Fosse vero, bisognerebbe mettere nero su bianco la continua rincorsa a colossi come Amazon, la cui corsa spasmodica alla soddisfazione del cliente rischia di penalizzare chi sta dall’altra parte, ovvero i lavoratori. Ma soprattutto, se su 25.000 postini quasi uno su due è a tempo determinato, come si sostiene uno sforzo del genere? Gli annunci di lavoro solitamente parlano di assunzioni con contratti a termine per i portalettere in considerazione di picchi, sostituzione di personale assente o specifiche necessità. Di certo, però, in controtendenza con un piano così ambizioso, che dovrebbe prevedere almeno la stabilizzazione di chi sta in graduatoria.
“L’accordo con le parti sindacali prevede una percentuale di contratti a termine sul totale dei lavoratori. Sul numero assoluto non è un valore così importante, peccato sia concentrato tutto sui portalettere. Nel mio caso, quello pistoiese”, continua Pascale, “eravamo più del 30%. Ecco perché credo che la battaglia del nostro movimento sia giusta, e la stiamo portando avanti anche con interrogazioni parlamentari, chiedendo la stabilizzazione del personale in graduatoria”.
Senza il supporto del sindacato. “Le sei sigle presenti dentro Poste Italiane hanno dimostrato vera sofferenza per questa iniziativa. Noi li abbiamo contattati, anche più volte, per denunciare il nostro inquadramento e per chiedere chiarimenti in proposito. Il risultato è che nessuno si è pronunciato”.
Mentre Carmine nel frattempo che fa, il sindacalista non ufficiale? “Il mio obiettivo non era lavorare in Poste Italiane per la vita. Io devo continuare a studiare, a costruirmi un futuro. Per mantenermi sono finito in questa situazione e ora la vivo attraverso il movimento. Una situazione che è andata peggiorando dalla prima tranche di privatizzazione, sotto il governo Renzi. L’impatto principale, ripeto, l’ha subito il servizio del recapito, da lì l’aumento considerevole al ricorso dei contratti a termine”. E una stabilizzazione, per molti, ancora lontana.
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