Di recente sono stati resi noti i dati finanziari del terzo trimestre del 2019 di Nike: 7% di crescita globale rispetto al 2018, 11% in più di ricavi, doppia cifra per le scarpe in Asia. Ma il dato incredibile è il 36% di crescita nel commercio digitale. E ancora: al lancio di Air Jordan Concord […]
I Riders e la Carta di Bologna: il futuro del lavoro non è algoritmo più cottimo puro
La storia della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano (altrimenti nota come Carta di Bologna) inizia nell’inverno del 2017. Alcuni riders di Bologna, riconosciuti sotto la sigla di Riders Union di Bologna, decisero, in concomitanza con la prima nevicata, di appendere le loro biciclette all’Albero di Natale, addobbato come da tradizione […]
La storia della Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano (altrimenti nota come Carta di Bologna) inizia nell’inverno del 2017.
Alcuni riders di Bologna, riconosciuti sotto la sigla di Riders Union di Bologna, decisero, in concomitanza con la prima nevicata, di appendere le loro biciclette all’Albero di Natale, addobbato come da tradizione in Piazza Maggiore. Un gesto eclatante che aveva destato l’attenzione dell’Amministrazione comunale e dei media locali. Ricordarne l’inizio non serve solo a mettere un punto di partenza a questa storia; serve a dare atto che, se non ci fosse stato quello sciopero e quella manifestazione di protesta da parte di alcuni giovani lavoratori, non sarebbe potuto nascere il percorso amministrativo che di lì a poco avremmo iniziato.
Dopo lo sciopero di Natale, si decise di discutere del tema in un’udienza conoscitiva per ascoltare i riders e le piattaforme digitali di delivery food presenti a Bologna. Conoscere le loro condizioni contrattuali. Le condizioni di lavoro. Il sistema di funzionamento degli algoritmi.
In qualità di Assessore al Lavoro decisi di chiamare i riders di Bologna, le organizzazioni sindacali e le piattaforme intorno ad un tavolo per discutere sul mercato del food-delivery e sulle condizioni di lavoro dei riders a Bologna.
Agli incontri presero parte tutte le piattaforme digitali presenti in Città: Sgnam, MyMenu, Glovo, JustEat. A dire il vero, tutte tranne una: Foodora.
Furono incontri cordiali e tuttavia non semplici. Ognuno rimaneva ancorato sulle proprie posizioni di partenza. Avendo misurato la distanza tra le parti, con i riders e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative che richiedevano il riconoscimento di un rapporto di lavoro subordinato agganciato ad un contratto collettivo nazionale di lavoro e le piattaforme digitali che utilizzavano forme di collaborazione continuativa tipiche del rapporto di lavoro autonomo, decisi di avanzare una proposta da parte dell’Amministrazione che si ispirava ad una direttiva europea sui contratti non standardizzati che a quell’epoca era stata appena presentata dalla Commissione europea perché cominciasse il suo iter legislativo nella procedura legislativa ordinaria dell’Unione europea.
Riders, l’Italia, la UE: la Carta di Bologna dalla a alla z
La politica europea è politica interna e non politica estera. E allora perché aspettare che qualcuno si facesse male prima di poter intervenire? Perché aspettare che il legislatore italiano si adegui tra qualche anno ad una normativa europea quando potevamo cercare di rendere quella proposta di legge già vigente ed operativa sulle nostre strade in virtù di un accordo metropolitano di secondo livello tra le parti?
Parte da qui la proposta della Carta di Bologna che dopo successivi incontri con le parti firmatarie è stata siglata il 31 Maggio 2018 dal Comune di Bologna, Riders Union Bologna, CGIL CISL UIL, Sgnam e Mymenu.
Il principio fondamentale della Carta è quello di stabilire che, al di là della qualificazione del rapporto giuridico, non si possa andare sotto degli standard minimi di tutela come l’obbligo di assicurazione nei confronti dei lavoratori e dei terzi, diritto ad un compenso equo e dignitoso non inferiore ai minimi del CCNL, indennità aggiuntive per il lavoro notturno o per le condizioni metereologiche sfavorevoli, sospensione del servizio in caso di condizioni metereologiche straordinarie tali da mettere a repentaglio la sicurezza e la salute dei lavoratori, diritto di riunioni sindacali retribuite, obblighi di informazione, tutela della privacy, diritto di disconnessione.
Il nostro impegno è sempre stato quello di promuovere una Carta dei diritti, non di proclamare diritti sulla carta. In un anno la Carta ha prodotto i suoi effetti.
Sgnam e MyMenu nell’estate del 2018 si fondono insieme (successivamente sarà incorporata anche la milanese Forchette e Bacchette) e costituiscono la più grande piattaforma italiana di food-delivery: a Bologna coprono quasi la metà del mercato del food delivery, con più di 300 riders e drivers cui si applicano diverse tipologie contrattuali, a seconda della quantità di tempo che il prestatore mette a disposizione delle piattaforme, che non possono andare sotto lo standard minimo previsto dalla CCNL della logistica.
Nel mese di Luglio del 2018, ai sensi degli articoli 12 e 7 della Carta, è stata possibile in meno di 24 ore la riattivazione dell’account di un rider che era stato disattivato da Glovo, senza giustificato motivo.
Nel Novembre 2018 si è svolta, dentro il Palazzo comunale, la prima riunione retribuita dei riders di Sgnam e MyMenu.
Lo sciopero simbolico che ha fatto storia
Un altro momento simbolico di questa storia è il 16 dicembre 2018. In applicazione dell’articolo 4 comma 2 della Carta decidiamo, di comune accordo con le piattaforme di Sgnam e Mymeny ed i riders, di sospendere il servizio di consegna a domicilio. Invitiamo i cittadini bolognesi a non ordinare cibo a domicilio, sotto la neve, perché non vale la pena far rischiare la vita a questi ragazzi. Prima la salute e la sicurezza. L’hamburger o la pizza posso attendere. La risposta dei bolognesi è straordinaria e non si fa attendere. Il servizio viene sospeso immediatamente per tutte le piattaforme digitali. I cittadini mettono sui loro profili social le foto dei piatti preparati in casa da loro. Ci dimostrano che la nostra comunità, in questa battaglia, è con noi.
Il 21 Marzo 2019 la Carta viene firmata da Dominos’ Pizza. Una firma importante, da un lato, perché estende l’applicazione della Carta ad altri 100 riders e drivers bolognesi di Dominos’ che vedono applicarsi gli standard del CCNL della ristorazione. Dall’altro, perché si prende atto che il Tavolo di Roma voluto dal Ministro Di Maio è fallito e quindi riapre la possibilità che le piattaforme sottoscrivano la Carta di Bologna, come unico modello effettivamente in vigore in Italia per regolamentare la materia dei riders e come primo accordo europeo sulla Gig economy nel settore del food-delivery.
A giugno 2019, Sgnam e MyMenu trovano l’accrdo in conformità all’art. 4 della Carta per aumentare di 1€ la paga dei riders, raggiungendo il minimo salariale previsto dal CCNL della logistica.
In questo anno di vita, la Carta di Bologna ha già raggiunto traguardi impensabili, ma il più importante è quello culturale: è riuscita a squarciare il velo di ignoranza sulle condizioni di lavoro dei riders e promuovere una riflessione sulla cultura del lavoro digitale in Italia. Se non ci fosse stata la Carta di Bologna non ci sarebbe mai stata l’attivazione di un tavolo nazionale a Roma e la mediatizzazione del caso dei riders.
Non c’è nulla di innovativo nel ritorno al cottimo puro, attraverso gli algoritmi delle piattaforme di food-delivery. Questo non è il futuro. È il passato. Essere favorevoli alla crescita dell’economia digitale non significa abdicare alla tutela ed alla salvaguardia dei diritti dei lavoratori nelle nostra città. Le nostre strade sono diventate il luogo di lavoro dell’economia digitale. Squarciare il velo di ignoranza sulle condizioni di lavoro dei riders significa rendere visibile il pericolo di ingiustizia sociale che si annida nella Gig economy.
Gli invisibili non sono quelli che non si vedono. Sono quelli che non vogliamo vedere.
Sisifo e la Gig economy che fingiamo di non vedere
I riders che attraverso le nostre strade, sfrecciando sulle loro biciclette, come modelli Sisifo schiacciati dal peso del lavoro precario che ti fa rischiare la vita per 20 euro al giorno, sono quegli invisibili della Gig economy che vediamo tutti i giorni, ma che troppo spesso facciamo finta di non vedere. Bisogna trovare il coraggio di scorgere l’invisibile che vive quotidianamente tra le pieghe del reale, perché dietro quel cono d’ombra è più alto il rischio dell’ingiustizia sociale.
I lavoratori della Gig Economy sono molti di più dei riders; si stima che i riders costituiscano solo il 10% del totale dei lavoratori della Gig Economy che oggi attraverso le app si candidano a fare lavori a task come ad esempio il baby sitting, il dog sitting, il montaggio dei mobili.
Con la Carta di Bologna abbiamo tolto alle piattaforme di food-delivery l’alibi della non sostenibilità economica di un modello aziendale che riconosca il costo del lavoro in conformità ai contratti collettivi nazionali e garantisca standard minimi di tutela, a prescindere dalla qualificazione giuridica del rapporto di lavoro. Se può essere sostenibile economicamente per alcune piattaforme, come può non esserlo per altre che hanno fatturati anche maggiori? Non è un problema di (in-)sostenibilità economica. È un tema di scelta del modello economico.
Il secondo alibi che rimane ancora da superare è quello delle tutele difformi da città a città.
Ci sono due modi per superare questo alibi: estendere la firma della Carta di Bologna alle altre città italiane oppure estenderlo per via legislativa, con il coinvolgimento del Parlamento o con la decretazione d’urgenza del Governo.
Non è impossibile. Non è nemmeno difficile. E’ solo un tema di scelta politica.
La politica nazionale è ancora in tempo
L’ultimo atto del precedente Governo è stato introdurre una norma all’interno del decreto salva-imprese che di fatto legittimava il sistema del cottimo previsto da alcune piattaforme di food-delivery.
La norma giudicata insoddisfacente da tutte le parti in campo venne giudicata il frutto di compromesso delle forze politiche dell’allora maggioranza.
La nuova maggioranza è ripartita proprio dalla modifica di quella norma per segnalare la discontinuità rispetto al precedente Governo.
La nuova legge sulle piattaforme digitali (che avvera attraverso un emendamento alla norma contenuta nel decreto salva-imprese) si ispira alla Carta di Bologna ed alle altre esperienze delle legislazioni regionali.
Non si tratta di prevedere un “doppio binario” ma di un costruire un sistema integrato: lavoro subordinato per chi lavora a tempo pieno e standard minimi di tutela (come quello previsti dalla Carta) per chi lavora in modo occasionale. Così si pone fine al cottimo puro e si comincia a contrastare la “fuga dalla subordinazione” della Gig economy.
Troppo presto per dire che la partita sia chiusa. Ora bisogna aspettare che la norma venga pubblicata e convertita in legge e soprattutto verificare che venga rispettata dalle piattaforme digitali che operano nelle nostre città.
Non si tratta di creare una normativa ad hoc sui riders o sui lavoratori della Gig economy. Si tratta di aprire una discussione pubblica, prima ancora che legislativa, su una battaglia sulla cultura del lavoro digitale nel nostro Paese: si può promuovere la crescita dell’economia digitale senza far arretrare i diritti e le tutele dei lavoratori?
Da questa risposta passa un pezzo di futuro del nostro Paese.
Photo credits: Comune di Bologna, 31 maggio 2018. Firma della “Carta dei diritti fondamentali dei lavoratori digitali nel contesto urbano”.
Leggi anche
Una volta la chiamavano la Stalingrado d’Italia. Non soltanto perché nelle cattedrali industriali insediate in quella zona a nord di Milano il Partito Comunista e il più forte sindacato italiano, la Cgil, avevano coltivato dal secondo dopoguerra in poi il loro punto di massima forza popolare, ma perché in quell’area era concentrata la gran parte […]
“Una tragedia dalle proporzioni bibliche”. Se questo linguaggio lo avesse usato un editorialista, un commentatore o uno scrittore non ci sarebbe da preoccuparsi più di tanto. L’enfasi, la suggestione, gli “interrogativi inquietanti”, sono alcune delle armi retoriche più in voga tra giornalisti e scrittori per sensibilizzare o conquistare il lettore. Ma quelle parole sono state […]