Non di rado le disabilità, specie quelle cognitive, vengono escluse dai protocolli di sicurezza aziendale: una lesione dell’autonomia della persona disabile. Ecco alcune soluzioni al problema, proposte da Anna Contardi di AIPD e Rodolfo Dalla Mora di S.I.Di.Ma.
Gli educatori non esistono, ma quanto ci servirebbero
Perfino l’ISTAT glissa su una categoria che contribuisce all’inclusione delle persone con disabilità, pur priva di tutele e valorizzazione. La mancanza di educatori si aggrava: ne parliamo con il ricercatore IRES Gianluca De Angelis
Un’emorragia che prosciuga servizi, diritti e progettualità. Questo il quadro che descrive la sempre più diffusa defezione degli educatori e delle educatrici dal proprio comparto, tanto da tradursi in una vera e propria mancanza. Una cronaca annunciata che con SenzaFiltro abbiamo analizzato in diverse occasioni: abbiamo parlato della fuga di numerosi educatori verso la scuola, abbandonando il settore privato per diventare insegnanti, soprattutto di sostegno, e avere così più tutele.
C’è anche chi ha scelto altri lavori, differenti dall’insegnamento; quel che è certo è che educatori e educatrici mancano, e questa mancanza assume i connotati di un’emergenza sul fronte servizi, con ripercussioni che impattano in modo negativo a vari livelli.
Educatori, il lavoro che non c’è: aumentano le dimissioni, e anche l’ISTAT li ignora
A fornirci un quadro numerico della situazione è Gianluca De Angelis, ricercatore IRES, Istituto Ricerche Economiche e Sociali dell’Emilia-Romagna. I dati che espliciteremo nel nostro articolo sono accuratamente elaborati da De Angelis su database CICO, di proprietà del ministero del Lavoro, e questa elaborazione fa parte di una ricerca più ampia focalizzata tema della fuga dal lavoro sociale che sta svolgendo con Barbara Giullari, dell’Università di Bologna, e Davide Caselli, dell’Università di Bergamo.
Riguardo al tema generale della mancanza di lavoratori, De Angelis afferma: “Il fatto che ogni tot imprenditori e imprenditrici si lamentano di non trovare lavoratori è ciclico: ciò accade quando ci sono forti cambiamenti a livello tecnologico e quando subentra vivacità nel mercato del lavoro, permettendo alternative di scelta ai lavoratori. Così accade in questo periodo, per il quale invece di grandi dimissioni parlerei piuttosto di grande ricollocamento”.
De Angelis fa subito un’importante premessa per il nostro ambito di riferimento, ossia quello degli educatori: “I dati a disposizione sono campionari e la selezione riguarda le professionalità riconducibili all’ambito della cura e assistenza, che comprende diverse figure, come medici, educatori, OSS e anche colf”.
In pratica mancano i dati ISTAT specifici del lavoro educativo, che ricordiamo, si distingue da quello esclusivamente assistenziale. Questa mancata specifica di dati rappresenta una lacuna notevole e riflette uno stereotipo che attanaglia la figura degli educatori e delle educatrici anche in ambito scolastico, dove tuttora spesso vengono confusi con una funzione assistenziale quando non è così. La frammentarietà del comparto educatori, per i quali i termini di definizione e di riconoscimento spesso cambiano a seconda delle Regioni, si riflette quindi anche in questo frangente.
Fatte queste premesse, ci immergiamo nell’ambito cura e assistenza, per il quale De Angelis sottolinea: “Prendendo a riferimento i dati ISTAT della rilevazione continua sulle forze di lavoro in media 2021, le professionalità riconducibili al settore della cura e assistenza sono circa 3,981 milioni, il 90,6% dei quali è collocato nei settori dell’amministrazione pubblica, dell’istruzione, dell’assistenza sanitaria, dell’assistenza sociale residenziale e non e delle attività delle famiglie come datori di lavoro. Diversamente, il numero di persone che stimiamo si siano dimesse per la prima volta nello stesso anno da quei settori è di 137.104 individui. Il dato è sottostimato per le questioni metodologiche esplicitate”.
De Angelis aggiunge: “Negli ultimi anni si è rilevato un incremento delle cessazioni volontarie. Dopo un periodo di sostanziale riduzione del fenomeno tra il 2014 e il 2016, dal 2017 le dimissioni nei settori coinvolti sono cresciute anno dopo anno”. Non tutti i settori però manifestano questo incremento: “Il terzo settore, ad esempio, nel 2020 e 2021 vede il fenomeno ridurre la propria portata, con un -29% e un -33%, mentre nel privato la variazione sul 2019 e sul 2020 è del +23,1% e +23,5%. Anche il comparto pubblico non è esente dal fenomeno. Dopo un picco nel 2018, con un +21%, il biennio successivo vede il numero di dimissioni crescere in modo costante, con un +3,7% e +3,6%, fino a decrescere nel 2021 con un -3,9%”.
De Angelis evidenzia: “Il 2020 ha costituito un picco nel caso della pubblica amministrazione (+26,5%), dell’assistenza sanitaria (+49,1%) e dell’istruzione (+10%). Nel caso dell’assistenza sociale residenziale e non residenziale, le dimissioni del 2020 costituiscono variazioni meno significative di quelle avvenute negli anni subito precedenti la pandemia”.
La grande fuga dal mestiere di educatore è soprattutto femminile
Cercando di andare più nel dettaglio, chiediamo: in questo macro-ambito della cura, di cui fanno parte erroneamente anche educatori e educatrici, qual è il genere che ha attivato più dimissioni?
“Sicuramente la componente femminile è quella che si è dimessa di più con una percentuale del 73,3% sull’intero periodo”, spiega De Angelis. Relativamente a un’altra questione cardine, ossia l’età, esplicita: “Sempre nel corso degli anni considerati, si osserva una certa crescita della quota di dimissionari con più di 50 anni, che nel 2020 arrivano a essere oltre il 32% del totale, e che nel 2010 costituivano il 13,9% di chi si dimetteva per la prima volta”. Una panoramica riusciamo a ricavarla anche rispetto alla questione delle qualifiche: “Negli ultimi tre anni cresce la quota di chi si dimette dalle posizioni meno qualificate, come chi lavora per le famiglie o nei servizi sociosanitari senza qualifica”.
Il nostro servizio parla di figure mancanti, e De Angelis invita a riflettere anche sulla questione ricollocamento: “Considerando quanti e quante si sono dimesse tra il 2019 e il 2021, il 55% ha trovato un nuovo lavoro entro il terzo trimestre del 2022. Il dato è maggiore per la fascia di età compresa tra i 30 e i 49 anni, superiore al 61%, e più basso per i più giovani e i più anziani”.
All’interno del macro-ambito della cura e assistenza, dove i dati numerici sono chiari ma risultano sfuggenti, la mancanza di educatori è dimostrata dai numerosi “vuoti” all’interno dei servizi. In pratica, se da un lato mancano i dati relativi agli educatori e alle educatrici che si sono dirottati ad esempio verso la scuola, abbandonando la loro professione, resta evidente la penuria di queste figure, che – giova ripeterlo – hanno un ruolo differente da quello degli insegnanti, e la cui mancanza costituisce una voragine nei servizi domiciliari, nella scuola stessa e negli interventi all’interno di progettualità territoriali.
La scarsità di tutele allontana dal lavoro di educatore. E la greppia di alcune cooperative fa il resto
Accanto a numeri e percentuali ci sono le cause, che continuano ad alimentare l’emorragia di educatori e educatrici. Carenza di tutele, remunerazione bassa, scarsa valorizzazione, pagamento a cottimo rappresentano gli ingredienti di una bomba a orologeria pronta a esplodere – come poi è accaduto. Ne parliamo con Laura Castellani, educatrice e delegata ADL COBAS.
“La mancanza di educatori è sempre più evidente. Negli ultimi anni la scuola è diventata una meta prescelta per tanti motivi, come la situazione vergognosa degli appalti al ribasso e buste paga che subiscono forti oscillazioni. Queste dinamiche hanno creato ancora più burnout e senso di isolamento nei lavoratori del settore”.
“Molti educatori hanno giustamente ragionato su che cosa conveniva fare”, aggiunge Castellani. “Chi per la cosiddetta Legge ex Iori non aveva i prerequisiti per svolgere questo lavoro avrebbe dovuto iscriversi all’università per acquisire il titolo di laurea L-19: parliamo di circa 2.000 euro l’anno. In caso invece di esperienza di tre anni occorre acquisire comunque i 60 CFU, sempre attraverso corsi da pagare di tasca propria e del costo minimo di 600 euro. Costi che incidono parecchio su chi già guadagna poco”.
Sempre a proposito della penuria di figure, Laura Castellani evidenzia un altro aspetto cardine: “Ci sono molti laureati in psicologia e pedagogia che negli ultimi anni si sono dirottati sul TFA anziché fare gli educatori, vista la scarsità di tutele di questo lavoro per il quale sono chiesti prerequisiti rigidi”. E ancora: “Il settore educativo è a maggioranza femminile, eppure la maternità viene riconosciuta per l’80% del proprio contratto di lavoro, spesso stipulato per un numero di ore inferiore rispetto a quelle svolte: anche questo è diventato insostenibile”.
“Da sottolineare infine la dinamica attivata da diverse cooperative, che agli educatori hanno dato sempre meno progettazione, supervisione e formazione a discapito della qualità del lavoro stesso. Ci sono cooperative che vengono da altre Regioni e non aprono nemmeno la sede o non hanno figure di coordinamento.”
E a proposito di qualità, dalle cause passiamo agli esiti: “Ora che le cooperative faticano a trovare educatori qualificati puntano spesso a diplomati”, spiega Castellani. “Le famiglie con bambini e ragazzi con disabilità si trovano così a gestire turnover stressanti di figure e a ricominciare da capo percorsi che invece dovrebbero garantire continuità e miglioramento”. Una fatica lamentata da numerose famiglie, che si trovano spesso a “insegnare” alle nuove figure metodologie e approcci, facendo il doppio del lavoro e provvedendo a una formazione che dovrebbe essere garantita dalle cooperative.
Chi e come colmerà questa grande lacuna sul fronte di una professionalità così importante? Lo abbiamo ripetuto tante volte: se non si attivano strategie di tutela e valorizzazione delle figure educative si rischia l’estinzione di questo lavoro, di interi servizi e di risposte a utenti con disabilità e altre tipologie di condizioni, che nel frattempo continuano aumentare. Intanto la ferita ancora non è stata sanata, con tutte le responsabilità del caso.
Photo credits: stampacritica.org
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