Il battesimo dei nuovi ragazzi europei

Il ragazzo alza la mano, impugna il microfono e sbotta: “Vorrei chiedere… insomma, perché un ragazzo di vent’anni come me dovrebbe sperare nell’Unione europea? Che vantaggi ho? Perché dovrei crederci, quando il presidente delle Commissione europea è Jean-Claude Juncker, l’ex primo ministro del Lussemburgo, che è celebre per essere uno dei maggiori paradisi fiscali?”. Una […]

Il ragazzo alza la mano, impugna il microfono e sbotta: “Vorrei chiedere… insomma, perché un ragazzo di vent’anni come me dovrebbe sperare nell’Unione europea? Che vantaggi ho? Perché dovrei crederci, quando il presidente delle Commissione europea è Jean-Claude Juncker, l’ex primo ministro del Lussemburgo, che è celebre per essere uno dei maggiori paradisi fiscali?”. Una raffica di domande a bruciapelo, cui si potrebbe rispondere con bordate di retorica europeista o raffiche di anatemi sovranisti. Quindi? Come replicare?

 

Pavia: l’Europa spiegata agli europei di domani

Facciamo un passo indietro. È la mattina del 9 maggio scorso. Siamo nell’Aula magna dell’Università di Pavia, una delle più antiche nel mondo. È in corso “Quale futuro per l’Europa? Dialogo sulle prossime elezioni europee con gli studenti delle scuole superiori e dell’Università”. Oltre 200 studenti dell’ultimo anno delle superiori, e soprattutto del primo anno di Scienze politiche, sono seduti nell’elegante aula ottocentesca, con tanto di pronao e colonne corinzie. Un luogo che testimonia già da sola quanto sia cambiata l’Europa: venne inaugurata nel 1850; Pavia era ancora nell’Impero austriaco, che comprendeva parecchie etnie (oltre agli austriaci, ungheresi, cechi, polacchi, croati, slovacchi, serbi, rumeni, ruteni, sloveni e italiani). A Vienna avevano le idee chiare sul Vecchio Continente e non solo: Austriae Est Imperare Orbi Universo (“spetta all’Austria regnare sul mondo intero”) era il loro motto. Fino al 1866 il Ticino, che scorre a poche centinaia di metri, segnava il confine tra l’Impero e il Regno sabaudo. Sappiamo come andò a finire. Il primo passo verso la futura Ue sarebbe stato mosso 86 anni dopo, nel 1952, dopo due catastrofiche guerre mondiali, con la nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

Il confronto pavese è promosso dal Centro studi sull’Unione europea dell’ateneo e dall’Aede, l’Associazione europea degli insegnanti. A me (l’uso della prima persona in questo caso ha un senso, N.d.R.) spetta raccontare “Dieci cose buone dell’Unione europea”; ai professori universitari Giulia Rossolillo e Jacques Ziller tocca il tema “Tutta colpa dell’Unione?”; al professor Andrea Zatti “Perché l’euro”; a María José Martínez Iglesias (direttrice del Servizio giuridico del Parlamento europeo) “Fare l’Europa dipende anche da te: Parlamento europeo e cittadinanza dell’Unione”; la chiusura compete a Rossolillo e Zillier con “Quale futuro per l’Unione europea?”.

Il pubblico è formato da ragazzi e ragazze con l’aria da allievi diligenti: prendono appunti su taccuini e tablet, all’inizio non si sente volare una mosca. Come affrontare questi studenti? Come coinvolgerli? Mi viene in mente che, prima dell’avvio della conferenza, rimuginavo sulla prima volta in cui ho sentito parlare di Europa unita. Così comincio il mio intervento proprio ricordando che negli anni Sessanta, quando capitava la giornata dedicata all’Europa, noi studenti delle elementari eravamo invitati a disegnare qualcosa sul tema. Così sfornavamo disegni in cui, per lo più, si vedevano girotondi di bambini sorridenti intorno alle bandiere dei Paesi dell’Europa occidentale.

Allora sembrava un sogno, tanto più per noi piccoli che sentivamo i nostri genitori e i nostri nonni raccontare la loro storia durante la guerra, finita appena una ventina di anni prima”, ricordo. Poi, per rispondere al ragazzo: “Forse al primo posto tra le ragioni per cui dobbiamo sperare nell’Unione europea c’è proprio il fatto che questa idea, e la sua ancora parziale realizzazione, al di là degli uomini politici di turno, ci sta garantendo il più lungo periodo di pace – ben 74 anni – nella plurimillenaria storia europea, segnata fino al 1945 da uno stato di guerra permanente. Vi pare poco, guardando quello che succede tuttora in altre parti del mondo, anche vicino a noi? Diamo la pace per scontata come l’aria che respiriamo, ma non è così. Per garantirla occorre un progetto politico: uno di questi è quello che ci ha portato all’Unione tra Paesi che prima erano perennemente ai ferri corti”.

 

Ma ti senti europeo?

I ragazzi ascoltano, applaudono, prendono appunti, diventano seri. Forse anche per loro la pace europea non è così scontata come sembra. Quello che aggiungo dopo è una sorta di decalogo sui vantaggispiccioli”, al di là dei grandi assetti istituzionali e dei grandi temi. Spiego loro che pure tante opportunità consideratenormali”, per chi è nato tra 1999 e 2001, sono una conquista. Qualche esempio? La salute garantita a tutti i cittadini europei, all’interno dell’Unione; il controllo sulla qualità dei prodotti e la garanzia che siano affidabili; la garanzia che il cibo che mangiamo sia di qualità; la tutela dei prodotti tipici; la possibilità di fare l’amato shopping online in siti di tutta l’Unione senza sovrapprezzi; i controlli comunitari sulla qualità dell’aria e le sanzioni nei confronti dei Paesi che non rispettano i parametri concordati; i viaggi meno cari grazie alla liberalizzazione dei voli aerei e, entro quest’anno, di quelli ferroviari ad alta velocità; le frontiere aperte per tutti i cittadini comunitari e per chi ha un permesso di soggiorno; la nascita della “generazione Erasmus”, quella degli studenti universitari che ormai dal 1987 possono studiare in giro per l’Europa vedendo riconosciuto l’impegno nei loro Paesi; la protezione dei risparmi bancari fino a 100.000 euro, garantiti dall’applicazione di una direttiva europea del 2009.

Sono contenti, ovvio. Sorridono. Però – come i giovani di ogni epoca – si scaldano soprattutto sul fronte degli ideali. Spetta agli altri relatori spiegare che il presidente Juncker può non piacere, ma è di passaggio: l’importante è esercitare il proprio diritto di voto per scegliere parlamentari europei che possano garantire alternative. Così come occorre chiarire che quando, di questi tempi, si sentono alcuni politici italiani e di altri Paesi Ue dire “quello che non va è colpa dell’Europa”, siamo di fronte a una strumentalizzazione demagogica: perché l’Unione non è un corpo a sé, fa quello che esprimono proprio i politici dei vari Paesi eletti in Parlamento. Poi ecco spiegazioni sull’euro, sulle prospettive e via elencando.

La platea dei ragazzi si anima tra domande e proclami, divisa – come quella di noi ex giovani – in europeisti e sovranisti, nazionalisti e federalisti. Mi sento di consigliare, verso la fine: “Ragazzi, discutete anche animatamente, pensatela come volete. Ma informatevi, studiate. Non credete a tutto quello che vi dicono o, peggio, che leggete sul web”. I giovani si agitano, si dividono, si confrontano. Discutono anche fuori dall’aula. Al bar, poco dopo, mi si avvicina il ventenne che aveva fatto la domanda su Juncker. Chiede, a bassa voce: “Mi piacerebbe discutere ancora un po’ con lei. Ma se è di fretta, non importa”. Io: “Mi importa. Serve sempre discutere. Tranquillo. Oggi manca proprio la capacità di farlo. Ma si può sapere se ti senti europeo?”.

“Ma sì…”, replica, sfoggiando un sorriso. Speriamo, ragazzo.

 

 

Photo credits: Università di Pavia

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