A fornirci un quadro numerico della situazione è Gianluca De Angelis, ricercatore IRES, Istituto Ricerche Economiche e Sociali dell’Emilia-Romagna. I dati che espliciteremo nel nostro articolo sono accuratamente elaborati da De Angelis su database CICO, di proprietà del ministero del Lavoro, e questa elaborazione fa parte di una ricerca più ampia focalizzata tema della fuga dal lavoro sociale che sta svolgendo con Barbara Giullari, dell’Università di Bologna, e Davide Caselli, dell’Università di Bergamo.
Riguardo al tema generale della mancanza di lavoratori, De Angelis afferma: “Il fatto che ogni tot imprenditori e imprenditrici si lamentano di non trovare lavoratori è ciclico: ciò accade quando ci sono forti cambiamenti a livello tecnologico e quando subentra vivacità nel mercato del lavoro, permettendo alternative di scelta ai lavoratori. Così accade in questo periodo, per il quale invece di grandi dimissioni parlerei piuttosto di grande ricollocamento”.
De Angelis fa subito un’importante premessa per il nostro ambito di riferimento, ossia quello degli educatori: “I dati a disposizione sono campionari e la selezione riguarda le professionalità riconducibili all’ambito della cura e assistenza, che comprende diverse figure, come medici, educatori, OSS e anche colf”.
In pratica mancano i dati ISTAT specifici del lavoro educativo, che ricordiamo, si distingue da quello esclusivamente assistenziale. Questa mancata specifica di dati rappresenta una lacuna notevole e riflette uno stereotipo che attanaglia la figura degli educatori e delle educatrici anche in ambito scolastico, dove tuttora spesso vengono confusi con una funzione assistenziale quando non è così. La frammentarietà del comparto educatori, per i quali i termini di definizione e di riconoscimento spesso cambiano a seconda delle Regioni, si riflette quindi anche in questo frangente.
Fatte queste premesse, ci immergiamo nell’ambito cura e assistenza, per il quale De Angelis sottolinea: “Prendendo a riferimento i dati ISTAT della rilevazione continua sulle forze di lavoro in media 2021, le professionalità riconducibili al settore della cura e assistenza sono circa 3,981 milioni, il 90,6% dei quali è collocato nei settori dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, dell’assistenza sociale residenziale e non e delle attività delle famiglie come datori di lavoro. Diversamente, il numero di persone che stimiamo si siano dimesse per la prima volta nello stesso anno da quei settori è di 137.104 individui. Il dato è sottostimato per le questioni metodologiche esplicitate”.
De Angelis aggiunge: “Negli ultimi anni si è rilevato un incremento delle cessazioni volontarie. Dopo un periodo di sostanziale riduzione del fenomeno tra il 2014 e il 2016, dal 2017 le dimissioni nei settori coinvolti sono cresciute anno dopo anno”. Non tutti i settori però manifestano questo incremento: “Il terzo settore, ad esempio, nel 2020 e 2021 vede il fenomeno ridurre la propria portata, con un -29% e un -33%, mentre nel privato la variazione sul 2019 e sul 2020 è del +23,1% e +23,5%. Anche il comparto pubblico non è esente dal fenomeno. Dopo un picco nel 2018, con un +21%, il biennio successivo vede il numero di dimissioni crescere in modo costante, con un +3,7% e +3,6%, fino a decrescere nel 2021 con un -3,9%”.

De Angelis evidenzia: “Il 2020 ha costituito un picco nel caso della pubblica amministrazione (+26,5%), dell’assistenza sanitaria (+49,1%) e dell’istruzione (+10%). Nel caso dell’assistenza sociale residenziale e non residenziale, le dimissioni del 2020 costituiscono variazioni meno significative di quelle avvenute negli anni subito precedenti la pandemia”.