Il codista, professione che resiste alle app

Quante volte avete affrontato la fila all’ufficio postale o in banca e, per mancanza di tempo o pazienza, avreste voluto che qualcuno la facesse per voi? Bene, già da tre anni esiste quella che orma è una figura professionale a tutti gli effetti: il codista, una persona pagata per fare la fila al posto nostro. […]

Quante volte avete affrontato la fila all’ufficio postale o in banca e, per mancanza di tempo o pazienza, avreste voluto che qualcuno la facesse per voi? Bene, già da tre anni esiste quella che orma è una figura professionale a tutti gli effetti: il codista, una persona pagata per fare la fila al posto nostro.

“Una mattina andai in posta per pagare miei bollettini personali e, mentre ero in coda in attesa, mi si accese una lampadina: perché non fare la coda per chi non ha tempo o voglia di farla?” A parlare è Giovanni Cafaro, il “primo codista italiano”, come si definisce sul suo sito. Il suo percorso da codista inizia del gennaio 2014, dopo aver perso il lavoro di Responsabile marketing nella sua ex azienda. Da quel momento “stampai circa 5mila volantini e iniziai a distribuirli per le strade di Milano. Da lì a poco iniziarono le prime telefonate di persone che volevano farmi fare le code”, spiega.
Oggi Giovanni vive di questo lavoro e ha formato circa 500 codisti su tutto il territorio, la cui attività è disciplinata da un Contratto collettivo nazionale, così da essere disciplinata ed evitare l’insorgere di forme di lavoro nero: “Ho dato a questa nuova professione un contratto collettivo nazionale a chiamata che permette ai codisti italiani di svolgere questo lavoro con diritti e doveri uguali per tutti, avere una regolare busta paga come codisti dipendenti, vedere riconosciuti contributi previdenziali e assicurativi, ferie, permessi e malattia. Il costo è di 10 euro per ogni ora di coda. I codisti possono lavorare come liberi professionisti o dipendenti assunti con contratto a chiamata”.
Tra le mansioni del codista, ad esempio, quella di assistere il cliente nelle code alla posta e negli uffici pubblici, nel disbrigo di pratiche amministrative o nel ritiro di esami clinici e ricette mediche. Quasi scontato dire che per svolgere questo lavoro è necessario essere innanzitutto persone pazienti e disponibili e anche, perché no, disposte a reinventarsi dopo esperienze professionali finite male, come nel caso di Giovanni. Creare una nuova figura professionale è stato senza dubbio un modo costruttivo per contrastare una fase di profonda crisi occupazionale, anche per i lavoratori cosiddetti “qualificati”.
Quello del codista è un mestiere che esiste anche fuori dal nostro Paese: più di due anni fa, ad esempio, è nata negli Stati Uniti Sold, un’azienda che “mette a disposizione” i propri dipendenti per fare le code agli sportelli degli uffici pubblici e non; 25 dollari l’ora è il costo del servizio, a cui si aggiungono 10 dollari per ogni mezz’ora in più.

La domanda è: nell’era delle app elimina code e dell’home banking, può avere senso una figura professionale di questo tipo e quanto è destinata a durare nel tempo?

Lo sviluppo di differenti soluzioni tecnologiche ha sicuramente facilitato l’accesso ai servizi postali, bancari e della Pubblica Amministrazione permettendo di fare tutto o quasi comodamente da casa o in mobilità con il proprio smartphone o tablet. Eppure Cafaro è convinto che la fine dei codisti non è ancora così vicina, anzi: “Quello del codista è un lavoro basato sul risparmio del tempo evitando le code, sulla fiducia e sulla professionalità, secondo me potrà essere presente almeno altri 10 anni e si potrà evolvere e migliorare in base alle esigenze dei clienti, puntando sempre più sui loro bisogni di risparmio del tempo”.

Innanzitutto, secondo il primo codista italiano, questo tipo di professione ispira fiducia nel cliente in quanto rappresenta una persona vicina e quindi in qualche modo affidabile. C’è poi un altro aspetto, ossia il fatto che la tecnologia, seppur con molti passi in avanti, sembra non essere ancora in grado di sostituirsi ai codisti, sia perché lo sviluppo tecnologico non è forse ancora così efficiente in tutti gli ambiti, sia perché in certe attività è ancora necessaria la presenza fisica: “la tecnologia all’interno della PA non è ancora in grado di risolvere la burocrazia e di sostituirsi alle persone e ai codisti che molto spesso si devono recare di persona per risolvere vari problemi e fare la coda per conto terzi. Non credo che al momento un’app possa sostituire o aiutare i codisti, è un’attività basata sul contatto diretto con i clienti e con i vari uffici pubblici. Il contatto con il cliente per il rilascio della delega e la presenza fisica agli sportelli è in molti casi determinante e indispensabile”. E a quanto pare quello delle code è un problema particolarmente sentito nel nostro Paese: secondo il Codacons perdiamo in fila circa 400 ore in dodici mesi.

La dimostrazione è il fatto che la professione si stia sempre più organizzando e strutturando, tant’è che Cafaro ha addirittura creato un sindacato, aperto ai codisti ma non solo: “Sinclado è il sindacato istituito da me, che ha tra gli iscritti alcuni codisti che vengono seguiti e supportati nel mondo professionale”.
Da qualche mese inoltre il mondo dei codisti è entrato in contatto con le situazioni di svantaggio e disabilità, secondo quanto previsto dall’articolo 14 della legge 276/03: Cafaro ha iniziato una collaborazione con la cooperativa sociale Ozanam attivandosi per promuovere l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate anche come codisti: “Sono convinto possano diventare molto bravi. Sarà mio compito formarli e seguirli affinché possano diventare un’eccellenza tra i servizi che la cooperativa è in grado di fornire”. Su un totale di 150 dipendenti della cooperativa, il 36% ha manifestato la volontà di diventare codista.
Una professione insomma che sembra al momento non solo resistere ai cambiamenti ma anche voler puntare a dare una mano a chi è in maggiore difficoltà.

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