatto il resto, commenta la sindacalista: “<strong>Abbiamo fretta e necessità</strong>, l&#8217;obiettivo è di far partire la scuola e quindi di garantire la presenza dei docenti. Stiamo collaborando e aiutando il più possibile, ma i miracoli non si possono fare. Sono anni che sono nella scuola; la chiamata dei supplenti è un momento complicato, ci sono tante situazioni. Siamo in un momento davvero difficile. La Lombardia è la regione che ha sofferto di più per il COVID-19; veniamo da delle esperienze che hanno segnato le nostre comunità, il desiderio di ripartire è ancora più evidente da noi rispetto ad altre regioni&#8221;.</p>



<p>“Le scuole inizieranno a tempo parziale senza docenti; poi occorrerà vedere se i supplenti faranno test sierologici, o entreranno come tutti gli altri. All&#8217;atto iniziale non erano personale scolastico e sottoporsi al test era su base volontaria. Si entrerà, poi vedremo. Tutti questi ritardi hanno ripercussioni in termini di <strong>qualità del servizio</strong> e di <strong>sicurezza sanitaria</strong>, questo è indubbio. Il COVID-19 evidenzia la situazione critica già esistente.”</p>



<p>“Ha ragione il ministro Azzolina, il caos c&#8217;è sempre stato, ma questa è l&#8217;occasione buona per domandarsi perché. Noi avevamo già fatto delle proposte pratiche. Il GPS può essere una grande idea, e ne discutiamo; affrontare il COVID-19 con delle graduatorie già predisposte avrebbe consentito alle persone di presentare la domanda, capire cosa vogliono fare, le conseguenze di presentare domanda in una classe di concorso o in un&#8217;altra. Comunque si poteva garantire il servizio con le graduatorie già in essere.”</p>



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<h2>Il mercato di titoli nel far west della scuola post-COVID</h2>



<p>Una situazione pluriennale, quella del <strong>rinnovo delle graduatorie di supplenti</strong>, intorno a cui fiorisce un&#8217;offerta formativa diversificata, sia con la serietà di atenei storici o telematici ufficialmente riconosciuti, che con titoli di abilitazione acquisiti all&#8217;estero. Si registra il caso di <strong>docenti di sostegno</strong> che hanno acquisito il titolo di specializzazione (che in Italia richiede la frequenza di corsi universitari ufficialmente riconosciuti solo in pochi atenei, con un <strong>esborso di oltre tremila euro</strong> di tasse universitarie, esami, laboratori e stage da sostenere con tesi finale) <strong>in Romania o Spagna</strong>.</p>



<p>Afferma Manfredini: “È una cosa vecchia, il mercato dei titoli per la corsa ad acquisire i famosi punti. Ora sono apparsi altri titoli universitari, lauree prese in altri Stati europei, che complicano la procedura di controllo. Diciamo che il <strong>commercio dei titoli</strong> purtroppo non lo scopriamo adesso, è già iniziato anni fa. Ci sono centri e università che li forniscono. I famosi <strong>24 CFU</strong> in alcuni casi sono stati sudati; va controllata la serietà delle agenzie che li erogano, poi sta alla responsabilità dei singoli la scelta di come conseguirli. Sono i famosi crediti con cui si cerca di colmare certe lacune dal punto di vista formativo, ma le offerte formative vanno pensate e strutturate”.</p>



<p>“Uno dei grossi problemi che ha la scuola italiana, e che le graduatorie non possono risolvere, è la <strong>disponibilità di personale</strong> con titoli nelle <strong>discipline scientifiche e tecniche</strong>. In Italia è una carenza da sempre: non abbiamo i professori di matematica, fisica e altri indirizzi scientifici, non molto appetibili per i giovani italiani, ma che quando vengono portati a termine danno la possibilità di avere ben altre prospettive di carriera”.</p>



<p>Per l&#8217;ottenimento dei crediti piovono migliaia di euro da parte di chi attende da anni un posto di lavoro, direttamente nelle tasche di <strong>università telematiche</strong>, grazie a pacchetti già pronti che non sempre chi si affaccia al mondo dell&#8217;insegnamento è in grado di valutare. Sul sito del ministero c&#8217;è la lista degli atenei telematici ufficialmente riconosciuti, ma andrebbe elaborato un <strong>certificato di qualità</strong> in questo settore, che al momento è un vero e proprio far west in cui chi lavora con responsabilità e serietà si mescola a chi, pur rispettando formule legali, offre dietro compenso titoli e certificazioni.</p>



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<p>Foto di copertina di Monia Orazi</p>


Graduatorie scolastiche o mercato dei titoli?


<p><strong>Studenti promossi e professori disoccupati</strong>. Almeno quelli che si occupano in prevalenza di <strong>ripetizioni</strong>, lavorando per conto di agenzie che forniscono questo servizio. L&#8217;annuncio dato in piena pandemia dal ministro della pubblica istruzione <strong>Lucia Azzolina</strong>, che ha spiegato come nello scorso anno scolastico, funestato dal COVID-19, non ci sarebbero stati bocciati, ha avuto una ricaduta anche su un settore dell&#8217;educazione del quale di solito non si tiene conto, e che ha cercato di tamponare la perdita con la didattica a distanza e prendendo tutte le misure di sicurezza.</p>



<p>La sicurezza del passaggio dell&#8217;anno ha fatto sì che in molti decidessero di <strong>non prendere più lezioni private</strong>. A settembre il settore è ripartito, ma con tanti cambiamenti per tutelare la sicurezza degli studenti. «I nostri docenti – dice <strong>Giulia Ghioni</strong> dell&#8217;agenzia Cubo di Milano – si recano a casa degli studenti con mascherina e guanti, e chi vuole sentirsi più sicuro può continuare a venire nei nostri locali». </p>



<p>Dopo quattro mesi molto difficili, nei quali la società ha dovuto ricorrere alla cassa integrazione per i tre dipendenti amministrativi e in cui i docenti si sono visti ridurre le ore, la situazione sembra essere tornata alla normalità: in vista della ripresa dell&#8217;anno scolastico il business delle ripetizioni ricomincerà come prima. «C&#8217;è una ripresa dei compiti delle vacanze e cominciano ad arrivare richieste. Prevediamo flussi in aumento rispetto agli altri anni, anche perché le prime verifiche si baseranno su argomenti pregressi, che non sono mai stati soggetti a esame».</p>



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<h2>Lezioni private ma non solo: tanti modi diversi di studiare</h2>



<p>Nei mesi di lockdown molte società hanno operato in modo da <strong>ampliare il servizio</strong> e strutturarlo perché possa soddisfare quante più richieste da remoto.</p>



<p>«Abbiamo creato nuovi progetti collegati alla didattica – continua Ghioni – ai quali hanno collaborato <strong>molti docenti che non potevano lavorare</strong> per la chiusura totale. Spesso si tratta di persone adulte che vivono con questo lavoro, e anche per permettere loro di lavorare li abbiamo coinvolti in <strong>corsi di formazione per altri professori</strong> sulla didattica a distanza, sulla nuova applicazione del Bes e sulle valutazioni. Inoltre abbiamo elaborato un modo nuovo per testare il proprio livello di preparazione attraverso un&#8217;applicazione che consente anche di preparare le lezioni».</p>



<p>L&#8217;obiettivo è quello di diversificare l&#8217;offerta, ma anche di far fronte al momento di crisi che questo settore si è trovato ad affrontare.</p>



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<h2>Promossi con duecento euro al mese</h2>



<p>Nei mesi scorsi, infatti, il mercato delle ripetizioni ha subito una flessione, anche perché, come spiega <strong>Andrea Marino</strong> della società Profadvisor di Foggia, «molti genitori che sono liberi professionisti nei mesi di chiusura hanno preferito rinunciare anche alle ripetizioni per motivi economici. Il rimanere più tempo a casa e il mancato guadagno li hanno convinti a non usare questo servizio e a cercare di aiutare in prima persona i figli con i compiti».</p>



<p>Molte società hanno deciso comunque di dare la possibilità di portare a termine i pacchetti già pagati. Il <strong>costo delle ripetizioni</strong> non è proibitivo, dal momento che si va <strong>dagli 8 euro ai 20 euro l&#8217;ora</strong>, in base al tipo di scuola e alla preparazione dei tutor. A volte un tutor si dedica anche a due o tre studenti. I pacchetti di solito si aggirano attorno alle 8 ore e non si possono acquisire ore singole. In media si va dall&#8217;una alle tre ore di ripetizione a settimana, con un costo per le famiglie che si aggira attorno ai <strong>200 euro mensili circa</strong>.</p>



<p>I costi possono crescere nel caso di ripetizioni per esami universitari ritenuti molto complessi. Si tratta di cifre nelle quali rientra il corrispettivo per il docente, ma sono conteggiati anche le tasse, le spese e il guadagno dell&#8217;agenzia. Per chi insegna, infatti, c&#8217;è la possibilità in questo modo di <strong>regolarizzarsi senza aprire una partita Iva</strong> con i relativi costi.</p>



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<h2>Ripetizioni, una mano arriva dal fisco. E comincia a prendere piede l’online</h2>



<p>La deputata 5 Stelle <strong>Carla Ruocco</strong> lo scorso novembre aveva proposto un emendamento alla legge di bilancio che prevedeva una detrazione fiscale del 19% per le famiglie che usufruiscono delle lezioni private, ma già a partire dal 2019 le ripetizioni a casa tenute da docenti con cattedra venivano tassate al 15%, per favorire l&#8217;<strong>emersione del nero</strong>. Non è l&#8217;unica misura messa in campo per favorire la regolarizzazione di un&#8217;attività che in Italia è in crescita. Proprio <strong>Profadvisor</strong> è nata con questo scopo: «Siamo una startup – spiega Andrea Marino – che è nata con i contributi regionali per far emergere il tanto nero che c&#8217;è in questo settore».</p>



<p>Con il <strong>lockdown</strong> sono emersi però altri problemi. Sono pochi, infatti, i <strong>docenti di ripetizione che hanno una partita Iva</strong>, e non ci sono assunti. Quasi nessuno di loro ha avuto diritto quindi ad <strong>alcun tipo di contributo</strong> di quelli previsti dal governo per l&#8217;emergenza economica conseguente al COVID-19. Le scuole hanno cercato così di andare incontro ai problemi dei loro collaboratori mettendo in campo altri tipi di interventi, cioè con la <strong>didattica a distanza</strong> per quanti non hanno voluto rinunciare alle lezioni, ma anche lavorando alla digitalizzazione dei materiali per i prossimi mesi, nei quali non si esclude che la didattica a distanza possa ritornare.</p>



<p>In ogni caso le <strong>ripetizioni online</strong>, nelle previsioni di chi vive il settore, saranno sempre più richieste dalle famiglie, che cercheranno di esporre il meno possibile i propri figli a rischi per la salute. La tecnologia servirà a permettere a molti professori di lavorare comunque.</p>



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<h2>Chi sono gli insegnanti che vivono di ripetizioni?</h2>



<p>Si possono definire gli invisibili del mondo della scuola. Non hanno sindacato, non hanno contratti da dipendenti e in molti casi non sono nemmeno delle partite Iva. Sono i <strong>professori che vivono grazie alle ripetizioni</strong>.</p>



<p>Spesso si tratta di un secondo lavoro, ma in alcuni casi è l&#8217;unica fonte di sostentamento, in attesa magari del concorso o della chiamata per qualche supplenza nella scuola pubblica. La legge, infatti, non vieta le ripetizioni private, con alcuni limiti per gli insegnanti di professione, che devono dare comunicazione al proprio dirigente scolastico e non posso fare lezione ad alunni del loro istituto.</p>



<p>In tempi di difficoltà e di lunghe graduatorie, per molti il doposcuola è diventato una buona fonte di reddito o arrotondamento. COVID-19 permettendo. «Insegno latino e italiano, ma capita anche storia dell&#8217;arte», dice <strong>Valeria Monachese</strong>, «ma sono rimasta <strong>mesi interi senza lavorare</strong> in attesa che la situazione si sbloccasse. Siamo riusciti a dare qualche lezione grazie a piattaforme come Skype. Ho approfittato di questo periodo per preparare il concorso per diventare professoressa di ruolo».</p>



<p>Molte società, invece, hanno approfittato del periodo per mettersi in sicurezza e adeguarsi alla didattica a distanza, che comunque per il prossimo anno scolastico è ancora prevista.</p>



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<h2>I social delle ripetizioni</h2>



<p>Le lezioni online, e di conseguenza le ripetizioni, saranno sempre più diffuse in futuro, ma già da anni proliferano <strong>siti</strong> in cui docenti possono offrire i propri servizi agli studenti. È il caso di <strong>Superprof</strong> o <strong>Skuola.net</strong>, vere e proprie bacheche in cui i docenti possono mettere annunci e gli studenti possono trovare vicino a casa, con prezzi che variano dai 7 ai 20 euro orari, insegnanti di tutte le materie.</p>



<p>Quasi tutti ormai si sono attrezzati per le <strong>lezioni da remoto</strong>, e la maggior parte ormai avviene online. A differenza delle agenzie di ripetizioni, la <strong>contrattazione</strong> in questo caso avviene <strong>tra privati</strong>; l&#8217;ente che offre il servizio non ha alcuna responsabilità sugli accordi che vengono presi tra le parti, ma nemmeno percepisce delle transazioni.</p>


Professori disoccupati che vivono di lezioni private. Dietro le quinte del mercato

<p>La scuola è o non è un mercato? </p>
<p>Per chi pensa che l&#8217;istruzione, la cultura e la formazione siano i veri pilastri del nostro sistema scolastico abbiamo, purtroppo, alcune sorprese.</p>
<p>La redazione e i giornalisti di SenzaFiltro che hanno lavorato a questo numero sono convinti che quanto abbiamo fatto emergere sia solo una parte del tutto &#8211; la più nascosta, la più scomoda &#8211; ma quel tutto è lo stato dei fatti da cui oggi bisogna partire. C&#8217;è un business dentro, dietro e intorno al mondo della scuola ed è tempo di portarlo alla luce.</p>
<p>Una cultura del lavoro rinnovata ha bisogno di mettere le fondamenta sopra una cultura della scuola rinnovata. Adesso o mai più.</p>


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Il business della scuola

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Editoriale 95. Il turismo invisibile

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